Facciamo un esperimento:
Baldini / Atene.
Pizzolato / New York.
Credo che ognuno, nello stesso momento in cui ha letto, abbia visualizzato una immagine dei nostri atleti che tagliano il traguardo. Oppure non ci è stato difficile immaginare qualcosa che abbia a che fare con quelle straordinarie vittorie. Stiamo parlando di leggende. Ognuno nella nostra mente ha un film di quelle gare.
Non ha nessuna importanza se questa clip sia frutto della nostra immaginazione o sia la cronaca di quello che abbiamo visto in tv. Ci pensiamo e lo rappresentiamo in una immagine.
La stessa cosa avverrebbe se dicessi tu/la tua migliore gara.
Se ci pensi, ti vedi. D’altra parte se ti vedi è perché ci stai pensando per bene.
Scommetto però che pochi runners farebbero lo stesso se dicessi George Hall. Non ci viene in mente niente. Buio completo. Nessuna immagine o immagini di fantasia. Invece dovremmo avere un film intero su George Hall.
La storia è singolare e piuttosto attuale. George Hall è stato un golfista. Niente di speciale. Non pensiamo a Tiger Woods. Soprattutto George Hall è stato un colonnello dell’esercito americano. Quando gli americani si infilarono in una delle loro guerre, in Vietnam, George Hall ne fece le spese. Fu imprigionato per cinque anni. Cinque interi anni in una cella di due metri per due. Poco cibo e zero attività fisica. Altro che distanziamento sociale!
La cosa per cui George Hall ha acquisito una certa notorietà è questa: quando finalmente tornò a casa, i suoi amici lo invitarono a giocare a golf. Non è difficile immaginare cosa sarebbe potuto accadere. Per prima cosa un rifiuto. Dopo cinque anni di quell’inferno cosa pretendete che giochi a golf?!?
Semmai avesse accettato ci saremmo aspettati un patetico tentativo con tanto di palline lisciate o spedite nella sabbia.
Invece no. George accettò di buon grado e soprattutto giocò una partita perfettamente in linea con i suoi standard. Soprattutto il suo swing era rimasto quello di prima, perfetto. Dopo cinque anni di reclusione niente era cambiato. Giocò come se fosse rientrato da un week end in una SPA.
Come è stato possibile? Il colonnello raccontò una storia che allora aveva dell’incredibile. Ogni maledetto giorno, per cinque anni aveva giocato a golf nella sua cella di due metri per due. Impossibile? No, anzi, lo spazio era risultato anche eccessivo. Il fatto è che George giocò le 18 buche nella sua testa. Le vide e si vide nei dettagli, si immaginò mentre colpiva la pallina, mentre saggiava il vento, assaporava l’odore dell’erba, si scambiava sguardi di sfida con gli avversari, esultava per un colpo sul green o imprecava per un bird andato in fumo.
Conosco l’obiezione del runner. OK, certo, tutto bello. Ma noi? Non puoi certo allenare con l’immaginazione la tua capacità aerobica, la tua Vo2, la tua muscolatura.
Vero. In parte.
D’accordo, non è come correre. Però visualizzare può aiutare il runner. Mettiamola così: avete presente uno sciatore ai cancelletti di partenza? Lo avete visto mentre è concentrato e muove la testa, a volte le mani, come a seguire un percorso stampato nella mente? A me impressionano saltatori e saltatrici in alto. Prima del balzo vedono la rincorsa, gli ultimi appoggi, lo stacco, l’inarcamento del corpo, il richiamo delle gambe. Fondamentale: vedono l’asticella superata e ferma sui ferri.
Vabbè, mica posso immaginare una maratona passo dopo passo. Vero pure questo. Però posso immaginare i momenti di difficoltà, i momenti di gloria, io che passo sotto l’arco con il mio best.
Spesso, anzi sempre, ho sbagliato la gara organizzata dalla società per la quale gareggio: La CorriColonna.
Troppi amici prima della partenza, qualche volta qualche piccolo impegno per la società. Pronti via, si parte senza nessuna clip da guardare. Eppure è una gara che va vista cento volte prima di correrla. La partenza in leggera salita, un percorso affollato all’inizio, la svolta sinistra, quella rampa al quinto chilometro dopo il rifornimento, l’allungo in discesa, la rampetta prima del goccetto e poi, quando pensi di essere arrivato, quell’ultimo strappo prima della curva a destra e la discesa dove devi sprintare. Due giri tosti. Bisogna vederla e rivederla la CorriColonna, altrimenti la sbagli!
Lo scorso anno sono tornato alla Garbatella, la corsa del quartiere dove sono nato e cresciuto. Prima di quel momento, ad inizio stagione, avevo corso gare di dieci km intorno ai 50’. Mi sono allenato due volte su quel percorso con un unico scopo. Immaginarlo prima della gara. Partenza in discesa, tre tornanti, rettilineo, svolta a destra, poi a sinistra, ponte Spizzichino, inversione a U, Piazza Pantero Pantera, salita verso piazza Brin…
Avevo tutto in testa. Soprattutto ho corso quella gara molte volte prima dello starter. Sapevo dove accelerare, dove prendere fiato a velocità di crociera, dove stringere i denti. Ma non basta sapere. Ho sofferto nella testa prima che nelle gambe. Mi sono visto in soggettiva, con i miei occhi, mentre correvo. Ho guardato le curve e i rettilinei come se li stessi correndo. Poi mi sono osservato in oggettiva, come se un drone mi inquadrasse dall’alto. Ho anche dato un’occhiata alla previsioni del tempo. Sapevo che sarebbe piovuto e l’ultima volta ho girato un film sotto una fitta pioggia. Sentivo la pioggia sulla pelle. La mattina della gara prima di partire, durante il riscaldamento, alla partenza un’altra clip. Pronti, via. Non restava che godersi quello che già avevo visto e rivisto.
Risultato, due minuti sotto il mio record stagionale.
Un’ultima testimonianza.
