Platone e la battuta float. Ci vogliono le idee, ma quelle buone. Capitolo III, parte seconda

3.2 Il caso: il prof di educazione fisica

<<Eissssss!>>, gridavano le ragazze del ginnasio durante l’ora di educazione fisica quando una di loro otteneva un punto direttamente dalla battuta. Le tipe erano particolarmente creative e avevano anche escogitato una specie di coreografica: facevano gruppetto al centro della loro parte di campo, la protagonista del punto si inginocchiava in mezzo a loro e le altre alzavano il dito urlando <<Eissssss!>>. Una ragazza alta e cicciottella impallava spesso la scena, ma nel complesso erano uno spettacolo particolare e stravagante, comunque simpatico.

In quella squadra molte erano le ragazze in gamba, ma Valentina era la specialista degli ace. La sua battuta non era migliore delle altre, anzi, a dire di Candido, il professore di educazione fisica, la palla non era colpita con la necessaria forza. Solo che il pallone usciva incredibilmente veloce dalle mani affusolate della ragazza e poi cadeva come foglia morta in mezzo al campo avversario. Valentina era una spilungona con una lunga treccia bionda raccolta da mille nastrini, occhi neri, carnagione chiarissima e lentigginosa, andatura sempre caracollante. Le compagne di allenamento la conoscevano da anni, ma da anni attendevano in bagher un pallone che finiva con il morire a terra prima che queste intervenissero.

A dire il vero la ragazza non era affatto stupida: i suoi occhi neri non servivano solo da contrasto con la carnagione chiara e lentigginosa, ma esprimevano una intelligenza vivace e furbetta. Ogni tanto cambiava tecnica, colpiva la palla forte forte e la traiettoria si allungava, fino a quasi cadere sulla linea bianca di fondo, dopo aver saettano e addirittura accelerato e rallentato, quasi ad attendere di essere giudicata out per poi cadere impertinente sulla riga di fondo. Altre volte la foglia morta lasciava il posto a veri e propri missili la cui velocità e rotazione erano impresse con un colpo a tutto braccio e il classico movimento a frusta del polso e della mano. Il risultato era quasi sempre lo stesso: coreografia in mezzo al campo e … <<eisssss!>>

In partita stessa storia, ma almeno le avversarie non erano frustrate da anni di tentativi andati a vuoto. In ogni set, quando Valentina andava in battuta, potevi aspettarti un break di qualche punto.

Candido, il barbuto professore di educazione fisica, non era un Velasco. Da giovane, ai tempi dell’ISEF, era stato un mediocre mezzofondista. Di tecnica di pallavolo ne sapeva poco e niente, ma era un tipo che viveva di sport e sapeva vivere lo sport. Le sue ragazze migliori, tra le quali Valentina, giocavano a pallavolo con la squadra della cittadina, allenate da veri allenatori di pallavolo. Lui, a cui non andava neanche di lavorare troppo su sport che non fossero l’atletica, le selezionava, le iscriveva ai campionati studenteschi e quasi sempre portava a casa un po’ di gloria … insieme alle sei ore di straordinario settimanale che aiutavano la sua famiglia a vivere sopra la soglia di povertà, nonostante i tagli agli stipendi dei professori imposti dalla Troika.   A dire il vero sopra la soglia di povertà ci vivevano grazie allo stipendio di Gianna, la moglie di Candido, bancaria. Però al Prof, come lo chiamavano tutti i suoi studenti, quei duecento euro lordi a semestre di incentivo facevano comodo lo stesso.

Tuttavia la crisi si sentiva anche a scuola. Sempre meno ragazze potevano permettersi una pratica sportiva fuori dall’orario scolastico e un po’ per convenienza, un po’ per passione sociale, Candido cominciò anche al pomeriggio ad insegnare quasi gratis quel poco di pallavolo che conosceva. Stupido non era neanche lui, quindi chiese a Valentina di diffondere il verbo riguardo alla sua tecnica di battuta. Avere sei giocatrici che battono come la biondina con gli occhi neri e la treccia sarebbe valso la vittoria in qualsiasi partita dei campionati studenteschi.

