In questa storia c’entro e non c’entro. Nel senso che io ci sono, ma sullo sfondo. Insomma, non è una cosa che dovreste chiedere a me. Però io ci sono stato e la posso raccontare. Faccio il meccanico. Meccanico di motociclette, ma poi …
…che stupido!
Dico che faccio il meccanico, ma facevo il meccanico. Con questo tremore che mi è preso non riesco a tenere in mano neanche un cacciavite. Figurarsi quelle grosse chiavi di allora. Sì perché allora per fare il meccanico ci voleva il fisico. Non era mica come adesso che un meccanico di moto si mette lì con tutti quei congegni elettronici. Se per caso deve svitare un dado un po’ duro ci butta sopra uno di quegli spray che hanno inventato per non far arrugginire i missili nucleari e dopo due minuti quello diventa un burro.
Il Nick, quello che mi ha insegnato il mestiere, Nicola, era pugliese o forse di Avellino, noi in Romagna lo chiamavano Nick, il Nick aveva un trucco. Ci metteva un poco di Coca Cola sui dadi e li lasciava bere una notte. Il giorno dopo erano più ragionevoli, ma sempre a colpi di mazzetta la dovevi girare la chiave.
Allora in questa storia c’entra anche il Nick. Mi sembrava giusto presentarlo.
C’era un matto che girava per il fiume, da noi a Gualtieri. Lo sapevano tutti del matto. Dicevano che veniva dalla Svizzera. Ce lo avevano mandato perché in Svizzera non vogliono i matti. Pure Einstein per loro era matto. Mi sa che i matti sono proprio gli svizzeri. Comunque questo matto del fiume ci girava intorno. Girava intorno all’officina del Nick. Io avevo paura. Ero un ragazzetto e quel matto era matto davvero. Girava intorno al fiume e chiamava gli animali con il loro verso. Erano urla. Urla brutte.
Non è che facesse cip cip. Urlava, disperato. Le prime volte lo sentivamo arrivare e Nick diceva: ecco il matto che arriva. Dopo si avvicinava in silenzio. Io me ne stavo lì a fare il lavoro che Nick non voleva fare e quello mi guardava. Ora si fa presto a dire che gli piacevano le moto rosse. Noi non lo sapevamo mica. Chissà che guarda? Dice Nick.
Con il matto non ci avevo mai parlato. Una volta portai una tipa a prendere un gelato a Brescello. Il paese di Peppone e Don Camillo. Ma allora non lo sapevamo ancora che era il paese di Peppone e Don Camillo. Ci si andava perché era vicino. E allora se dovevi portare una da qualche parte la portavi a Brescello. Mica potevi arrivare a Parma!
Il Nick mi aveva prestato una Moto Guzzi. Non è che me l’avesse proprio prestata. Avevo detto che la dovevo provare. E Nick che rideva sotto quei baffoni neri mi diceva: vai, vai, provala fino a Brescello. Ci avevo lavorato due giorni su quel dannato ferro vecchio, ma non andava mica bene. C’era questa qui, Caterina. Mi piaceva. Lavorava in una osteria dalle parti di Guastalla. Ci facciamo questa passeggiata a Brescello e io provo a prenderle la mano. Lei niente. Più mi avvicinavo e più si allontanava. Si capiva subito che non era giornata e allora le ho detto, dai Caterina torniamo che il Nick si incazza. Allora andiamo verso la moto, perché la Caterina l’avevo portata un po’ in disparte, infatti lei mi diceva, ma dove mi porti? Andiamo alla moto e ci trovo sopra il matto. Bruuuuum bruuummm fa con le mani sul manubrio. Toh, il matto del fiume! dice Caterina. Bruuummm bruuuum. Io avevo paura ma non potevo farmi vedere impaurito. Insomma che figura ci avrei fatto? Allora dico al matto: dai scendi! E la Caterina, ma dai lascialo, che male fa?
Il Nick s’incazza, ripeto. E’ questo il male, le legnate che prenderò. Dai matto scendi! Ma a me del Nick non importava nulla, tanto le legnate le prendevo lo stesso. Allora Caterina dice al matto: Antonio, scendi che dobbiamo tornare. Antonio lo chiama. Il matto, aveva un viso scavato, due occhi proprio da matto. La guarda e le fa: mi dai un bacetto? Allora Caterina si avvicina e gli dice: se domani mi porti un disegno e scendi dalla moto ti do un bacetto. Poi si avvicina, senza aspettare la risposta e gli dà un bacetto sulla guancia. Quello smette di fare bruuummm bruuuum, alza le mani dal manubrio, le prende delicatamente la testa, l’accarezza e le dà un bacetto sulla bocca. Se ne va e le dice: domani ti porto un disegno, ma mi dai un altro bacetto. Insomma, a me niente e al matto…
Riporto Caterina a casa sua e me ne vado da Nick. Gli dico sta storia del disegno, del bacetto, della Moto Guzzi e quello mi prende a legnate.
Nick però da quel giorno di Brescello s’incuriosisce e comincia a far domande in giro sul matto.
