Franz Kafka, parliamo delle sue radici, il luogo geografico della sua nascita è Vienna, vive a Praga, me lei sembra sentirsi maggiormente legato alla Palestina, la Terra Promessa.
In realtà io non mi sento legato a nessun luogo geografico, le mie radici profonde sono ebraiche e sempre più spesso medito di trasferirmi a Gerusalemme, tuttavia Gerusalemme è un luogo dell’anima, non un posto. Al censimento del 1918 mi sono dichiarato appartenente alla “nazione ebraica” ma la connotazione “geografica” non ha niente a che vedere con tutto questo. In questo non sono certo un sionista ortodosso, anche se seguo con molto interesse il movimento. A Praga sono cresciuto ed ho lavorato, tuttavia il Castello, il complesso di S. Vito, così arroccato a difesa dell’oligarchia boema, rappresentano un ostacolo invalicabile tra me e la “nazione”.
Eppure lei si è allontanato molto di rado dalla sua Praga.
E’ vero, la Zum Turm paterna è un punto di riferimento imprescindibile della mia vita. Comunque se non viaggio è principalmente per motivi di salute. Tra l’agosto ed il settembre del 1911 il mio amico Max Brod mi ha convinto a venire da voi in Italia e raggiungere Parigi dopo aver visitato Milano e la costa ligure… purtroppo il viaggio è finito nel sanatorio di Erlenbach in solitudine, anche Max ha dovuto lasciarmi .
Max Brod è uno dei suoi pochi amici…
Non è vero che ho pochi amici, voi conoscete Max perché è abituale frequentatore dei circoli letterari, dei grandi editori, dei salotti…
Non volevo irritarla
Non mi ha irritato, il punto è che la mia scrittura nasce da una istanza intima dalla quale però vorrei che emergesse solo quello che ritengo pronto per il pubblico. Così è per la mia vita privata, gli affetti, le amicizie, la salute. Se poi vogliamo parlare dell’ultimo lavoro di Max Brod, Il cammino di Tycho Brahe verso Dio, le posso dire che è alla base della mio sentirmi ebreo e che ne ho condiviso il travaglio della progettazione e della realizzazione. E’ un grande testo.
Insistevo sull’amicizia perché nei suoi scritti il tema della solitudine sembra essere centrale
Scusi, ma dove vede la centralità del tema della solitudine?
Per esempio nelle “Metamorfosi”: George, trasformatosi in scarafaggio si trova solo, accudito dalla vecchia serva, che poi, una volta morto, lo getta nella spazzatura. Nel “Processo”, appena pubblicato, Josef K viene assorbito a tal punto dalla sua difesa da perdere il lavoro ed ogni legame sociale.
Ma lei conosce Wittgenstein?
Ho letto il Tractatus logico-philosophicus, è stato pubblicato da poco.
Vede nell’opera di Wittgenstein emerge un dato fondamentale: nel linguaggio i singoli elementi che lo compongono prendono il valore che è loro attribuito dal “gioco” al quale partecipano. Alcune espressioni sarebbero prive di significato se non trovassero senso nel complesso linguistico. Credo che nei prossimi anni Wittgenstein svilupperà questo tema.
Quindi i temi della solitudine o della mancata amicizia vanno letti in relazione al contesto dell’opera.
Vede, nelle Metamorfosi la solitudine alla quale lei fa riferimento è solo una conseguenza del castigo al quale viene condannato il protagonista che si scopre responsabile di una colpa della quale, peraltro, ignora la genesi e la sua eventuale responsabilità. Lo scarafaggio lotta per inserirsi di nuovo nella famiglia ma viene ferito a morte dai suoi stessi familiari. Nel Processo sono stati introdotti altri elementi: la lontananza ed impenetrabilità dell’apparato, la lotta contro tutto questo, la condanna formale del protagonista…
Tuttavia lei mi conferma che è meglio non pubblicare l’opera alla quale sto finendo di lavorare e che centrata sull’imperscrutabilità del Castello.
Perché?
La comprensione, anche da parte di un critico preparato ed intelligente come lei, di un’opera letteraria è sempre demoralizzante per l’autore. Io non scrivo per il lettore ma per ovviare al mio fallimento. Il mio protagonista è sempre uno che si contrappone all’oppressione un Prometeo e non Tantalo, come qualcuno ha scritto.
Ci spieghi.
Il mondo non mi piace, però non ho la forza di cambiarlo nella realtà. Non saprei neanche come ovviare alla mia incapacità, al mio fallimento, alla noia generata dalla rete di rapporti familiari, burocratici, convenzionali. Guardi, non sono la pigrizia, la cattiva volontà, la goffaggine che mi fanno fallire o non fallire: la vita familiare, gli amici, mia zia, la professione, la letteratura, ma è l’assenza del suolo, dell’aria, di un punto di riferimento: della legge. Crearmi queste cose, ecco il mio compito… il compito più originale, quello che affido ai miei personaggi.
Forse nella sua opera non ci sono i “fatti” della sua vita, ma è ben presente la sua stessa esistenza
Torniamo al tema della solitudine : io vivo in famiglia fra le persone migliori e più amorevoli, più estraneo di un estraneo. Con mia madre non ho scambiato in questi ultimi anni più di venti parole in media al giorno, con mio padre niente più di un saluto. Nella mia opera c’è tutto questo ma non deve ridursi a questo: la mia famiglia, tanto per intenderci, non è la famiglia nella quale vive il protagonista delle Metamorfosi, eppure quella non potrebbe esistere senza la mia famiglia.
