Il Concilio Ecumenico Vaticano II, a 60 anni dalla nascita. Ce ne vorrebbe un altro: per la pace, l’ecologia e la fratellanza tra i popoli

Sono nato nel 1965. Questo significa che quando si è aperto il Concilio Ecumenico Vaticano II, 60 anni fa giusto oggi, non ero ancora nato. Però sono cresciuto in quello straordinario clima di rinnovamento che è seguito agli anni del Concilio, aperto da Giovanni XXIII e chiuso da Paolo VI.

Un attimo, non è andata proprio così. Il Nuovo Messale Romano fu promulgato nel 1969 e prima che i sacerdoti capissero c’ è voluto un po’. Ho fatto in tempo a vedere le mie nonne in chiesa con il velo e sentirmi dire che la Messa era valida “se entri prima che il prete alza il calice”, poco importava se avessi perso tutto il prima, che intanto sono cose che se non te le spiega il prete c’è pure il rischio che fai peccato. Ho visto il celebrante rivolto all’altare e dare le spalle ai fedeli, ho assistito anche a messe in cui gli uomini stavano da una parte e le donne dall’altra e per non farmi mancare niente, quando ho cominciato a studiare latino mi sono aiutato con strutture archetipe del linguaggio derivate dalla messa latina, che in qualche modo avevo orecchiato da ragazzino. 

Però mi sono goduto tutta la parabola del dopo, il fervore di quella Chiesa, le discussioni, le applicazioni sul campo di quanto i Padri avessero scritto nelle quattro Costituzioni conciliari. La mia preferita era la Gaudium et spes, a cominciare dal titolo. Ho sempre visto il cristianesimo come gioia e speranza. Il mondo, pure se appare spesso lontano dal messaggio di Gesù di Nazareth, è sempre opera di Dio. Questo dice quel documento e da questo derivano applicazioni straordinarie, mai viste prima.

Mano a mano che crescevo questa visione conciliare mi ha conquistato. La cosa che mi faceva impazzire è che il Concilio ha preceduto il ’68, insomma, quando Giovanni XXIII ha convocato quella speciale convention del mondo cattolico, la società era ancora quella pre sessantottina. In Italia, per dirne qualcuna, non era punito il delitto d’onore,  le donne avevano conquistato il diritto di voto nel ’46, appena sedici anni prima del Concilio, c’era ancora la censura sui film che uscivano al cinema e sulle canzonette trasmesse in radio, gli ebrei erano chiamati “giudei”, “giudii” nella versione volgare, e gli islamici erano “mussulmani” con i quali non si poteva avere alcun rapporto. Ricordo che un vecchio sussidiario delle elementari, si sforzava ancora di “provare” che la terra fosse rotonda (magari ce ne sarebbe ancora bisogno) e che la luna fosse un suo satellite. Tito Stagno, ci aveva appena tolto ogni dubbio.

A scuola quando entrava la maestra ci alzavamo in piedi e urlavamo con una sola voce “buongiorno signora maestra”. La gerarchia era talmente radicata nella società che alle elementari il “capoclasse”, nominato dalla maestra, aveva uno speciale distintivo che si attaccava al grembiule con gli “automatici”, che se poi ti degradavano rimanevano a perenne umiliazione fino a che non crescevi e cambiavi la divisa. Figurarsi nella Chiesa come era considerato il rapporto tra preti e laici.

Ah, sul grembiule c’era uno straordinario fiocco bianco da tenere rigorosamente in ordine. Questa cosa è importante e la riprendo tra poco.

Il Concilio ha superato quel mondo e lo ha fatto prima che il mondo se ne accorgesse. Nella cristianità non avveniva niente di simile dai tempi del Fondatore.

Faccio un salto ed arrivo al dunque. Alla Gregoriana, Università Pontificia dei gesuiti che ha sfornato qualche dozzina di papi, ho studiato filosofia. Sono nella storia: sono stato l’ultimo a prendere la licenza (laurea) in “Filosofia marxista e problemi dell’ateismo”. Dopo di me l’istituto ha chiuso, pare che la sua biblioteca contenesse il maggior numero di testi marxisti tra tutte le biblioteche occidentali. Ma io sono testardo: il dottorato l’ho fatto in filosofia della religione e l’ho chiuso con una tesi su Karl Rahner.

