Perchè sono questo coach qui…

Da giovane nel calcio, nella pallavolo, nell’hockey non ho mai avuto talento. C’erano sempre quelli “dotati” e io venivo dopo. Solo nel pugilato mi dicevano che ero bravino, ma ormai ero grande e poi se davo un cazzotto ben assestato a qualcuno mi sentivo in colpa. Negli altri sport se volevo un posto in squadra dovevo sudare più degli altri, ma alla fine io giocavo e gli altri stavano fuori. Ho iniziato a correre a 35 anni. Anche qui, solo fibre rosse, solo distanze lunghe, lunghissime. Al primo chilometro della mia prima maratona di sembrava di morire: lo corsi in 5′ e ne restavano 41 di km, più quei 195 metri che sembrano infiniti. Quel giorno ho finito in 3 ore e 31 minuti. Non ho mollato di un secondo: tutti e 42 chilometri a 5′! Per fare quella maratona e quel tempo mi sono allenato dieci volte più degli altri, mi sono alzato con il buio, ho corso per mezz’ora sulle scale di casa quando fuori pioveva e faceva freddo: solo quando ero ben caldo a forza di fare due piani di scale su e giù sono uscito sotto la pioggia senza kway ed ho corso per altre due ore, un’ora in salita e una in discesa, ma per il rientro ho scelto un sentiero di collina, sterrato e con il fango, troppo facile riscendere sull’asfalto. Soprattutto guardavo con rispetto chi andava più forte e cercavo di stargli dietro in silenzio. Tanti amatori di talento quel giorno della mia prima maratona sono rimasti dietro.
Quando ho iniziato ad allenare pallavolo non avevo un passato da campione come credenziale da far valere. Ho iniziato quasi per caso con una terza divisione che giocava all’aperto, a 600 metri d’altezza. Misi un allenamento il 4 gennaio e quando le ragazze videro il campo con il ghiaccio se ne volevano andare. Comprammo 20 chili di sale e dopo un’ora eravamo ad allenarci. Gli altri allenatori capivano al volo una rotazione, correggevano errori che io neanche vedevo, costruivano campioncini da gente che io non avrei fatto neanche entrare in palestra. Mendicavo di assistere ad un allenamento, studiavo, mi allenavo anche io per mostrare in maniera credibile una battuta, un bagher, guardavo ogni partita, ascoltavo i tie break altrui prima che il grande fratello li mostrasse in tv. Piano, piano, al mio livello, ho cominciato a vincere qualche set, qualche partita, addirittura qualche campionato, a scalare categorie e serie. Quando ho allenato una C o una D è stato perchè ho vinto i campionati inferiori o perchè avevano cacciato un allenatore e su piazza in quel momento non c’era nessuno disponibile. Proprio per questa mia “storia” so che nello sport non ti regala niente nessuno.
Per questo non sopporto chi voglia giocare titolare senza dimostrarmi di valere tre volte più di chi lo è. Dico tre volte, perchè se pretendi di essere titolare non mi devi lasciare dubbi. Per questo non sopporto che un genitore vizi i propri figli e vada a lamentarsi con il coach o li scoraggi alimentando pretese e piagnistei. Per questo pur avendo avuto sempre le mie figlie nelle società dove allenavo non le ho mai allenate e anche se spesso sia accomodavano in panchina o addirittura non erano convocate non ho mai interferito con nessun allenatore, anzi, ora che ci penso, non ho mai parlato con nessun allenatore delle mie figlie. Per questo credo che lo sport sia una straordinaria scuola di vita: se lotti e vali più degli altri vai avanti. Se davanti hai uno più bravo e non riesci a superarlo, stai al palo, anche nonostante i tuoi sforzi.
Anche per questo a volte ho avuto dei problemi. Sarà arroganza ma penso che il problema sia di chi non sa vivere, o forse per troppo amore non sa far vivere i figli, non mio.

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