<<Prof, la mia è una semplice battuta float, come quella di tante altre. Non lo so perché faccio tanti punti in ogni partita. Guardi, il nostro coach ha anche analizzato dei video, Marta, per esempio, ha una tecnica identica alla mia, eppure non fa quasi mai ace>>. Candido pensò male e pensò ad un complotto di ragazze e allenatore: i segreti della battuta di Valentina non sarebbero dovuti uscire dalla squadra. Poi mise gli occhi sulla battuta di Marta, una centrale di un metro e ottanta a sedici anni, due spalle larghissime, occhietti cattivi, capelli corti, di un nero buio. La manona robusta andava a colpire la palla, si sentiva uno schianto secco e forte tra mano e pallone, poi il braccio fermava la sua corsa. I suoi gesti in battuta erano perfetti per una float, così sembravano a Candido, che consultò anche il Manuale della pallavolo, eppure non riusciva mai a fare ace. Non è che il prof smise di dormire la notte, ma questa cosa della battuta di Valentina cominciò a prenderlo in maniera quasi ossessiva.

Il Prof è uno tosto e non molla, questo valeva per una gara sugli ottocento dieci chili fa e vale ancora oggi che allena ed ha la pancetta da impiegato. Non si molla! Questo pensò quando decise di risolvere il problema della float prima di ogni altra questione. Con una scusa (al termine delle lezioni aveva appositamente dimenticato il suo borsello Tolfa vintage), piombò in palestra nel tardo pomeriggio, quando finalmente le fiacche attività scolastiche lasciavano il posto a quelle vere, a cura della squadra cittadina di pallavolo.

Si presentò a Felice, il giovane allenatore di pallavolo, e con fare quasi furtivo cominciò a fare domande su Valentina, la sua battuta e l’andamento del campionato.

La prese alla larga, ma Felice fu felice di rispondere a tante domande. Aveva sempre giocato a pallavolo, si manteneva al fuori corso di giurisprudenza allenando per quattro ore al giorno e aveva una sorta di rispetto sacro per i professori di educazione fisica. Alla fine uscì fuori la storia del video e a quel punto Candido non si fece sfuggire l’occasione: i due si diedero appuntamento per scambiarsi i loro feticci, Felice portò il video monografico sulle battute di Valentina e Marta, Candido consegnò a Felice un vecchio testo universitario usato, poco e male, per preparare l’esame di anatomia funzionale. Il giorno dello scambio al Checkpoint Charlie, nel parcheggio della scuola, i due tornarono a casa candidamente felici. Il professore inserì subito il dvd nel computer, tra le proteste di Margherita, la figlia undicenne perennemente a lavoro … su facebook. <<Quando arriverai alle superiori mi rifiuterò di farti fare educazione fisica, sai muovere solo le dita su quei tasti….>>, osò urlare in faccia alla ragazzina. Quella mostrò il suo apparecchio ortodontico in un sorriso di sfida, concesse il computer e si dedicò al suo Iphone. Troika o non Troika ogni ragazzina italiana doveva avere un Iphone o era out. Persino il potentissimo Samsung S4 era deriso dalla comunità dei fichetti Apple. Il wifi a casa, sosteneva Candido, era una spesa superflua, ma un giorno che aveva avuto ospite a cena il collega di Tecnica, un autentico smanettatore, riuscirono a crakkare la password del wifi di Assunta, la maestrina calabrese so tutto io che abitava al piano di sopra e che lasciava acceso il router notte e giorno. Non tutte le scarpe rubate calzano alla perfezione: il collegamento piratato non invadeva con il suo segnale gli ottanta metri quadri della casa del Prof, Il picco del segnale era registrato nella camera della iragazzina con dall’apparecchio ai denti e l’Iphone in mano, con il risultato che l’ambiente, il suo territorio Apple, era sempre molto affollato.   Candido sosteneva che i PC portatili costavano troppo e poi tutti in casa avevano uno smartphone: il vecchio PC tower era sufficiente e doveva essere collocato nell’unica stanza con segnale WIFI. Chi aveva bisogno del PC doveva mercanteggiare con la ragazza dall’apparecchio ai denti e l’Iphone in mano.

