Benetti diventa un coach. Per una macchia di zabaione.

Per una macchia di zabaione

Il fatto è che nel tragitto dalla Garbatella fino alla Stazione Termini la gelateria Fiocco di neve, ad uno schizzo dal Pantheon, non c’entrerebbe nulla. Di fatti non avevo alcun motivo di passare dalle parti del Pantheon e il treno non aspetta. A volte la gola fa perdere i treni. A volte per perdere i treni ti rifugi nella gola. Freud però non c’entra: Zabaione buono dalle mie parti non se ne trova e avevo una gran voglia di fare colazione con un bel gelato allo zabaione. Inoltre me lo ero promesso la sera prima e sono un tipo che mantiene le promesse, soprattutto se fatte al sottoscritto.

Con il caldo lo zabaione si scioglie più facilmente di qualsiasi altro gusto. Fretta e sbadataggine avevano prodotto quella bella chiazza giallognola sulla mia maglietta. Sarei arrivato al binario due appena in tempo per il Freccia Rossa che mi avrebbe portato a Milano Centrale. Mi sarei dovuto tenere la macchia, non c’era tempo per rimediare. Tutto il giorno, quel giorno che si preannunciava estenuante, era programmato e condizionato dagli orari dei treni. Orario di partenza da Roma Termini ore 9, orario di arrivo a Milano Centrale 11.55.

Alle 8.58 salgo sul Frecciarossa, un tizio vestito con la divisa buona mi osserva il biglietto come fosse trasparente. I suoi occhi di kriptonite bucano il foglio A4 sul quale avevo stampato il titolo di viaggio, si fissa sulla mia T shirt e notifica: <<Signore, si è macchiato la maglia. Vuole che proviamo a smacchiarla?>> Eh, sì, adesso mi metto a torso nudo mentre tu mi combini un bel guaio. Meglio lo zabaione che sul bianco non stona.

Per distrarmi dal nervoso che monta ripeto il mantra dei miei orari odierni: appena arrivato a Milano centrale sarei subito corso alla Bocconi per tenere le mie due ore di quella specie di lezione. Unico margine il quarto d’ora accademico tollerato per l’inizio della lezione. Subito dopo sarei scappato con l’ultimo treno utile da Ingrid, che stava lavorando più o meno dalle parti di Innsbruck. Partenza da Milano ore 15, arrivo a Innsbruck ore 20 e 32! Avevo anche messo in conto qualche controllo di quelli che ormai, alla faccia di Schengen, vengono fatti sia Bolzano che a Innsbruck, e fissato l’appuntamento con la mia fidanzata alle 21. Sul treno di solito dormo e mi diverto, avrei smaltito facilmente lo stress per quelle due ore di quella strana cosa da fare alla Bocconi. L’incognita, come sempre, era solo nella puntualità dei treni. Per stare dentro ai tempi non sarebbe bastato aver fortuna con la strada ferrata: avrei anche dovuto tagliare qualcosa del lavoro che mi era stato richiesto.

La scelta fu facile. Fanculo al feedback dell’uditorio, non ci sarebbe stato tempo! Non potevo rischiare di perdere il treno delle quindici. Il Rettore mi aveva chiesto due ore di lezione, più domande ed interventi. Mi sarei tenuto nel limite delle due ore, alle 14 e trenta saluti e baci a tutti; non ci sarebbero state domande, non avevo alcuna voglia di ascoltare interventi e anche se ne avessi avuta non c’era tempo. Da giorni pensavo inutilmente a quella stupida missione impossibile: spiegare a imbolsiti professori universitari perché una ventenne milanese preferisse una lezione di logica tenuta da un gran fico, giovanissimo quanto brillante filosofo ad una esercitazione di analisi1 con un decrepito e saccente so tutto io che inizia a valutare un compito dal 25 a scendere.

