Un cattolico, un cristiano, anche se e’ un cristiano tiepido e disincantato non può farsi scivolare addosso la morte del cardinale Martini, soprattutto non può non prendere atto di quello che sta succedendo nei giorni che passano tra la morte dell’anziano prelato e i suoi funerali. Il tributo che i fedeli e di conseguenza i media riservano al cardinale che ci ha lasciati in silenzio è fuori dal comune. Molti altri illustri porporati sono morti perduti in un trafiletto di cronaca. Non è stato così per l’ex arcivescovo di Milano, al quale il popolo cristiano ha riservato un addio degno di un papa.
Già, perché lo si voglia a no, Martini in questi giorni vieni consacrato come l’autorità morale e religiosa in antitesi a papa Benedetto e alla gerarchia romana. Sia chiaro: niente di violento, nessuna contestazione esplicita, nessun movimento profetico, ma la palpabile sensazione che porre l’accento su alcuni aspetti del messaggio di Martini sia anche far sommessamente presente a papa Benedetto & co. l’esigenza di un cambiamento di rotta radicale, un cambiamento di rotta invocato dal popolo cattolico. Più semplicemente: se la gente qualunque sottolinea che Martini ha rappresentato quello di cui aveva bisogno è come dire che da altre fonti non arriva la stessa acqua!
D’altra parte le gerarchie vaticane commettono l’errore di attenersi al cerimoniale e di trattare le ultime vicende terrene di Martini con deferente distacco e un po’ di imbarazzo per questo ultimo gesto di rifiutare ogni forma di accanimento terapeutico. Minor distacco è riservato al cardinale dai paladini del tradizionalismo all’italiana, a giudicare dal velenoso e infondato articolo che Socci pubblica oggi, 3 settembre 2012, su Libero. La data non è ricordata a caso, l’articolo del povero Socci è degno di altre epoche, quelle dei roghi e della caccia alle streghe.
Eppure tanta popolarità di Martini è difficile da spiegare. Sì, perché Martini non è un prete da strada, uno di quelli che vive nelle borgate e si barcamena ogni giorno con i problemi della gente. Per quelli, per i preti eroici di frontiera, ci si aspetterebbe dolore e solidarietà dalle persone comuni. Martini al contrario è stato un intellettuale, un intellettuale di livello. Martini si è arruolato nell’Esercito di Gesù fondato da Ignazio di Loyola, un ordine quasi militare, nato per contrastare la riforma protestante e avvezzo alla disciplina e allo studio. Certo, i gesuiti, almeno dall’ultimo Concilio, incarnano l’anima progressista e illuminata della Chiesa cattolica, ma questo, sinceramente, la gente che va a messa tutte le domeniche non lo sa. Insomma: Martini, per la sua formazione, la sua dedizione allo studio delle Scritture, il suo ruolo nella gerarchia ecclesiastica avrebbe tutte le caratteristiche per non essere un prete così amato dalla gente. Certo la dolcezza del carattere, l’affabilità, la piena disponibilità pastorale e umana spiegano molto di questo fenomeno, ma non bastano.
L’attestazione, invece, di popolarità, amore, stima e devozione che sta ricevendo in queste ore dovrebbero indurre ad una riflessione matura proprio in chiave della contrapposizione a quello che rappresenta oggi la Chiesa di Roma e anche a quello che la Chiesa di Roma dice oggi al suo popolo. Martini ha saputo parlare alle persone, ha testimoniato la sua fede, ma soprattutto ha detto le cose giuste! Martini ha parlato con amore di una chiesa lontana dai fedeli, della necessità di un nuovo Concilio che riallineasse gerarchia, liturgia, vita ecclesiastica al popolo e ai tempi. Martini ha richiamato l’urgenza di innestare nella gerarchia vaticana forze fresche e fuori dal coro. Martini, da grande studioso delle Scritture, ha letto il Vangelo con umiltà, lo ha riportato ad essere quello che è: una buona notizia per la gente semplice! Martini ha dialogato con cattedratici e con analfabeti ma sempre lontano dalla presunzione di avere la verità in tasca.
Proprio per questo suo continuo esercizio di riportare il Vangelo al messaggio originario, senza fronzoli e orpelli teologici nella morte di Martini non può non evocarsi la figura che gli fa nei fatti da controcanto: quella di Ratzinger. L’attuale Pontefice, che ha sottolineato la sua distanza dall’ex cardinale di Milano non evocandolo durante l’Angelus di ieri, mi impressionò quando in occasione delle esequie di Giovanni Paolo II tenne l’Omelia che trasformò quasi, mi si perdoni l’espressione, in un discorso elettorale. In quella occasione sostanzialmente disse che la Chiesa cattolica aveva bisogno di ristabilire la verità, riportando la giusta dottrina al centro della vita ecclesiale. Questo sarebbe stato il compito del nuovo pontefice. Non lo disse: ma quale uomo era più adatto a questo incarico se non lui, il cardinale che aveva tenuto con fermezza le chiavi dell’ortodossia durante il papato di Giovanni Paolo II? Allora, a sentire quelle parole, mi si accapponò la pelle. In quel momento ebbi l’impressione che il cardinale tedesco sarebbe stato eletto papa e che avrebbe sancito una frattura tra popolo e apparato ecclesiale.
Temo di non essermi sbagliato. Un vecchio detto recita: vox populi, vox dei. E sarebbe un grave errore, l’ennesimo, se le attuali gerarchie, oggi non apprezzassero il pianto del popolo per un grande uomo che ha detto al popolo quello di cui il popolo aveva bisogno