Lo sai che il matto non è matto mi fa un giorno che quello era tornato e se ne stava lì a guardarci? Un tale, il commendator Gnutti, lo conosci il commendator Gnutti? No? Vabbè, sto tipo ha una villa a Lumezzane, insomma da quelle parti, un bel po’ a nord di qui. Quello, il Gnutti, s’innamora di quei quadri strani che fa il matto. Li hai mai visti? Tanto la villa di Lumezzane è disabitata, avrà detto. E offre al matto vitto alloggio e servitù. Gli dice, senti matto, io ti do da mangiare da bere e da dormire. In più ci metto la servitù e tutte le comodità. Tu stai qui a dipingere e io mi prendo i tuoi quadri. Il matto lo guarda con quegli occhi spiritati, fa fiuuuuuuu con le guance tutte scavate e gli dice: sta bene. Poi si mette a urlare e a fare come se fosse un’aquila.
Insomma, il matto se ne va in villa riverito e servito.
Ma non gli sta bene neanche per niente: per due o tre mesi il matto rispetta il patto e poi sale sulla Moto Guzzi, perché il Gnutti gli aveva pure comprato una Moto Guzzi, e se ne torna al fiume. Insomma, pare che ci sia un tale di Guastalla, un tale Augusto che si è messo a vendere i suoi quadri. Fanno ai mezzi, metà al matto e metà ad Augusto. Ci si campa bene, dice Augusto e gli ha trovato pure un posto per dipingere, all’Agip di via Cisa su per Guastalla. C’è gente che si mette lì e lo guarda. Perché il matto, vabbè mi sa che non è matto manco per niente, quando dipinge fa strani gesti, urla, sembra proprio un matto, insomma. Uno che fa quei quadri può essere matto?
Per farla breve il Nick era andato in fissa con questa storia del matto. Eh la tua Caterina, mi faceva, tu le volevi prendere la mano e quella bacia il matto. Tu mica dipingi, caprone!
Fatto sta che a me sta storia del matto cominciava a dare ai nervi e quando lo vedevo che si avvicinava all’officina lo prendevo a sassate. Me ne tenevo sempre due o tre di scorta, di sassi. Quando quello era a tiro lo colpivo. Quel giorno tiro un sasso e lo manco. Nick ride: se lo racconta alla tua Caterina!
Era un sasso bello grosso, che se lo avessi preso è capace che ci rimaneva secco. Il matto mi urla, grazie, grazie! Raccoglie il sasso e se lo sbatte sul naso. Tutti quei quadri con il naso aquilino. E’ merito mio. Allora però c’era sangue. Sangue dappertutto. Il matto strillava. Il Nick mi dà una legnata e mi urla: cretino! Cretino! Che hai fatto? Questo si ammazza.
Ma prima, quando tiravo i sassi, lui ci rideva.
Grazie, diceva il matto e si toccava il naso. Poi urlava per il dolore. Però era contento di esserselo rotto. Si vedeva che era contento. Se lo toccava e urlava.
Questo è un pittore, uno famoso, diceva Nick! Cretino! Diceva a me. Bestia! Caprone! Insomma, il Nick lo ripulisce e gli offre un po’ di vino. Il matto si riprende e dice grazie, grazie! Poi si tocca il naso e ride. Era proprio contento di esserselo rotto!
D’inverno. Era d’inverno l’ultima volta che l’ho visto. Tre o quattro anni dopo. Arriva una macchina, davanti all’officina di Nick. Una bella auto nera. Non lo so che macchina era. Chi le ha mai viste quelle macchine? Io mica ero come il Nick che gli piaceva fare questo mestiere. A me a fare il meccanico mi ci hanno mandato a bastonate. Insomma, arriva questo macchinone. Esce un autista e corre a fare il giro per aprire la porta dietro. Prego signore, dice. E chi è che scende? Il matto. Un paltò scuro, elegante, un bel cappello e scarpe di vernice addosso al matto, con macchina e autista. Grazie, grazie, dice al Nick. Il servo, l’autista, apre il cofano e tira fuori un quadro. Bello, pure a me che non capisco di quadri pare bello. Ma un bello strano. Non è uno di quei quadri che vedi in chiesa o nei musei, tutti pettinati. Era un quadro che la figura pare che esce fuori per quanto colore c’è. In mezzo al quadro c’era il matto su una Moto Guzzi. Con quel naso d’aquila che si era fatto grazie a me. Il matto prende la tela e la mette in mano al Nick.
Poi mi guarda e dice a Nick: ti do il quadro se il matto mi porta a casa la Moto rossa. Capito? Dice, il matto e guarda a me. In cambio non volle una Moto Guzzi di quelle nuove, che alla fine Nick gliela avrebbe pure data, perché non faceva altro che ripetere: ah mi fossi fatto fare un quadro dal matto! Invece tu gli hai rotto il naso. Caprone! E giù legnate. Che poi io mi ero pure stancato di ripetere che il matto il naso se lo era rotto da solo e che io l’avevo mancato. Prendevo le legnate e zitto!
Antonio, così ormai lo chiama il Nick, volle proprio la Moto Guzzi scassata che avevo quel giorno a Brescello con Caterina. Tanto ne aveva già quindici.
Vero amore? Era proprio la Moto Guzzi di quel giorno a Brescello.
Sì disse Caterina al giornalista. Fa un po’ di confusione, ma più o meno è andata così.
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