Il video era montato perfettamente, del resto Felice era una specie di nerd rasta (come avrebbe fatto a trasformarsi in un avvocato?), due frame dividevano lo schermo, stessa inquadratura per Valentina e Marta, una decina di scene di loro due che andavano in battuta. La sincronizzazione dei filmati non era perfetta, la mano che aveva effettuato le riprese era artigianale, ma i movimenti delle ragazze erano identici. Sembrava un esercizio di nuoto sincronizzato. Eppure il risultato era diverso, la camera era fissa sulle ragazze e in campo stretto (si vede che le disposizioni erano tassative: riprendere le ragazze in battuta). Tuttavia le immagini finivano sempre con Valentina che correva per festeggiare l’ace al centro del campo, mentre Marta scompariva in zona 5 per difendere l’attacco nemico, minimamente infastidito dalla battuta del gigante nero buio, con il numero 9 sulla schiena e sul petto.

Il programma del computer di Candido permetteva una sorta di moviola e il professore passò una ventina di minuti (il suo record personale davanti al computer) ad accarezzarsi la barba rossa mentre le ragazze eseguivano sempre e solo lo stesso gesto. Margherita sbuffava e la barba di Candido si allungava sotto le mani che ossessivamente passavano dal mouse ai riccioli rosci e contorti.

Il Prof, per noia o frustrazione, chiese alla ragazzina con l’apparecchio ai denti e l’Iphone in mano un po’ di assistenza. <<Sembra un uomo, il numero 9….”, si limitò a commentare la ragazzina, mostrando tutto il meglio della tecnologia ortodontica in un sorriso irriverente. In quel momento al Prof venne in mente qualcosa. Ebbe un’intuizione, non focalizzò, ma sentì finalmente di avere intercettato un particolare. Tornò indietro, poi avanti. Ormai aveva preso l’abitudine allo schermo sdoppiato e poteva tener d’occhio contemporaneamente le due ragazze. Si chiamava visione periferica, gli avevano insegnato all’ISEF. Niente, nessuna differenza nel movimento delle braccia, nella postura, nel carico del peso. Eppure qualcosa lo aveva colpito. Osservò ancora i filmati, avanti e indietro, indietro e avanti.

Alla fine, battè la mano sul tavolo, proprio mentre passava da una scena all’altra. In uno di questi passaggi il frame rappresentava Valentina con gli occhi chiusi. Un attimo, solo un attimo, ma aveva capito cosa avesse attirato la sua attenzione. Un istante prima di lanciare la palla in aria Valentina chiudeva gli occhi. Un millesimo di secondo, ma li chiudeva. Per avere una conferma controllò le riprese che mostravano le altre battute. Tutte uguali: prima di lanciare la palla Valentina, per un istante, chiudeva gli occhi, Marta no. Alla fine questa era l’unica differenza tra le due. Poteva essere questo il punto? Era molto improbabile che questa potesse essere la soluzione del suo caso, ma non c’era altro da fare che interrogare la ragazza. Ci avrebbe dormito sopra e affrontato Valentina sul campo amico, a scuola, dove comandava lui.

<<No…., non credo….>> – rispose imbarazzata Valentina….<<non credo di chiudere gli occhi…ma quando?>>

Candido non sarà stato un Velasco, ma conosceva i ragazzi e li conosceva bene. La treccioluta era diventata tutta rossa, la sua disinvoltura era svanita, la sua sicurezza aveva lasciato il posto alla vergogna per una risposta che non usciva spontanea.

<<Valentina, per me è importante sapere>>. Disse Candido con quel suo sorriso da uomo di mezza età che la sa lunga e che una volta poteva anche contare sul suo fascino per convincere le ragazze a lavorare sodo sul doppio giro di pista.

<<Guardi Prof>> , si decise la ragazza, <<resti tra noi, ma è che quando vado in battuta io… vedo … io vedo il punto, insomma vedo prima di battere come va a finire… quasi sempre succede!>>. <<Come sarebbe a dire?>>, sorrise Candido, <<sei una veggente?>>. <<No, Prof, ma che dice? Guardi, è tutto reale! Io vedo esattamente quello che poi succede al pallone. Vedo le avversarie per terra a cercare di ricevere la battuta… vedo dove cadrà la palla…>>

<<Ma che dici?>>, ribattè Candido con il sospetto di essere su Scherzi a parte. <<Certo>> – aggiunse per vedere fino a dove la tirasse la ragazza – << ci sono persone che hanno una grande fantasia…>>.