Perchè perdere tanto tempo in questa impresa? Le ragioni delle cose, come ci insegna Guglielmo di Ockham, sono le più semplici: Perché chiedermi una cosa inutile? Sarebbe stata la risposta giusta per il Rettore. Mi rimase strozzata in gola. Mario Brandi, il Rettore, amico fraterno di mio fratello, era la mia unica fonte di sostentamento certa e se volevo avere speranza di un nuovo incarico per il prossimo anno non potevo rifiutare. La mattina precedente a quella della macchia di zabaione ero al buio. Quei maledetti numeri sulla frequenza alle lezioni, il gradimento degli studenti, i risultati raggiunti analizzati uno per uno non dicevano nulla e messi insieme significavano solo una cosa: le lezioni degli altri erano una gran palla! Mi avevano premiato per due semestri consecutivi come il professore più seguito dell’Ateneo. Mario Brandi ha voluto privare della propria libertà, per ben due ore, illustri cattedratici ai quali avrei dovuto spiegare perché nel mio corso di logica, peraltro facolativo, le cose funzionassero.

E che ne so io? Contabilizzando il tempo di ciascun collega, il mio biglietto del treno andata e ritorno e le spese a piè di lista che pretesi di ottenere per una notte a Innsbruck, quelle due ore sarebbero costate una decina di migliaia di euro… e il giorno prima della lezioncina che avrei dovuto tenere ancora non sapevo cosa dire.

Eppoi è meno pericoloso aiutare Ingrid in una delle sue strampalate indagini da sceriffo austriaco che affrontare, da saccentello, gravato peraltro da un pesante accento romanesco, una platea di baroni universitari milanesi.

Per fortuna Roma a Giugno ha un tramonto che farebbe venire una buona idea anche ad un criceto. Indosso le mie Brooks da running, la mia maglia tecnica Adidas gialla (non importa se ha i buchi, quelle tre strisce sulle maniche mi danno energia sufficiente per qualsiasi impresa) e scappo fuori dal mio appartamento al sesto piano di via Munari. I cinesi rintanati dietro uno dei quattro portoncini del pianerottolo stanno consumando tutto l’aglio disponibile nel quartiere. Sento che la puzza contamina la mia maglia gialla mentre scendo le scale, nel vano tentativo di scaldare le mie caviglie che solo pochi anni prima sembravano esplosive e che ora sono rigide come due blocchetti di marmo. L’aglio mi rincorre veloce fino al primo piano. Sull’androne trovo Gianna, la figlia di Ines, la portiera. <<Andiamo a correre insieme?>> Mi guarda con i suoi occhi lessi, con indosso il suo completino Puma e mi chiedo come faccia a sapere che sarei uscito per correre a quell’ora. <<Te l’ho già detto, devi crescere ancora un po’… ma tranquilla, ti aspetto.>>

Devo non-pensare per trovare una soluzione e non posso far finta di essere gentile con una minorenne invaghita di un bulletto aspirante professore che si diverte a fare il coach sportivo, che alla fine è già duro spiegare cosa significhi. No, non ero in vena di sottopormi al suo fuoco di domande. Corro riuscendo a vuotare la mente fino a Ponte Garibaldi, mi lascio l’isola Tiberina a sinistra, scendo e salgo da quella che dovrebbe essere una ciclabile e sulla quale ogni amministrazione capitolina ha fatto a gara a chi fosse più sciatto. Raggiungo San Pietro che il sole ha appena colorato di arancione. Una mezz’ora di corsa se ne è andata leggera e rigenerante. Spengo le cuffie wi fi, uno dei pochi acquisti azzeccati su ebay, e comincio la via del ritorno iniziando ad elaborare la mia strategia. Sono finalmente in zona e il mio cervello è tutto sulla chiacchierata di domani. La storiella del treno può funzionare, mi prendo un po’ per il culo ed evito di fare il saccente. Salve sono Marco Benetti, no, non sono parente di Romeo Benetti e non spezzo le gambe a nessuno. Sono un filosofo che insegna logica nella facoltà di matematica, bella stranezza eh? A proposito, conoscete la differenza tra un treno e un filosofo? No?!? Il treno quando esce fuori dai binari deraglia, il filosofo… va avanti che è una meraviglia… .

Non riderà nessuno, ma penseranno di avere davanti un coglione e si rilasseranno. Dopo questo esordio non penseranno certo a me come ad un pericolo. Captatio benevolentiae alla Tenente Colombo de noiartri, può funzionare.

