Per qualche settimana, o finché ne avrò voglia pubblicherò delle pillole ricavate dal pensiero di Karl Marx. Non lo faccio perché credo che la sua cassetta degli attrezzi ci possa essere di una qualche utilità oggi, almeno non può senza essere ripensata. Sento però parlare sempre più spesso del bisogno di ripensare la sinistra e allora mi viene facile dire che se si vuole costruire un moderno martello, o anche un falcetto, ammesso che qualcuno sappia ancora a cosa serva, sia utile dare un’occhiata ai vecchi attrezzi del nonno, ammesso anche che qualcuno a sinistra sappia di avere un nonno. Oggi propongo l’utensile più significativo del caro Marx, la Prefazione a Per la Critica dell’economia politica. Siamo nel nel 1859, 159 anni fa! Questo fatto già ci dice che sarebbe ridicolo pensare di affidarsi a questo testo per risolvere oggi le liti tra gli eredi del suddetto nonno. Mi pare, però, che i sostenitori del mercato libero di rivolgano ad antenati non certo più giovani del vecchio Marx. Il testo, che propongo di leggere con molta attenzione, è la sintesi più concisa e autentica del materialismo storico. Va letta e riletta perché nasconde un tesoro in ogni parola (Marx era un fine scrittore e grande polemista). Nel prossimo post vedremo una interpretazione che ne dà Engels in una lettera a Bloch scritta dopo la morte di Marx. Qui sottolineo soltanto alcuni punti:
La lettura dei fenomeni economici, politici e culturali avviene in una dimensione sociale e non individuale.
l’insieme dei rapporti di produzione è il fattore che determina la struttura sociale e non il contrario
La frase:

Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza
la quale sintetizza efficacemente il concetto base del materialismo storico: il rapporto di causa/effetto tra base economica sociale e struttura economico produttiva.
In sostanza e in pratica questo vuol dire che la legge, la politica, le coscienze sociali e collettive non determinano l’economia, ma al contrario è l’Economia che cambia il mondo, come recita un bel compendio di Varoufakis. Per questo un marxista ortodosso non si concentra nel determinare un cambiamento culturale, ma ottiene un mutamento delle condizioni sociali, politiche, culturali e religiose attraverso un’azione efficace sulle condizioni economiche. Ma Marx è un tipo coerente: se ha appena affermato che tutto dipende dall’economia non può affidare al politico la responsabilità del cambiamento. La classe dirigente del partito sarà l’avanguardia, come sosterrà Lenin. Tuttavia sarà la stessa economia capitalistica, venendo in contraddizione con sé stessa, che produrrà la rivoluzione. Su quest’ultimo punto Gorbachev ebbe da ridire durante il XXVIII Congresso del Pcus, nel quale sostanzialmente affermò che il Partito comunista sovietico aveva sottovalutato la capacità di trasformazione del capitale, prendendo atto della possibilità, dimostrata dal sistema di produzione capitalistico, di sopravvivere alle proprie contraddizioni. Quel giorno morì il comunismo classico, almeno nella dimensione che si affidava in maniera ortodossa alla fondazione del materialismo storico di Marx. Oggi sarebbe utile ripensare la critica, sviluppare l’analisi. Difficile tradurre questa convinzione in azione politica, ma studiare un po’ non farebbe male.
Buona lettura.
