- La motivazione efficace è il fuoco che ci spinge ad eliminare la distanza tra quello che si è e quello che si desidera essere.
V.1 Il senso di inadeguatezza e il suo superamento
Trasportando la riflessione filosofia al nostro campo di pallavolo, pensiamo ad un ragazzo che entra per la prima volta in palestra e conosce la sua nuova squadra. La prima attività mentale che un atleta esercita in questo contesto è quella relativa alla percezione del suo ruolo nella squadra e delle competenze che gli sono necessarie per svolgere il proprio compito. L’atleta si guarda intorno, osserva il modello di gioco, chi occupa già il suo posto in squadra, osserva l’ambiente e si misura con la situazione che percepisce. Poniamo che il nostro uomo sia un centrale: sarà naturale verificare come si comporti l’alzatore, quale palla giochi più frequentemente (la C, la C2, la 7…), come la giochi e soprattutto verificare le competenze dei giocatori del suo ruolo che già sono in squadra. Ovviamente si porrà il problema di cosa si aspetti il coach, di quale categoria si giochi e della qualità della squadra nella quale è chiamato a giocare.
Tirerà le somme e misurerà la percezione di sé con quello che questa situazione gli chiede e con i suoi obiettivi.
Questo momento è decisivo. Secondo lo schema che deduciamo da Adler, se il nostro centrale ha uno stile di vita adeguato sarà consapevole della distanza tra ciò che lui è e quello che gli è chiesto e si muoverà per colmarla, tanto più agirà in un contesto di collaborazione con la squadra, tanto più facilmente raggiungerà l’obiettivo. Questo è il senso di inadeguatezza. Se la distanza apparirà al ragazzo un baratro incolmabile il giusto senso di inadeguatezza si trasformerà in un complesso di inferiorità.
Se il nostro centrale, per motivi che precedono l’impegno sportivo e finiscono in palestra, ha costruito uno stile di vita inadatto al superamento delle sfide che lo attendono avrà un atteggiamento difensivo, il suo complesso di inferiorità o di superiorità lo soffocherà, sarà incline all’abbandono, soggetto a nevrosi, ad avere un rapporto inadeguato con i compagni e la squadra.
Le alternative sono due: supero le difficoltà, mi creo alibi e abbandono.
Tutto dipende da un elemento che precede l’ingresso nella nostra palestra: il ragazzo è un ragazzo che ha sviluppato un buona volontà di potenza o è un bambino viziato.
V.2 La voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Possiamo fidarci di Adler quando ci dice che la pulsione naturale dell’uomo è colmare la distanza tra ciò che è qualcosa che pensa di dover essere? Pensiamo veramente che l’uomo sia predisposto naturalmente a superare i propri limiti? Adler ci dice che questa è la norma e che la resa è in qualche modo patologica. Il bambino viziato (definizione da non prendere nel senso letterale) in breve è quello abituato a ricevere la soluzione dei propri problemi dal di fuori e abituato come è ad un genitore che discute con l’allenatore fino a farlo diventare titolare non troverà mai le forze per cavarsela da solo.
Per comprendere quanto Adler abbia sviluppato con i suoi studi scientifici una visione filosofica molto alla moda agli inizi del ventesimo secolo sarà bene dare un’occhiata al pensiero di Nietzche, una parte almeno del pensiero di Nietzsche, quella del Nietzsche maturo, al netto del tradimento operato dalla sorella che ci ha consegnato una filosofia piegata alla tragedia nazista.
Sfumata la riflessione su apollineo e dionisiaco che aveva caratterizzato la giovinezza, il filosofo si sofferma a riflettere sulla potenza della pulsione vitale che regola l’universo. I
l fuoco del quale partecipa l’umanità è una forza inarrestabile che spinge continuamente verso il cambiamento. Nulla è sottratto naturalmente a questa volontà poderosa.
E sapete voi che cosa é per me il mondo? Devo mostrarvelo nel mio specchio? Questo mondo é un mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea, che non diventa nè più piccola nè più grande, che non si consuma, ma solo si trasforma, che nella sua totalità é una grandezza invariabile […] Questo mio mondo dionisiaco che si crea eternamente, che distrugge eternamente se stesso, questo mondo misterioso di voluttà ancipiti, questo mio al di là del bene e del male, senza scopo, a meno che non ci sia uno scopo nella felicità del ciclo senza volontà, a meno che un anello non dimostri buona volontà verso di sè, per questo mondo volete un nome?Una soluzione per tutti i suoi enigmi? E una luce anche per voi, i più nascosti, i più forti, i più impavidi, o uomini della mezzanotte? Questo mondo é la volontà di potenza e nient’altro! E anche voi siete questa volontà di potenza e nient’altro! (Nietzsche, Volontà di potenza)
Pare di vedere il filosofo nell’eccitazione della scrittura, ispirato, rapito dall’appartenenza a questo afflato cosmico. L’uomo è parte di un fiume eracliteo che non è mai uguale a se stesso, che distrugge e che crea, che si distrugge e si ricrea, che non si affida a leggi cosmiche o morali che basta a se stesso e che sembra trovare felicità solo nello stesso cambiamento. Il pensiero di Nietzsche è distruzione dei valori morali pretesi come assoluti, è palingenesi della vita stessa.