Intanto il Garmin segna un’andatura di quattro minuti e venti secondi al chilometro. Il passo è quello accelerato di quando il cervello perde il controllo delle gambe e pensa con efficacia. Mi servono almeno tre punti per smontare quel modo antico di far lezione e ci costruisco intorno due ore di chiacchiere. Mi concentro e accelero ancora un po’. Primo punto: mi riallaccio alla presentazione. Proviamo a fare il treno: quando i nostri ragazzi escono dai binari giochiamoci la carta di andare fuori con loro e vediamo quello che succede. Non giudichiamoli, proviamo a seguirli!

Perfetto, quel cretino che parte a dar voti da 25 deve capire che non giudicare può essere utile anche a lui. Qui, per creare un briciolo di empatia, li provoco e mi vendo il nonno milanese.

Milano è troppo vicino alla Svizzera. Guardate che anche se solo per un quarto di sangue, sono milanese anche io, so cosa vuol dire, del resto non mi chiamo Benetti a caso. Gli svizzeri in tutta la loro storia di pace e benessere hanno avuto un solo genio, Einstein, e l’hanno impiegato all’Ufficio brevetti. Einstein era uno che deragliava. Allontaniamoci dal confine svizzero e concediamo una possibilità ai nostri ragazzi.

Bene, il cervello comincia a starci dentro, certo che quelle due inglesine che corrono dieci metri avanti sono una bella distrazione! Debbono essere in gran forma: corrono con una buona frequenza, poggiano il piede con elasticità e sono sempre in spinta. Attraverso ponte Sublicio e ritorno verso il Fatebenefratelli, devo rientrare in zona e quelle due mi portano fuori, meglio lasciarsele alle spalle.

Secondo punto. I nostri ragazzi sanno già tutto, dobbiamo solo sollevare la polvere che copre il mosaico della loro conoscenza. Questa me la vendo come mia. Agostino mi perdonerà, ma una citazione dotta sarebbe mal vista. Certo è che ‘sta storia del mosaico è comunque dura da far digerire ad un professore di matematica. Ah, già, il Menone.

Se Socrate fa domande ad uno schiavo analfabeta e lo induce a dimostrare il teorema di Pitagora, noi non pensiamo che le migliori giovani menti di Milano possano arrivare da soli a quello che dobbiamo loro insegnare? Non pensiamo che, se scoprissero giocando con la loro intelligenza i punti del nostro programma, sarebbero molto più motivati che se noi infliggessimo loro noiosissime lezioni?

E così anche il secondo punto è andato. E’ proprio in quel momento che mi viene voglia di zabaione ed esco ancora fuori dalla zona, penso all’uovo, al marsala e a quella strepitosa sostanza che producono insieme. E’ l’origine della macchia che mi sarei procurato il giorno dopo. Del resto per non cadere nel bisogno dello zabaione devo allontanare il pensiero. Dialogo interiore, self talking: se continuo a correre e riesco a concentrarmi fino a trovare la soluzione, domani mi alzo mezz’ora prima e mi regalo tre euro di cono allo zabaione da Fiocco di neve. Mi sa che ho esagerato con gli esercizi di visualizzazione: me lo sento già sulla lingua e sotto il palato!

Manca ancora la terza questione che deve anche essere una degna conclusione del discorso. L’obiettivo è chiudere con un punto forte e fuggire verso il treno!

Intanto le due inglesine hanno fatto dietro front e me le trovo davanti appena cambio il senso di corsa. Amo le donne, amo le donne che corrono… tranne che quando tento di ragionare. Quella più anziana con i capelli rossi avrà quasi la mia età, arriviamo ad essere talmente vicini che ammiro le sue efelidi su una carnagione lattigginosa, tutto il suo corpo, teso e tonico, è in contrasto con i suoi grandi occhi neri. Ma fino dove si spingeranno queste due? Cosa vogliono esattamente? Si stanno divertendo o tentano un approccio? Perché sorridono? Questa volta però torno subito in collegamento con i miei pensieri e le due tipe mi regalano il terzo punto. Mi sento come il tipo che ha scoperto la gravità quando ha visto cadere una mela….come si chiamava il tipo. Vabbè, lasciamo perdere.

La cosa per noi più pericolosa è procedere senza sapere cosa pensano i nostri studenti di noi e della nostra materia. Il feedback, anche se negativo è il fulcro del gioco.

