Ormai i movimenti dell’antipolitica si nutrono in maniera piuttosto generalizzata di uno slogan: per cambiare davvero ci vuole la “democrazia diretta”. La democrazia diretta sarebbe la cura al difetto di partecipazione alla vita politica, ma anche e soprattutto sarebbe il rimedio alle degenerazioni della classe politica, ormai identificata con la casta. Pur condividendo gli obiettivi, mi viene il dubbio che sia io a non comprendere cosa intendono quando parlano di democrazia diretta e consulto l’enciclopedia wikipedia, che in fatto di partecipazione per sua natura dovrebbe saperla lunga.
La democrazia diretta è la forma di democrazia nella quale i cittadini, in quanto popolo sovrano, non sono soltanto elettori che delegano il proprio potere politico ai rappresentanti ma sono anche legislatori e amministratori della cosa pubblica. La modalità con cui tali prerogative si esercitano varia secondo le forme specifiche adottate: si va dal diritto, costituzionalmente garantito, di proporre e votare direttamente le leggi ordinarie e la costituzione attraverso diversi istituti di consultazione popolare e diverse forme di partecipazione popolare, a metodi decisionali basati su forme assembleari.
La democrazia diretta è stata la prima forma di un governo democratico, essendosi affermata nel V secolo a.C. ad Atene.[
Per puntiglio contesto subito l’assurdità che riguarda Atene. Una “democrazia diretta” che non prevedeva la partecipazione di donne e schiavi e che come contraltare aveva l’istituto del Γραφή παρανόμων, una sorta di Sant’ Uffizio ante litteram. Così pure vale la pena ricordare la fine che si fece fare a Socrate nell’epoca d’oro della “democrazia diretta”. Che dire poi, di Clistene e dell’ostracismo? Non era questa una pratica di democrazia diretta? L’assemblea decideva se condannare all’esilio per dieci anni un cittadino. Aristide fu ostracizzato perché la sua buona fama e la sua integgerrima condotta lo rendevano un potenziale tiranno. Insomma, prima di proporre un istituto rapportandolo a precedenti storici si dovrebbe studiare un pochino.
Dal punto di vista sostanziale bisogna distinguere tra istituti di democrazia diretta (meglio dire partecipazione) e una generalizzata e diffusa pratica della democrazia diretta.
D’altra parte Il Referendum, la petizione popolare sono istituti già previsti dalla nostra Costituzione e che trovano applicazione, seppure sporadica, anche a livello locale. Si potrebbe lavorare per ridurre il numero di firme necessarie a proprorre un referendum, abolire il quorum, stabilire l’obbligatorietà per il Parlamento di discutere una petizione popolare, ma siamo sicuri di un rapporto positivo tra vantaggi e svantaggi? In Svizzera i referendum hanno un uso molto più frequente e interessano temi molto vicini alla vita quotidiana delle persone. Proprio la pratica svizzera ci suggerisce una riflessione: spesso i referendum, ai quali risponde una minoranza degli aventi diritto, ottengono risultati improntati all’egoismo o alla semplice convenienza di chi va a votare. Difficilmente un referendum ottiene un esito sconveniente per chi vota, ma moralmente lodevole.
Immaginare uno Stato che affida il processo decisionale alla sistematica a adozione della democrazia diretta appare veramente difficile e onestamente improponibile. Se da una parte si può avanzare una critica becera, osservando che le folle osannanti sotto il balcone di Piazza Venezia potevano essere espressioni di democrazia diretta, dall’altra possiamo più seriamente rilevare che le implicazioni di un continuo ricorso agli istituti di tale forma di governo, oltreché difficilmente praticabili, si prestano ad una serie di rilievi critici. I rischi dell’accesso ai mezzi di comunicazione per manipolare il volere popolare, il controllo della rete, le disponibilità economiche dei diversi soggetti politici, fino alla capacità per molti elettori di comprendere alcuni problemi essenzialmente tecnici (come ad esempio l’ammissione nel sistema sanitario nazionale di determinati protocolli di cura) possono essere difficilmente superati.
Restano, infine, i problemi delle determinazioni che riguardano le comunità locali: chi decide se realizzare l’alta velocità tagliando in due una valle alpina, la comunità interessata? La comunità regionale? La totalità dei cittadini?
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Un pensiero riguardo “Due o tre sassolini nella scarpa della democrazia diretta!”