La (prima) fatica del racconto: l’incipit

Il racconto breve è spesso considerato una cosa secondaria rispetto a tutto quello che si può scrivere (dovendo tra poco parlare di quello che ho scritto io, mi tengo molto lontano dal concetto di letteratura).

Si pensa che scrivere un romanzo, quella sì che è una fatica, ma un raccontino…

E’ come se dicessimo ad Carl Lewis che a fare uno scatto non ci vuole nulla, la maratona, quello sì che è correre.

Una raccolta di dieci racconti, contiene dieci incipit. Questo significa che per dieci volte l’autore deve convincere il lettore ad alzarsi sui blocchi di partenza e schizzare via, correre senza fermarsi e arrivare al traguardo in apnea. Perchè un racconto che non faccia correre il lettore dal primo rigo non merita di essere letto. Proprio come un centometrista che sbaglia i primi appoggi non ha speranza di vincere.

Non male questa sfida per un’attività secondaria dello scrivere.

E’ qui, nell’Incipit, che nasce la (s)fortuna del racconto: questo scatto in apna fino alla fine non fa apprezzare il paesaggio. Parlo dei veri racconti brevi, perché poi ho letto molte cose pregevoli, racconti di dieci pagine, scritte con il ritmo di un romanzo. Esistono spettacolari bonsai di romanzo, ma non sono racconti brevi.

Lì, nei bonsai, ti godi il paesaggio, ma non sperimenti l’esplosività delle parole, la voglia di arrivare alla riga dopo, l’affanno del lettore che si estranea da tutto il resto e si immerge nel racconto.

Un racconto breve lo riconosci dall’incipit.

Se ne stava sul terrazzo. Lì, fermo. La sdraia blu era comoda. Alla fine l’aveva comprata.

Inizia qui il racconto, che, a detta dei lettori, è il meno brutto di Device.

Un uomo è sorpreso in un bel momento di pace. Sul suo terrazzo a collaudare una comoda sdraia blu. Altro che scatto!

E’ subito dopo che ho provato a catturare il lettore.

Alla fine l’aveva comprata.

Se c’è una fine, ci deve essere stata una storia prima. Cosa è successo? Ce lo racconti o lo scoprireremo?

Il fatto che l’immagine di quiete sia posta all’inizio del racconto e subito dopo si parla della fine di una storia fa pensare che qualcosa stia per succedere o che sia successo e apre la strada alla narrazione (si spera che stimoli anche la lettura).

Infatti il racconto si svolge tra un prima e un poi di questo momento.

So bene, molti lettori avranno rimpianto di non aver speso 0,99 centesimi per un caffè, invece di comprare il libro, ma so bene che questo racconto ha conquistato l’attenzione di molti amici che mi hanno scritto in proposito.

Alla fine non stiamo certo parlando di “Quel ramo del lago di Como”, ma una volta scritta quella frase spettacolare, Manzoni non ha avuto più il problema dell’Incipit… o no?

Carneade! Chi era costui? (Promessi sposi, incipit capitolo 8)

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