Non ci stupisce che la sua visione metafisica possa essere stata utilizzata da mostruosi regimi, ma in Nietsche non c’è violenza in quanto sopraffazione: la violenza lascia il posto alla forza, al dinamismo, alla volontà di librarsi senza scopo sopra il bene e il male, perché ogni scopo è superato da un nuovo approdo. Lo scopo semmai, potremmo dire forzando il pensiero dello stesso autore, consiste proprio nell’affermazione di questa volontà di potenza.
Per questo motivo ogni uomo che si abbandona alla pulsione originaria dell’universo deve aggiornare continuamente il proprio punto di vista, senza mai fermarsi su una verità, senza mai cullare la pretesa assurda che questa verità sia vera sempre e per tutti, sub specie aeternitatis. L’uomo che perde è quello che si ferma. L’atleta perdente, diremmo noi, è l’atleta che non vuole superarsi e pensa di aver raggiunto un traguardo.
Il nemico di Nietzsche è proprio il nostro amico Platone, colpevole di aver individuato delle idee ferme e immutabili. Platone, per Nietzsche, ha il torto di aver indicato un punto di arrivo. Non esiste un punto di arrivo per l’oltreuomo di Nietzche e non esiste un traguardo che appaga per il nostro sportivo perfetto. L’obiettivo semplicemente non esiste, tutto confluisce in una eterna trasformazione creatrice.
Per Nietzche, se l’uomo trovasse la verità tradirebbe la sua pulsione al cambiamento, diremmo noi che perderebbe la sua spinta vitale, la sua motivazione esistenziale. La volontà di potenza non può fermarsi ad un oggetto, ad uno stato, ad una concezione della verità stessa. La volontà di potenza è il processo del desiderio che non conosce sosta e che prende atto della volontà creatrice che è dentro l’uomo. La volontà vive il paradosso di desiderare uno stato, una verità, ma al tempo stesso sa che non potrà mai fermarsi a questa verità, a questo traguardo raggiunto. La volontà aspira ad una meta, ma già nega l’oggetto del proprio desiderio. La volontà di potenza è un flusso cosmico, una forza inarrestabile di trasformazione che guarda alla stessa trasformazione.
Scendiamo sulla terra e abbandoniamo la prosa di Nietzche: nello sport questa volontà senza meta non è quello che troviamo nei nostri ragazzi più motivati? Quanti ragazzi entrano in palestra ponendosi un obiettivo e quando lo raggiungono non si dimostrano certo appagati e cercano subito un nuovo traguardo! Quante vittorie demoralizzano perchè viene meno l’obiettivo di tanto lavoro. Quante sconfitte d’altra parte lasciano la voglia di riprovarci, di superare se stessi e i propri limiti.
Utilizzare la filosofia per motivare un ragazzo, un gruppo, una squadra è difficile e pericoloso. Ma se i nostri atleti fossero parte di questo processo che Nietzsche chiama volontà di potenza, non ne saremmo felici?
L’individuazione di obiettivi, quello che chiamiamo goal setting, è senz’altro un processo utile nella moderna psicologia dello sport. Sono stati elaborati test, parametri, tecniche. Tutto questo è molto utile e l’apporto di specialisti è fondamentale al raggiungimento di obiettivi precisi. Ma non esiste un obiettivo, non deve esistere: raggiunto un traguardo non c’è neanche il tempo per osservare quello che abbiamo fatto, dobbiamo distruggere il nostro stesso essere creando qualcosa di nuovo.
Dal punto di vista filosofico non penso però che questo fuoco sia in contrasto con la visione socratica e platonica. Non affermava forse lo stesso Socrate di avere un demone che lo spingeva senza sosta a sapere, conoscere, interrogare?
Lo stesso in palestra: credere nell’esistenza di una schiacciata perfetta non significa accontentarsi di una nostra buona schiacciata e nemmeno pensare che quella che faremo domani sarà la nostra migliore schiacciata.
A me come coach tutto questa dinamica serve tantissimo. Obiettivi a breve, a medio e lungo termine, realizzabili, condivisi dal gruppo e dalla società sono certo elementi fondamentali per guidare un gruppo al successo. Ma quello che noi dobbiamo accendere è il fuoco senza meta di cui parla Nietzsche, un incendio che porta i ragazzi ad essere insoddisfatti ogni volta che si raggiunge un traguardo. Una vittoria deve essere desiderata, ma questo desiderio è buono solo se dopo ci lascia un vuoto. Una vittoria è un lutto.Il vuoto è colmato (provvisoriamente) da un nuovo traguardo, una nuova ragione per vivere la palestra, il sudore, il lavoro. Qualcuno la chiama fame, io non so se fame o volontà di potenza siano le giuste espressioni, ma certo è che questo distingue uno sportivo da un campione.