<<No>>, fece la bionda toccandosi la treccia e riacquistando sicurezza, <<non è fantasia: Io sento l’odore del punto! Io vedo in anticipo i movimenti che sto per compiere, vedo dove cadrà la palla, … e poi la cosa succede realmente>>.

Candido era la persona più aperta del mondo, da studente aveva anche aderito ad un gruppo che si chiamava Power Mind, gente che cammina sui carboni ardenti e che si sforza di condizionare con la mente le attività del corpo. Aveva anche passato un pomeriggio a tentare di piegare con la sola forza della mente un cucchiaino di acciaio… lo aveva visto fare in televisione ad un tizio quando era ragazzino. Però questa storia di “vedere come va a finire la battuta” era proprio una vaccata.

A dirla tutta Candido mandò quasi a quel paese la ragazzina, salutò a mezza bocca e se ne tornò bestemmiando per aver perso tempo. Si fermò al bar più vicino alla palestra e ordinò una Peroni ghiacciata gran riserva. La beveva solo lui e il barista ne teneva una piccola scorta per i momenti neri del Prof. Quando invece le cose andavano bene Candido passeggiava davanti alla scuola con un bel sigaro Toscano, esibendosi in incredibili capriole di fumo. Nel video di quel nerd rasta gli occhi di Valentina erano chiusi perché è normale chiuderli e quei maledetti frame avevano colto il fenomeno dell’ace proprio in quel momento. Magari Marta si comportava allo stesso modo, magari le riprese non l’avevano colta in quel preciso momento. Il suo agnosticismo lo portava a pensare che il caso, soltanto il caso, gli aveva fatto perdere quel tempo; la sua stupidità, soltanto la sua stupidità, lo aveva sottoposto a quel dialogo frustrante quanto inverosimile con una adolescente. Punto e a capo: al diavolo la battuta float!

Anche se Candido si trastullava dall’altra parte della strada rispetto alla scuola, sentiva distintamente le voci dei ragazzi nelle classe scoperte, maledetti ragazzi! Era ora di tornare in classe per l’ultima ora. Il nuovo Preside era un ciccione malato dell’ordine ed aveva imposto ai docenti di educazione fisica di prelevare gli studenti dalle classi e accompagnarli in palestra. Alla fine dell’ora la deportazione seguiva il flusso contrario. Il Preside era un obeso quarantenne, completamente calvo, con due odiosi baffetti fini, minuziosamente curati. Sicuramente un suo antenato era tedesco ed aveva lavorato nei campi di concentramento, pensava immancabilmente Candido ogni volta che lo incontrava. Il Prof doveva salvare il terzo C dalla quarta ora, filosofia. I ragazzi gli avevano chiesto il favore di arrivare in anticipo: in cambio avrebbero assicurato qualche presenza alla corsa campestre della settimana successiva. Altri punti per la scuola. Altra possibilità di accedere a qualche spicciolo dell’incentivazione per il Prof. Ma Candido si era perso nei suoi pensieri e nella sua Peroni: ora poteva salvarli solo dagli ultimi spiccioli della lezione. Sarebbe stato sufficiente per chiedere ai ragazzi di saldare ugualmente il loro debito.

<<Come faccio a desiderare di conoscere una cosa se non la conosco?>>, cinguettava con la solita cantilena ritmata la professoressa di filosofia, mentre Candido, tra gli applausi dei ragazzi, entrò per il cambio anticipato dell’ ora. Ci sono delle domande fondamentali che forse ci siamo posti da bambini o che forse gli uomini si ponevano una volta, durante la notte dei tempi, ammesso che si sia fatto mai giorno, pensò tra sé con una certa dose di ironia.

<<Lo cerco su Google!>>, rispose il Cretinetti del primo liceo classico in cerca di un po’ di pubblicità per i suoi ormoni impazziti.

