Se dovessimo definire il COACHING in poche righe, almeno come lo intendiamo noi di Equilibrium, potremmo senz’altro affermare che sia lo studio di tecniche che aiutano a liberare il potenziale delle persone, al fine di ottenere il massimo dalle loro prestazioni attraverso il gioco interiore.
In questa definizione abbiamo utilizzato quattro espressioni significative:
- STUDIO
- TECNICHE
- POTENZIALE
- GIOCO INTERIORE
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In questi termini ci sono le parole d’ordine del nostro metodo di coaching.
Ma perché una persona dovrebbe chiedere un intervento di coaching o semplicemente confrontarsi con un approccio diverso alla vita e alla pratica sportiva?
Sostanzialmente perché vuole mettere ordine alla propria vita e molto più semplicemente perché sente il bisogno di un cambiamento.
Ecco, un altro elemento connesso al coaching è proprio il cambiamento. La voglia e la tensione verso il meglio presuppongono una disponibilità al cambiamento. Se non si decide di uscire dalla propria zona di comfort, dove nulla cambia e tutto ci è familiare, non avremo mai una piena espressione del nostro potenziale.
Il coaching è un lavoro faticoso ed è molto più complesso di quello che si possa credere. Non s’improvvisa, è frutto di studio e pratica.
Il metodo di 𝖢𝖮𝖠𝖢𝖧𝖨𝖭𝖦 𝖤𝖰𝖴𝖨𝖫𝖨𝖡𝖱𝖨𝖴𝖬 è fondato sul pensiero dei grandi filosofi, come Platone o Seneca, e pian piano vedremo come possano aiutarci nella nostra attività.
Esistono tanti metodi di coaching e non sempre è facile orientarsi in un mondo così vasto e poco regolamentato. Il coaching elabora tecniche, non si limita a recitare frasi alla moda sul modello di “se lo vuoi, puoi!“. Se vuoi migliorare devi cambiare e per cambiare non basta la voglia: servono competenze, serve il confronto, è indispensabile lavorare. Se vuoi cambiare devi essere disponibile a tutto questo.
Se quindi comincerai a giocare con te stesso e con la tua voglia di cambiamento stai già utilizzando il coaching.
Ma cosa è questo gioco interiore necessario al cambiamento?
Sul finire degli anni ’70 Tim Gallwey inventò il gioco interiore del tennis, “Inner game”, o meglio, lo copiò da Socrate.
Tim sosteneva che ognuno possedesse una capacità innata di giocare a tennis, ostacolata (non favorita) dall’insegnamento e dal proprio ‘agente sabotatore interno’. Una volta libero da questi condizionamenti ognuno potrà mettere naturalmente in atto il proprio potenziale.
È questa l’essenza discreta del coaching; un buon coach pone domande, non dà risposte, perché ha fiducia che, opportunamente stimolato, chiunque possa trovare la propria strada.
Del resto nessuno ci ha spiegato come camminare, eppure il mondo è pieno di persone che camminano egregiamente.
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