Platone e la battuta float. III, 2 Dalle idee al gioco. Un piccolo esperimento

imageQuesta volta Candido, il prof. di educazione fisica, utilizzò proprio Marta, la centrale che non chiudeva gli occhi prima delle battute per sperimentare la teoria della collega di filosofia. Marta sembrava la più restia ad adottare certi sistemi di allenamento mentale e a Candido piacevano le sfide. Il Prof decise di insegnare la palla “7” (una palla di primo tempo spostata rispetto al centro) durante l’allenamento in cui la ragazza era indisponibile a causa di un piccolo infortunio. La pregò di essere presente, di osservare le compagne dalla tribunetta della palestra e memorizzare quanto avrebbe visto durante l’allenamento. L’allenamento successivo, con il pretesto di usare un po’ di precauzione nel recupero dall’infortunio, non le fece provare il nuovo colpo, ma la mise nuovamente ad osservare le compagne di ruolo, questa volta dal campo. Le concesse di aiutare raccogliendo i palloni. La ragazza scalpitava, voleva giocare. Il Prof sapeva che ad ogni pallone raccolto Marta bruciava sempre più dal desiderio di provare il nuovo colpo: aveva pianificato ogni cosa e, con la scusa di volerle evitare salti traumatici, la mise ad alzare, in modo che si rendesse conto di quello che serviva alla centrale per realizzare un buon attacco.

L’allenamento si chiuse così: Marta che alzava e scalpitava per attaccare e le sue colleghe che si divertivano a buttar giù palloni. A raccontare quello che successe la volta, quando Marta fu giudicata da Candido abile e arruolata per gli attacchi, si fa presto: la prima “7” della giovane atleta fu da urlo, perfetta! La sua mente aveva visualizzato correttamente i movimenti e il suo corpo si era allenato nei due allenamenti precedenti… pur senza saltare realmente. La sua testa aveva contato i passi, si era spostata e aveva colpito la palla decine di volte. Il corpo era stato solo apparentemente fermato dall’infortunio, la mente aveva lavorato per i muscoli!

Io non sono stato un buon giocatore, direi che non sono stato un giocatore: ho smesso troppo presto e non ho avuto possibilità di misurarmi con la vera pallavolo. Se un allenatore è stato un buon giocatore è facile per lui mostrare agli atleti come eseguire un palleggio, un attacco, una difesa. Proprio perché sono perfettamente cosciente di avere molte carenze tecniche (inoltre i miei cinquanta anni rendono alcuni movimenti un po’ impacciati), se devo spiegare un colpo lo faccio eseguire da una ragazza brava in quel fondamentale e solo quando sono sicuro che le altre lo abbiano visualizzato e memorizzato passo alla realizzazione pratica.

Le ragazze, i ragazzi, devono analizzare quello che vedono, ripeterlo mentalmente, immaginare di farlo. È decisivo che l’immagine sia chiara ed efficace e che il movimento da idealizzare sia eseguito alla perfezione. Più chiara e nitida è la visione dell’idea più efficace sarà la realizzazione concreta del gesto.
Ma tutto questo non basta. La cosa realmente fondamentale è la partecipazione emotiva dell’atleta.

t Se ad esempio abbiamo dinanzi a noi un ragazzo che commenta: <<ma tu sei bravo, io non ci riuscirò mai….>> è certo che non produrrà mai lo sforzo per immaginare il gesto, soprattutto non produrrà un’idea così potente da attivare i propri muscoli correttamente….

Credo anche che sia importante, per un fatto motivazionale, mostrare l’esito dei colpi. Se monto dei filmati in cui voglio mostrare la corretta esecuzione di una pipe non mi limito al salto e al colpo sulla palla, tagliando le immagini sul più bello. Voglio che i miei ragazzi osservino la palla cadere efficacemente nel campo avversario, vedano l’atleta esultare e gli avversari dannarsi. Voglio che commentino: <<che buca!>>, <<prendi ‘sti spiccioli!>> o stupidaggini simili. Li voglio vedere convinti che eseguendo quel colpo come lo vedono in tv o sul tablet, poi possano urlare in faccia agli avversari.

Ammetto, quello che ho raccontato nel paragrafo precedente e in questo è una banalizzazione estrema della teoria delle idee, non ha il fascino ipnotico delle pratiche new age, né carica come la PNL … però funziona discretamente: questo lo posso garantire avendolo sperimentato tante volte sul campo.

 

3.3 COMPITI A CASA: LA PARTITA DI QUELLE GRANDI!

 

Rimaniamo nel territorio delle giovanili. Nel nostro club sicuramente ci sarà una squadra seniores, oppure una squadra di età superiore a quella che alleniamo, triste è la società sportiva che non ha un modello da offrire ai propri giovani! Se poi alleniamo una prima squadra, almeno che non si tratti della nazionale brasiliana, ci sarà sempre nei paraggi una squadra più forte da andare a vedere. Bene, il compito a casa è apparentemente semplice. Si organizza una bella uscita collettiva e si porta la nostra squadra di mocciose a vedere una partite di quelle grandi. Il primo set ce ne stiamo in silenzio e lasciamo fare, il secondo cominciamo a dare delle indicazioni su cosa osservare. Prima del terzo set diamo un compito preciso: guarda la numero nove che bel bagher di ricezione! Guarda come coprono il pallonetto, osservate in P5 che schema di attacco utilizzano…. Il gesto o lo schema da osservare devono essere alla portata delle nostre ragazzine. E’ inutile portare una under 13 a vedere la nazionale e dare loro il compito di osservare la battuta al salto top spin: la possono ammirare, ma non hanno gli strumenti che permetterebbero loro di interiorizzarla.

All’allenamento successivo le ragazze ricordano quello che abbiamo chiesto loro di osservare nel terzo set. Si passa da un ricordo leggero ad un momento solenne. Le giovani atlete in silenzio chiudono gli occhi, memorizzano, rielaborano. Poi si allenano normalmente facendo altro. Durante l’allenamento che seguirà si ripete la stessa procedura: in cerchio, chiudono gli occhi ed elaborano. Questa volta però, durante l’allenamento, dovranno eseguire quello che hanno visualizzato…

…se abbiamo lavorato bene il risultato è garantito!

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