Rahner c’entra, eccome. E’ stato un teologo gesuita, che pur giovane al tempo, ha influenzato i lavori del Concilio.

Per intenderci tra le sue invenzioni c’è la teoria del cristianesimo anonimo che in soldoni vuol dire: se non ti professi cristiano, neanche sei battezzato, ma fai del bene, sei cristiano lo stesso anche se non lo sai. Alla fine del pranzo non paghi il conto del tuo ateismo, ebraismo, induismo e vai in paradiso. Più conciliare di così non si può.

A proposito di pranzi il voto fu “Magna cum laude“, che per un laico alla Gregoriana è tanta roba. Ero contento per Rahner: era salvo anche perché  nella difesa della tesi di dottorato ho risposto piccato ma con successo ad alcune critiche mosse al gesuita dall’uomo più buono del mondo, il mio relatore Padre Salvino Biolo, gesuita anche lui, ma con il vizio di stimare Agostino più che la verità.

Dal momento successivo all’operazione Rahner però presi coscienza della fine dello slancio conciliare.

Il dottorato si chiude con l’obbligo di pubblicare la tesi. All’epoca non c’era questa cosa del self publishing, per cui o ti facevi stampare un estratto, relegato in una cinquantina di copie da distribuire a destra e a manca, oppure, sempre previo imprimatur delle autorità accademiche, chiedevi alle case editrici di pubblicarlo.

Speravo nelle Edizioni paoline. Insomma, era un bel lavoro, ci avevo lavorato due anni e Rahner era un fuoriclasse. Credevo di aver sposato un brand vincente. Un giorno le mie speranze furono gelate da un tizio che ora fa il teologo in tv e che all’epoca lavorava per le paoline: non so nulla della tua tesi, ma non hai speranze, Rahner è bandito da ogni casa editrice cattolica. Oggi i saggi di Rahner, pubblicati dalle paoline, sono introvabili.

Regnante Giovanni Paolo II la Chiesa sul campo aveva preso le distanze dal Concilio e dai teologi di riferimento. E’ ovvio che nessuno della Chiesa ufficiale poteva farlo apertamente, anzi, a parole tutti sono conciliari, mica si possono mettere contro lo Spirito Santo. C’erano però da tanto tempo indizi clamorosi, come quello dei due pesi e due misure adottati con Franzoni e Lefebvre. L’abate di San Paolo, Franzoni, fu spretato perché favorevole al divorzio civile, con Monsignor Lefebvre, oltranzista contrario a tutte le riforme scaturite del Concilio, fondatore di una pittoresca comunità Pio X, fu stipulato nel 1988 un protocollo d’intesa. Chi rappresentava Giovanni Paolo II in questo tentativo di accordo con uno stregone medievale? Lui, l’allora cardinale Ratzinger, erede, in quanto Prefetto per la dottrina della fede, di quelli che le streghe le bruciavano. Per completezza d’informazione Lefebvre alla fine fu scomunicato, ma solo perché si permise di ordinare quattro vescovi, insomma, perché la fece grossa al Papa. La firma sul decreto di scomunica però non fu di Ratzinger, ma del cardinale Gantin. Più tardi il Papa promulgò un Motu proprio, Ecclesia Dei (che già nel titolo è molto lontano dalla Gaudium et spes e da Rahner) per spiegare i danni fatti la Lefebvre, ma tutto si giocava sul punto della tradizione apostolica, il tradizionalista veniva accusato di:   «disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l’unità della Chiesa» e di «atto scismatico», l’aver ordinato quattro vescovi.

Ma torniamo a Ratzinger, perché questo è un punto. Il giovane futuro papa ebbe una carriera parallela a quella del mio Rahner, il Concilio, l’insegnamento in una prestigiosa università, Tubinga, collega di Hans Kung, filosofo e teologo progressista di grande fama.

