Un ultimo click per una sdraia blu / Device 9

Se ne stava sul terrazzo, lì, fermo. La sdraia blu, era comoda. Alla fine l’aveva comprata. Per tutta l’estate il cinese si era rifiutato di scontarla, anche se di soli dieci euro. Poi una mattina di settembre, Filippo si era svegliato disposto a cedere. L’avrebbe comprata a prezzo intero, novanta euro.

Invece la trovò, lì sul marciapiede, con un cartello sopra: svendita di fine stagione, cinquanta euro.

Ci rimase male. Si chiese subito il motivo di questo suo sentimento di delusione, quasi di rabbia. Quello che stava provando non aveva una ragione logica. Non avrebbe potuto far finta di nulla. Inviò un messaggio whatsapp al suo amico psichiatra, ne avrebbero parlato davanti alla solita birra.

Si passò la mano sulla testa, accarezzò i capelli che stranamente, prima di diventare bianchi, stavano volgendo al rossiccio. No, non se li colorava. Aveva passato l’estate a smentire questa impressione piuttosto diffusa tra chi osservava la sua capigliatura. Quella signora sulla quarantina, Luigina aveva detto di chiamarsi, si unì al coro. Ci fu tra loro una settimana di sguardi di traverso, mezze frasi, approcci che non dovevano sembrare approcci. Alla fine riuscì ad invitarla ad un aperitivo, una sera, proprio mentre lo stabilimento stava chiudendo e tutti se ne tornavano a casa o negli hotel. Passarono dieci minuti davanti ad una specie di cocktail, due olive e qualche salatino. Poi lei si aggiustò il cappellino turchese che indossava con grazia e gli disse:

Scusa la domanda, ma ti tingi i capelli?

Non le rivolse più la parola. Buongiorno e buonasera per tutta l’estate.

Comunque ora se ne stava a passarsi le dita tra i capelli, non colorati, davanti alla sdraia in liquidazione. La ispezionò bene, voleva accertarsi se per caso qualcosa non funzionasse. Controllò le cuciture, la chiuse, la riaprì, ci si sdraiò sopra e si mosse per testarne la stabilità. Fece tutto neanche troppo discretamente, sotto gli occhi inespressivi del cinese. Forse il commerciante non gradiva tutta questa diffidenza, ma non disse una parola. Sul piedino della sdraia blu c’era incollata l’etichetta, con tanto di marchio CEE. Visto che modello e marca erano ben visibili si collegò su Amazon per controllare.

Armeggiò con il telefonino senza alzarsi dalla bella sdraia blu.

Il cinese avrebbe potuto anche schiattare di rabbia per quell’affronto. Ma il cinese continuava a non dare segnali di nessun genere. Visto da un’altezza di quaranta centimetri neanche sembrava troppo cinese. Sì, insomma, in prospettiva non sembrava troppo basso e gli occhi non erano così cinesi.

La connessione era buona. Per forza, il ripetitore era proprio sul tetto del palazzo. Su Amazon trovò un prodotto identico, era in vendita a novantadue euro. Solo pochi minuti prima l’avrebbe comprata dal cinese a novanta euro e poi sarebbe stato fiero di aver risparmiato due euro, quando, a cose fatte, sdraiato sul suo terrazzo, avrebbe confrontato il prezzo. Era uscito da casa con quell’intenzione. Comprare prima e confrontare il prezzo poi, una specie di roulette russa con la sua autostima.

Ora che la sdraia era in vendita a cinquanta euro non era più certo di volerla comprare. Anzi, no, decise proprio di non comprarla. Si alzò con fatica e per una cortesia residua verso il cinese decise di rimanere lì a far finta di pensarci ancora un po’.

Si mise in un angolo, all’ombra perché il sole batteva sul telefonino e rendeva difficile la navigazione. Andò su Ebay, stesso prezzo di Amazon, ma con spese a carico.

Fu allora che le cose inaspettatamente cambiarono. Una signora, forse rumena, si avvicinò, evidentemente interessata alla sdraia. Cominciò a far domande. Questo fatto, la rumena vestita con un tailleur tutto giallo che ispezionava la sdraia, scombussolò i suoi piani. Cambiò nuovamente idea. Lo fece subito. Doveva stroncare la transazione tra rumena e cinese, doveva fare in fretta.

Si mise l’attrezzo sotto braccio ed entrò risoluto nel negozio, verso la cassa. Il cinese, soddisfatto, prese i soldi e disse che l’aggeggio non funzionava, niente scontlino.

