
Compagno Emil, una firma sotto queste duecento parole, aveva borbottato il funzionario.
Emil ha un buon carattere e non s’indigna. Una firma sotto duemila parole lo aveva spedito a spalare gli scarti in una miniera di uranio per duemila giorni. Lui, eroe di una nazione. Per due parole ai soldati russi era finito nei guai. Guai seri.
Un autografo sotto duecento parole di ritrattazione lo avrebbe portato in uno sgabuzzino, con un innocuo lavoro di archivista, a casa.
Tutto sommato l’offerta è conveniente. Zac, zac e via. Un autografo come tanti altri, Emil Zátopek. Dana, la signora Zàtopkovà, è figlia di un colonnello, allenata ad obbedire quanto a lanciar giavellotti, la prende bene, è un buon lavoro, poi si tratta dell’archivio sportivo. A casa ci ridono sopra. A saperlo prima si sarebbero risparmiati la separazione, il lavoro in miniera, quello di spazzino, quello di piantapali della società elettrica. Ridono e ci pensano su, il sottufficiale, che li ascolta giorno e notte dalle cimici sparse un po’ ovunque nel piccolo appartamento, non può che immaginarlo quel sorriso.
Non che a Emil prima le cose fossero pesate più di tanto. Certo l’uranio fa male, ma i compagni di lavoro lo adoravano e gli risparmiavano le incombenze più rischiose. Emil si sentiva a disagio per tante attenzioni, è un chimico, ma sgobbava come quando si allenava per vincere una medaglia olimpica: scomposto, senza tecnica, quel che conta è correre, sempre più veloce, senza carichi e scarichi, senza alterare lavoro e riposo: solo lavoro, tanto lavoro. Di ori, alle Olimpiadi, Emil ne ha vinti tre, Dana un argento a Roma. A Jàchymov, dopo la sua vita da eroe nazionale, quando lo hanno spedito in miniera, la Locomotiva umana spingeva carrelli: le stesse smorfie scomposte di quando correva. Qualche volta, tre in sei anni per la precisione, si era persino travestito per tornare a Praga, dalla sua Dana, agli arresti domiciliari. Il sottufficiale che lo sorvegliava fece finta di nulla, lo aveva visto correre troppe volte per non riconoscere quella corsa scomposta nella camminata frettolosa di una donna dinoccolata, vestita alla bell’e meglio, che si allontantava dalla miniera con la testa reclinata e ciondolante.
A Praga, intanto, il suo nome e la sua pena divennero leggenda. Per essere una leggenda vera non basta vincere, si deve anche patire. Per i piani alti del Partito andava umiliato davanti agli occhi di tutti. Un esempio. Fu una pessima idea richiamarlo in città per farlo correre dietro al trabiccolo della spazzatura. La gente lo aspettava, lo applaudiva, come se un giro del quartiere a raccogliere cartacce fosse ancora uno di quei tanti giri di pista che lo avevano reso un eroe nazionale. Da spazzino però non era brutto a vedersi come quando correva , anzi, ostentava una certa eleganza: corpo ancora atletico, alto, la calvizie nascosta dal berretto d’ordinanza, quando ramazzava era meno spazzino degli altri spazzini e i praghesi raccoglievano la spazzatura davanti a lui per alleviargli il lavoro.
Emil ha un buon carattere, sorrideva e diceva di lasciar perdere, sono pagato per questo, va bene così.
La realtà è che portava la divisa da spazzino con lo stesso orgoglio con cui aveva indossato la sua maglia rossa, i colori della rivoluzione, in giro per il mondo. Certo, anche allora la censura gli aveva giocato brutti scherzi, come quella volta in cui le sue parole di apprezzamento per l’accoglienza ricevuta in Francia furono trasformate in critiche rozze e ingiuste. Lui il francese lo conosceva, ma mica poteva rivolgersi in francese ai giornalisti. Ci pensò il funzionario di partito a tradurre le sue innocenti dichiarazioni di amicizia in una dichiarazione di guerra. Ci rimise il visto d’ingresso, ma Emil ha un buon carattere. Se è per la causa del comunismo, va bene lo stesso, aveva detto a Dana, almeno questo annotò il sottufficiale che ascoltava tutti i discorsi che si tenevano nell’appartamento di Emil.
Dopo duemila giorni di vittorie arrivarono le sconfitte. Emil ha un buon carattere: si mette a dispensare consigli e a far crescere i giovani podisti che ormai lo battono con una certa regolarità. Il regime gli è ancora grato e ogni tanto, in qualche manifestazione, ostenta l’eroe nazionale, il vecchio Zàtopek. Emil si lascia sventolare e sorride. Ha un buon carattere, dicono tutti.
Morto un presidente se ne fa un altro. Sì, solo che l’altro è Alexander Dubček . Questo Dubček è proprio una bella cosa che ci è capitata, disse Emil sul divano di casa: niente censura, libertà di viaggiare, meno burocrazia, forse riusciremo a vedere il nuovo mondo socialista che ci avevano promesso.
Questo Zàpotek ha proprio un buon carattere, annota mentalmente il sottufficiale, mentre spegne la sua postazione di ascolto e trascrive le parole dell’eroe nazionale.
La mattina del ventuno agosto Emil si affacciò dalla finestra e vide un carro armato, poi un altro, poi divise di un altro colore. Solo Jugoslavia e Romania, tra le forze del Patto di Varsavia, non inviarono soldati, seppe dopo. A Praga in tanti hanno un buon carattere. Cominciarono a spostare i cartelli con le indicazioni stradali, i soldati praghesi passeggiavano per il centro con borsette da donne, la gente si mise a parlare con i soldati sovietici, spiegando loro che presto il socialismo sarebbe arrivato pacificamente, che se ne tornassero pure a casa.
Emil prese Dana per mano, nonostante il caldo tiepido del fine agosto praghese indossò il suo cappello di lana con pon pon e uscì in strada. La folla lo riconobbe. Lo invitarono a salire su un palco. Emil ha un buon carattere e ci salì. Dì qualcosa! Emil! Emil! La folla lo incitava. Emil guardò Dana e Dana alzò le spalle come per dire: hai un buon carattere, accontentali. Emil parla cinque o sei lingue, è bonario, ma non è abituato ad incitare le folle. Sa bene che le sue parole saranno ascoltate dal mondo. Beh, che debbo dirvi, tra poco ci sono le Olimpiadi in Messico. Chiedo ai compagni di Mosca di lasciarci in pace, di rispettare la tregua olimpica. Le cose si sistemeranno. A Praga abbiamo un buon carattere. Credo che il manifesto delle duemila parole rappresenti bene il pensiero del nostro popolo e il nostro ideale socialista.
Duemila parole, duemila giorni di vittorie, duemila giorni in miniera e duecento parole per evitare altre scocciature, un buon affare, Dana, un buon affare.