Ma ricordate il fiocco bianco pre conciliare di cui ho parlato all’inizio? Ebbene, Benedetto XVI, già cardinale Ratzinger, ebbe la brillante idea di riprendere la tradizione del camauro (il berretto di velluto rosso bordato di ermellino), della mozzetta (la mantellina corta che può essere rossa o bianca) e delle calzature rosse. Ovviamente questo è soltanto un segno. Sì, perché il fatto che sia diventato papa quel cardinale che era stato Prefetto per la dottrina della fede, si era messo d’accordo con Lefebvre e che soprattutto aveva tenuto la barra sulla giusta dottrina durante il Pontificato di Giovanni Paolo II non è un caso. Il teologo progressista, da quando prese casa in Vaticano, dapprima come Prefetto e poi come Papa, è stato un intransigente guardiano della giusta dottrina.

Non si tratta di discutere di quello che teologicamente Benedetto XVI si sarebbe “rimangiato” del Concilio, certo è che sotto il suo pontificato le voci critiche sugli sviluppi del Concilio hanno preso forza. Soprattutto, però, il centro delle attenzioni di Roma divenne la dottrina della fede cattolica. Il clima di preoccupazione interno allo stesso mondo cattolico si è palesato con le reazioni al celebre discorso di Ratisbona del 2006, del quale si citano espressioni infelici riguardo alla tradizione islamica ma che sostanzialmente era innocuo, anche scontato per un conservatore della fede cristiana. Il fatto che sia stato interpretato come una sorta di chiamata alle crociate è senza dubbio frutto di malafede, anche di un preconcetto nei confronti di un papa percepito certo come non in linea con le storiche aperture conciliari sull’ecumenismo. Questo nonostante dichiarazioni esplicite di segno opposto. Mentre Rahner ci invitava a guardare al sodo e tutto sommato dogmi e precetti venivano dopo, con Ratzinger si torna ad osservare la pagliuzza della differenza con una teologica, straordinariamente affascinante, ma datata millenni.

Il fatto è che oggi siamo molto lontani da quello “spirito di Assisi” nato nel 1986 quando 70 rappresentanti delle religioni non cattoliche accettarono l’invito di Giovanni Paolo II ad una preghiera comune per un mondo più umano e pacificato e di questo allontanamento Benedetto XVI è parte in causa.

Oggi c’è Francesco, un papa certamente conciliare, ma molto più attento alla dimensione sociale del cristianesimo che al resto. Un grande papa, sia chiaro, ma che suo malgrado è completamente assorbito dalla questione morale all’interno della curia e del popolo di Dio piuttosto che dedito ai grandi temi del Concilio. Un papa profetico che sembra chiedersi dove sia Dio nelle grandi tragedie della migrazione e delle guerre. Un papa che pone la questione ecologica al centro della sua riflessione sul creato.

In tutto questo dobbiamo chiederci cosa resti del Concilio Ecumenico Vaticano II e del suo spirito, allora in anticipo sui tempi, ma che oggi sembra aver completamente esaurito lo slancio iniziale anche perché i tempi non sono più quelli di sessanta anni fa.

Insomma il battito vitale della chiesa cattolica è flebile e quasi del tutto affidato ad un anziano papa, e mentre imperversano guerre, la gente muore in mare, viene meno la dimensione spirituale degli uomini e come nella profezia: sorgono falsi profeti.

Giorni fa un mio amico brasiliano mi ha stupito chiedendomi con preoccupazione, in videochiamata, quali strumenti teorici avessimo per fronteggiare tutto questo. Mi ha stupito perché in pochi pensano che siano necessari nuovi strumenti teorici e proprio per questo ritengo che sarebbe opportuno un nuovo Concilio per la pace, l’ecologia, l’equità e la fratellanza tra i popoli.

A sessanta anni un Concilio è vecchio ed anche i papi se lo dimenticano.

Lascia un commento