Comunque nessun problema, per qualsiasi difetto avrebbe garantito lui. Disse così, più o meno.

La signora se ne era rimasta a gironzolare là fuori, guardando le tante cianfrusaglie in liquidazione. Quando lo vide uscire, con il suo trofeo portato a fatica sotto il braccio, lo guardò torva, si aggiustò la tracolla della borsa blu a secchiello e accidentalmente fece un passo che rese più complicato il passaggio dell’uomo nel corto vialetto, strappato abusivamente al marciapiede. Filippo, goffo, incespicò, ma riuscì a mantenere l’equilibrio. In cerca di un appoggio la sua gamba destra buttò giù una pila di secchielli di latta dall’uso indefinito.

Il cinese si precipitò a controllare e poi disse: va bene, non è successo niente.

Ricordava compiaciuto la sua impresa, Filippo, mentre se ne stava sul suo terrazzo, finalmente spiaggiato sulla sua sdraia, con gli occhi chiusi e un boccale di birra Pale americana in mano. In quell’attimo partì la suoneria del proprio Huawey.

Allungò una mano in cerca del suo telefonino, ma non lo trovò. Aprì gli occhi e guardò in direzione della canzone di un egiziano che però era italiano e che aveva vinto il festival di Sanremo. Soldi, soldi, recitava il refrain… nel momento esatto in cui l’uomo si sporse quel tanto che sarebbe bastato per recuperare il suo Huawei.

In un attimo, mentre l’egiziano che era italiano intonava il terzo soldi, un crack balordo accompagnò il cedimento della sdraia comprata dal cinese. L’uomo cadde al suolo battendo la spalla destra, che a sua volta si produsse in un crack sinistro per niente rassicurante. Un dolore, stavolta sordo, invase la zona del coccige. Poco dopo un bruciore acuto si fece sentire sulla coscia.

Tutti questi guai furono subito ben distinti nella coscienza dell’uomo.

Tutto in un attimo.

Filippo, ormai a terra, fece per rotolarsi in direzione del telefono, ma la pressione sulla spalla gli provocò un dolore improvviso. Si era rotto qualcosa. Sentì la gamba bagnata da uno strano calore che resisteva e sopravanzava la temperatura della birra sparsa sul pavimento.

Girò lo sguardo, dalla ricerca del telefono alla sua gamba sinistra. Il sangue usciva a fiotti. Una stecca della sdraia comprata dal cinese era uscita dall’alloggio e lo aveva tagliato a fondo. A terra già era visibile una pozza di sangue che aveva lavato la birra Pale americana.

Provò ad alzarsi.

Non riuscì che a muoversi verso il telefono.

Si sentiva avvampare il viso, al tempo stesso le forze venivano meno e il dolore si diffondeva per tutto il corpo. Aveva freddo, eppure il sole era ancora alto, soltanto un attimo prima gli penetrava nelle ossa.

Di recente aveva seguito un corso di primo soccorso. Ma non aveva mai utilizzato le sue conoscenze.

L’arteria femorale, pensò.

Si guardò intorno. Accanto al telefono vide le cuffie wifi, scariche. Le prese. Si piegò in preda ad un dolore insopportabile e le strinse forti a monte della ferita, che non smetteva di schizzare sangue. Le strinse ancora.

Le strinse troppo. Il cavetto delle cuffie si ruppe.

Prese il telefono. Chiamò il cinese. Si è rotta la sdraia, disse. Quale sdraia? Rispose il cinese. Vieni a riprendertela, disse Filippo. Non posso, ora. Portala in negozio, con lo scontlino. Replicò il cinese.

Gli amici di Filippo, dopo averlo atteso a lungo, presero atto che la partita di calcetto era andata a monte. Dopo l’ultima volta avevano deciso che in nove, no, non si poteva giocare. Si va a prendere una birra e quello che manca paga il conto. Lo avevano chiamato e richiamato. Prima libero e poi niente, segreteria telefonica.

Birra cruda artigianale, wurstel e patatine, allora.

Ne era uscito un bel conto. Luca pagò e si fece consegnare lo scontrino. Andarono tutti a casa, Luca aveva anticipato centoventidue euro. Decisamente troppo. Decise di passare all’incasso. Telefonò, citofonò, aspettò davanti al portone.

Ormai era mezzanotte quando gli venne in mente un’idea. Aspettò che la bella signora, mora, accaldata e precipitosa, alla guida di una panda beige aprisse il cancello per entrare nell’area dei box condominiali e s’infilò dietro di lei. La donna se ne accorse e prese qualcosa dalla borsa.