Candido, d’istinto, afferrò il mazzo di chiavi della scuola e caricò il colpo per il gesto che lo aveva reso celebre: colpire la rotula dei ragazzi anche a considerevole distanza. La professoressa di filosofia, Giovanna, una sessantenne che da due anni era ascesa al ruolo di VicePresideVicariafaccioiolorariodeiprofessori lo fulminò, lo incenerì quasi, e incurante della campanella salvifica rispose al Cretinetti, in realtà rivolgendosi a Candido in punta di erudizione: <<Certo che porre e porsi certe domande nel mondo del grande cervellone universale, rappresentato concretamente dalla rete, rischia di farci fare la figura dei dementi. Eppure proprio la rete può farci comprendere il senso della domanda. Candido>>, gli chiese la professoressa, <<come fa tua figlia a sapere quello che deve cercare sul motore di ricerca?>>

La campanella segna la fine di un’ora o l’inizio di quella successiva? Si chiedeva Candido come diversivo all’imbarazzo nel quale lo aveva scaraventato Giovanna. Comunque ora la collega avrebbe dovuto smammare. Invece la vicaria che fa l’orario e dispone del bene e del male, continuò la sua lezione, evidentemente non paga di aver fatto fare al collega la figura dello scemo: <<Bene, accettiamo questa idea di google… anzi poniamo che la nostra mente sia proprio una specie di google: una stringa bianca che dobbiamo riempire quando ci poniamo una domanda. Possiamo facilmente intuire che il senso della domanda da scrivere sullo schermo ci deve in qualche modo anticipare la risposta. Ad esempio, se sto scrivendo un capitolo sulla teoria delle idee, mi potrebbe essere utile digitare Platone idee, in questo caso dobbiamo ammettere di avere una conoscenza elementare sulla storia della filosofia e saper legare la teoria delle idee al suo inventore. Abbiamo già visto come per Socrate e Platone la questione sia legata al ricordo: conoscere è ricordare! Già ma se la conoscenza e il ricordo ci derivano dalla nostra precedente esperienza nell’Ade c’è da chiarire cosa e perché noi ricordiamo. Anche per Platone la questione era posta in questi termini. Noi non ricordiamo affatto le singole conosce particolari degli oggetti,ma i loro modelli universali, che poi ritroviamo come forma nei particolari. Studiate ragazzi, da pagina 120 a pagina 148 del libro, o vi riducete come il vostro professore di educazione fisica. Ciao!>>

<<Giornata di merda>>, pensò Candido quando il messaggino su whatsapp gli impedì di rincorrere la collega di filosofia (colpirla con le chiavi alle spalle sarebbe stato vagamente non corretto anche per lui) : oggi Ikea, remember… intimava Gianna, la moglie bancaria che aveva preso un giorno di permesso per scovare un nuovo tavolo per la cucina. Il Prof, come tutti gli uomini, odiava accompagnare la moglie all’Ikea e quel giorno la battuta float, Platone, Google sembravano tutte cose più importanti rispetto ad un tavolo per il quale spendere soldi e al quale dedicare una serata di montaggio. Tutto era terribilmente più urgente e importante di un fottuto tavolino dell’Ikea. Eppure quante volte il sabato pomeriggio era stato trascinato all’IKEA? Quante volte Gianna, la moglie bancaria allergica alla pallavolo, lo aveva apostrofato: <<visto che O G G I non hai partite, corse campestri o allenamenti, mi puoi accompagnare?>>. Le scatole di imballaggio avevano portato nella casa del Prof ogni genere di arredo, smontato come un puzzle a colori. Si va all’Ikea per un tavolo e si torna con il tavolo, le sedie, la libreria, il comodino che proprio mancava nella camera della ragazza con l’apparecchio ai denti e l’Iphone in mano. Ogni arredo è smontato in troppi pezzi. Quel sabato sera sarebbe stato segnato! Minuscole chiavi comprese nel prezzo avrebbero montato un tavolo dal nome incomprensibile (Jumblatt, Varige, Momsen?) sotto l’occhio vigile di Gianna. Per giunta la bancaria pensò bene che due polpettine Ikea, per fortuna già montate e cucinate, avrebbero concluso lo shopping: una cena tradizionale a casa avrebbe sottratto tempo al riluttante lavoro del Prof! Naturalmente in una delle scatole, quella del tavolino, una mano svedese ha ritenuto di non aggiungere il foglio delle istruzioni. <<Non sai montare un tavolino senza istruzioni?>> disse Gianna. Forse non lo disse, ma anche se non lo disse lo pensò con tale clamore che Candido ascoltò benissimo.   Che fare?