Primo: deragliamo insieme ai ragazzi, soprattutto lasciamoli deragliare. Due, lasciamoli giocare a scoprire quello che pretendiamo di insegnare e fidiamoci delle loro intuizioni. Terzo: rimoduliamo la nostra corsa sul loro feedback.

Il lavoro è fatto!

Ora l’unica cosa centrale era tornata ad essere la cena con Ingrid che intanto era alle prese con il valico del Brennero che ciclicamente qualche stupido governante crucco si mette in testa di blindare. Non c’è niente da fare: più sali al nord e meno c’è voglia di uscire dai binari! Chissà Ingrid da dove salta fuori! A casa devo ancora scegliere l’abbigliamento adatto alla lezioncina, preparare le slides e integrare i carboidrati. Le inglesine possono continuare a fare avanti e indietro lungo il Tevere, le saluto da lontano e quelle mi ignorano quasi irritate dalla mia attenzione. Avevano bluffato! Meglio così.

La sera lavoro con entusiasmo e un po’ di sadismo nei confronti del corpo docente, preparò le slides e le salvo su una pennetta con la faccia di Diabolik, la pennetta delle grandi occasioni, quella del mio eroe. La mattina sveglia alle sei, pilastri tibetani per addominali e dorsali, yogurt con cereali della Coop, forse biologici, forse no, e l’ultimo dilemma rimasto irrisolto dalla sera prima: l’abbigliamento.

Per l’occasione rispolvero le lezioni PNL di Mariolino, da me soprannominato vecchia sòla, conosciuto quando mi ero ridotto a vendere aspirapolveri e materassi porta a porta e lui era il consulente che l’azienda aveva ingaggiato per aiutarci a bidonare il prossimo.

Devi ricalcare il comportamento e il modo di essere di chi ti apre la porta: la signora apre la porta e tu devi aprire un canale di comunicazione sembrando il più possibile simile e familiare alla persona a cui vuoi vendere l’aspirapolvere.

E allora sia: giacca blu per ricalcare la solennità accademica dei colleghi e t shirt bianca no logo per ricalcare lo stile giovanile e sportivo degli studenti. Ma poi questa storia del ricalco e del rapport, bella invenzione! La captatio benevolentiae era il primo punto nello schema dell’orazione latina. Nessuno ti sta ad ascoltare se non è ben disposto nei tuoi confronti e la tecnica è sempre quella: mettersi in sintonia! Questi della PNL sono dei gran cialtroni. Non rinuncio al mio sponsor personale: scarpe Adidas comprate da Mohamed a Pozzuoli, rigorosamente false ma identiche alle originali, che poi quelle originali sono prodotte in Corea, e pantaloni di tela blu, che sono in rapport solo con le mie tasche vuote.

Ma adesso quella macchia di zabaione sulla mia maglia bianca immacolata da battesimo proprio non va e resta alta la tensione sulla necessità di contenere il sermoncino nelle due ore, senza domande e senza interventi. Bella contraddizione con quello che andrò a dire sul feedback! Penso ad Ingrid per tutto il viaggio ed è come correre libero, la testa è vuota, ma sotto sotto la sento lavorare. Quasi a Bologna mi viene in mente la parola resilienza e la metto in relazione alla macchia di zabaione: ne esce una miscela esplosiva! Essere resiliente mi aiuterà a superare il problema della macchia.

Avete notato questa macchia di zabaione sulla mia T Shirt? Il feedback dai miei studenti non lo pretendo su pezzi di carta o per email, prima di questa riunione mi sono andato a prendere un bel gelato con due di loro. Uno dei due tipi, sapendo cosa mi accingevo a fare, cioè parlare solennemente con voi, mi ha intenzionalmente macchiato con il suo gelato allo zabaione. Dovrò riflettere su cosa avesse da dirmi con questo gesto, oltre che dimostrarmi la sua amicizia con uno scherzo … di ottimo gusto!

Quindi, l’incontro termina senza domande e senza feedback, quando ci incontreremo al bar nel prossimo semestre, se il Rettore mi confermerà l’incarico, ne parliamo!

Applausi di liberazione dalla platea. Sono le 13 e 50: soddisfazione reciproca, amici miei!

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