Spray al peperoncino pensò Luca.

Ma ormai era dentro. Vide che l’Alfa 159 blu di Filippo era al suo posto. Come cazzo si fa a comprare all’asta ebay un auto blu, pensò Luca e scappò via prima che il cancello fosse completamente chiuso. Le foto cellule si attivarono al suo passaggio e riaprirono del tutto il portone. La mora si allontanò in fretta, perfettamente a suo agio sul suo tacco 12.

La mora si mise al telefono.

Luca aspettò qualche minuto in attesa di una nuova idea, ma anche per smaltire la mezza sbronza. Poi aprì il bauletto del suo TMax 530 ed estrasse il casco. Fece per portarlo alla testa quando sentì qualcuno o qualcosa tirargli indietro le braccia, quasi a rompere le spalle. Il casco rotolò a terra. La forza anonima, sempre da dietro, gli tirò giù la giacca della Dainese in modo da bloccargli le spalle. Un ginocchio gli si piantò sulle vertebre e lo spinse a terra. Ora si trovava carponi, con le braccia dietro la schiena, immobilizzate e doloranti. Vide un lampeggiante blu e poi vide il volto del poliziotto. Feroce. Sentì le urla di una donna. Era la mora, sempre accaldata.

È lui!, urlò da una decina di metri, quasi che l’uomo così ridotto rappresentasse ancora una minaccia.

Fu identificato senza troppi complimenti. Ci mise un po’ a spiegare la situazione, mentre la donna, visibilmente delusa, se ne tornò a casa sotto gli sguardi peccaminosi dei tutori dell’ordine.

La polizia attese le autorizzazioni, poi fece irruzione in casa di Filippo alle sei di mattina. Dietro a loro fu ammesso Luca.

Dentro non trovarono nulla. Uscirono sul terrazzo quando i primi raggi di sole cominciavano a scaldare. A terra sangue, tanto sangue. Filippo, esanime, era riverso su quella macchia rossa, con il telefonino in mano. Un tipo risoluto, il capo, fece cenno ad un altro, un agente semplice, di avvicinarsi con molta cautela a recuperare il device. Disse proprio device.

Bisognava fare in fretta per verificare se ci fossero indizi, ma non bisognava inquinare la scena del crimine. Più o meno questo fu quello che ringhiò il graduato.

Il giovane, l’agente semplice, cercò di non calpestare il sangue, sembrava che si sforzasse di non respirare. Come se stesse giocando a Shangai recuperò il telefono senza muovere gli altri bastoncini. Lo porse al graduato senza cadere nella tentazione di guardare lo schermo. Quello, un cinquantino con i baffi brizzolati, allungò tutto il braccio per compensare la presbiopia, attivò lo schermo e recitò quello che vedeva.

Ci stanno otto chiamate non risposte.

Poi spinse il quadratino in basso che lo portava sulle schermate attive e commentò con inconfondibile accento campano.

Sta aperto sull’applicazione di Amazon.

Arrivarono i rinforzi, la scientifica, l’ispettore, il magistrato. Vicini e giornalisti si appostarono, avidi e cinici. Gli attori inventariarono, fotografarono, sequestrarono. Per completare il copione chiamarono a testimoniare anche la bella signora mora. Quella era già pronta per le ultime giornate di mare ed era ancora delusa per come si erano conclusi i fatti la sera prima. Lanciò uno sguardo di sfida a Luca, auspicando sviluppi interessanti. Ma quando capì che la storia dell’ amico scomparso che aveva scagionato il suo presunto stalker aveva trovato conferma, non fece altro che alzare le spalle e dire che le dispiaceva. Non conosceva l’uomo ed era rincasata troppo tardi per aver notato qualcosa di strano.

All’ora di pranzo il teatro calò il sipario. Sotto, nella piazzetta, una folla attendeva l’uscita degli attori. Matteo, il custode del complesso aveva scelto un abbigliamento sbagliato per quella giornata: bermuda a fiori e maglia arancione della Lacoste. Decisamente fuori ruolo.

Quando Luca gli passò davanti lo trovò alle prese con un corriere che non voleva sentire ragioni. Aveva un pacco Amazon prime e doveva per forza consegnarlo entro le 24 ore. Non importa nulla che il destinatario, Filippo Zamponi, fosse morto.

Era una bella sdraia blu.

La prendesse in consegna il custode, disse il graduato campano, uscendo dal portone.

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