<<Al telefono!>>, urlò Gianna, porgendo seccatissima il cordless al marito, chino sui pezzi del puzzle senza istruzioni.

<<Ciao Prof>> fece la voce sgradevole della vicepresidevicariafaccioiolorario dall’altra parte del telefono.

<<Dimmi!>>, fece Candido sorpreso della telefonata e ancora scottato dall’umiliazione.

<<No, è che… vabbè volevo chiederti scusa per oggi. Sono stata un po’ dura, ma sai Platone è un po’ ostico per i ragazzi…>>

<<Sì, sì… hai ragione. Anche la battuta float è dura da far capire, ma io non umilio i professori di altre materie in palestra. Comunque scusa, devo montare un tavolo Ikea e non ho le istruzioni… ciao>>

<<No…no, aspetta…. Che combinazione!>>

<<Cosa?>>

<<Questa storia del tavolo Ikea senza istruzioni!>>

<<No, guarda….>>

<<Si invece…dammi un attimo. E’ l’esempio che cercavo per far capire ai ragazzi la storia delle idee…>>

<<vabbè, sono contento per te, ciao!>>

<<ma potrebbe esserti utile, sapere!>>

Dal momento che Gianna se ne stava lì impalata, forse ansiosa di vedere il tavolo montato, forse gelosa di una brutta vicepresidevicariafaccioiolorario sessantenne, Candido, solo per farle un torto, decise di accomodarsi sulla poltroncina (Ikea) della ragazzina con l’apparecchio ai denti e l’Iphone in mano. Si mise ad ascoltare paziente la collega.

<<Parla!>>, intimò il Prof, osservando molto soddisfatto la moglie bancaria.

<<…noi sappiamo bene che un tavolino, al netto del design post moderno con il quale la filosofia di Platone non ha fatto i conti, ha quattro gambe, un piano e qualche accessorio, come i piedini da montare sotto le gambe o una prolunga da alloggiare sotto il piano. Lo sappiamo perché nella nostra testa c’è una immagine di tavolino. IL tavolino che è nella nostra testa è una copia del tavolino perfetto al quale si ispirano tutti i tavolini particolari, compreso quel tuo tavolino dell’IKEA….>>

<<Già, ma uno come Platone si mette a pensare queste fesserie?>>

<<No, pensa un attimo alla differenza tra il mondo dell’antichità greca e il nostro. Un bambino oggi entra in una cartolibreria e acquista una squadra, senza alcuno sforzo ha sotto gli occhi un perfetto triangolo scaleno. Con estrema facilità ne può trovare facilmente delle immagini in rete (benedetto google), oppure ricavarne altri, perfetti, con strumenti tecnici elementari. Prima no. Nella Grecia di Platone difficilmente un bambino poteva imbattersi in un triangolo perfetto, per non parlare di cerchi e sfere. Eppure conosceva benissimo l’esistenza del triangolo e ne studiava anche le proprietà geometriche. Da cosa derivano tutti i triangoli approssimativi che quel ragazzino poteva vedere o costruirsi?>>

<<Dalle idee!>>, urlò Candido soddisfatto, soprattutto per lo sguardo ebetito della moglie bancaria e della ragazzina con l’apparecchio ai denti e l’Iphone in mano.

<< Beh, direbbe Platone, da una idea di triangolo che è da qualche parte, che ognuno ha già visto e alla quale si ispirano tutti i triangoli imperfetti che vediamo sulla terra>>.

<<Ho capito>>

<<Ecco, allora pensa ad un tavolo ideale, cerca quattro gambe, un piano, i piedini e monta quel cazzo di tavolino a tua moglie. La filosofia è facile! Ciao>>. Chiuse la telefonata la vecchia Megera.

Le cronache non ci svelano se Candido montò quel tavolino dell’Ikea con maggior costrutto, certo è che pensò tutta la sera alla questione di Platone e delle idee, ma la pensò in funzione del suo problema: la battuta float.

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