
Settembre 1919, 12 settembre, per la precisione. Un gruppo di legionari, 2600 uomini del Regio Esercito, raggiunge Fiume e l’annette all’Italia. Il Natale di sangue del 1920, una scaramuccia comunque costata qualche vita umana, pone fine dopo sedici mesi all’esperienza fiumana, legata per sempre al nome di Gabriele D’Annunzio. Sarebbe una pagina di storia, un po’ colorita, forse, se non fosse per alcune coincidenze che potrebbero farci riflettere e che a mio avviso rendono impietoso il confronto con la nostra attualità.
Le grandi potenze internazionali stanno facendo i conti con il conflitto più sanguinoso dell’epoca moderna, che ha stravolto i vecchi equilibri, soprattutto in Europa. L’Italia sta dalla parte giusta. Ha vinto la guerra. Il prezzo della vittoria è stato altissimo, in ogni nostro borgo c’è un monumento ai caduti ed ogni famiglia ha un nome da leggere con le lacrime agli occhi. E’ stata una guerra tra eserciti: è stata l’ultima guerra tra eserciti. Ma gli eserciti sono fatti di uomini e tra questi uomini ci sono contadini, operai, studenti. Vedove, tante vedove e tanti orfani sono in gravi difficoltà.
In Italia si respira una brutta aria: la Conferenza di pace non riconosce quanto conquistato con il sangue, il giovane stato unitario è attanagliato dalla crisi e comincia ad essere scosso da scioperi e tumulti. Nasce allora il mito della vittoria mutilata: i nemici sono ora i nostri ex alleati, i burocrati, i grandi stati europei e mondiali.
C’è da dire che il mito della vittoria mutilata è una fake dannunziana. L’Italia ebbe cinque dei sei territori per i quali era entrata in guerra: il Trentino, L’Alto Adige, il Friuli, la Venezia Giulia, l’Istria. Rimase fuori la sola Dalmazia. Il Paese, prima diviso tra interventisti e pacifisti è tagliato in maniera trasversale. Le grandi ideologie sono ancora forti, ma destra e sinistra sono promiscue, almeno quando si parla di confini: l’interventismo di sinistra rivendica un ruolo egemone sul resto della sinistra tradizionale, il futurismo scuote la stantia cultura cattolica e liberale, giovani come Mussolini, ex socialista, guidano movimenti fuori dagli schieramenti tradizionali.
A Fiume c’è D’Annunzio, il profeta della nuova era, ben visto dalla marea nera che sta salendo nel Paese, ma arriva presto anche Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario, che morirà esule in Francia, quando la marea sarà definitivamente montata. Per adesso De Ambris, già Segretario della Camera del lavoro nella Lunigiana, deputato socialista, contribuisce a scrivere il Manifesto dei Fasci Italiani di Combattimento e se la fa con D’Annunzio. Il fatto è singolare. Ma non troppo, in tanti non ne possono più di socialisti e liberali, di repubblicani e comunisti, i cattolici non hanno ancora una chiara identità politica. La storia ci dice che De Ambris sarà la mente della Costituzione di Fiume, nota come Carta del Carnaro, D’Annunzio la penna.
Ha un suo perché gettare uno sguardo a quello che stava succedendo nei giorni immediatamente precedenti l’impresa di Fiume. Il 15 Agosto, ricordiamo che Fiume fu presa il 12 settembre, Marinetti pubblica su La testa di ferro, giornale dei legionari che poi si metteranno in marcia verso la Dalmazia, un significativo manifesto dal titolo, Al di là del Comunismo. Scritto tutt’altro che banale: Vogliamo liberare l’Italia dal papato, dalla monarchia, dal Senato, dal matrimonio, dal Parlamento. Vogliamo un governo tecnico senza parlamento, vivificato da un consiglio o eccitatorio di giovanissimi. Vogliamo l’abolizione degli eserciti permanenti, dei tribunali, delle polizie e dei carceri, perché la nostra razza di geniali possa sviluppare la maggior quantità possibile di individui liberissimi, forti, laboriosi, novatori, veloci”.
Marinetti rivendica una nuova forza rivoluzionaria, che lascia al palo quella del socialismo ufficiale: “Non soltanto siamo più rivoluzionari di voi, socialisti ufficiali, ma siamo al di là della vostra rivoluzione”
Fiume non è un’impresa di quattro esaltati. A Fiume si raccoglie la più eccitata gioventù italiana, quella che vede un nuovo mondo, ansiosa di liberarsi di quello vecchio. A Fiume, per sedici mesi, sarà festa e si porranno le basi culturali per una nuova società, che, però, mai vedrà la luce. Pensare al fascismo come esito di Fiume è una grossa stupidaggine. De Ambris dopo pochi anni rifiuterà la proposta di Mussolini che lo voleva a capo dei lavoratori italiani e D’Annunzio si ritirò sul Lago di Garda.
Adesso, però, questi giovani, guidati da intellettuali, certamente popolari, ma ai margini della cultura ufficiale, sono pronti a difendere la portata rivoluzionaria della Costituzione del Carnaro, che non è un contratto tra socialismo (De Ambris) e fascismo (interventismo di destra, D’Annunzio), ma una vera e propria rivoluzione culturale che si propone di soverchiare la vecchia antinomia tra capitalismo e comunismo. La lotta non è tra destra e sinistra, ma tra vecchio e nuovo, anzi tra passato e futuro. Per questo c’è D’Annunzio, ma c’è anche De Ambris.
Già dal secondo articolo di questo straordinario manifesto che è la Carta del Carnaro si scardinano con poche parole secoli di clericalismo e decenni di socialismo. Il punto è centrale: le democrazie liberali e le utopie della sinistra si erano ben guardate dal rinunciare alla delega delle decisioni a favore di una minoranza di eletti. Ma la burocrazia, la vecchia politica devono essere annientate e allora è lecito chiedersi: chi comanda se abbiamo demolito gli apparati burocratici? La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta. Già sentito nel nostro futuro.
Una concessione, allora, all’individualismo rivoluzionario e anarchico, ma qui in una chiave dirompente e nuova.
E poi, come sarà amministrata la cosa pubblica? (La Repubblica) riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra, per quanto è possibile, i poteri dello Stato, onde assicurare l’armonica convivenza degli elementi che la compongono.
Come sarà garantito il reddito ai cittadini? L’articolo 5 più che futurista è un salto di cento anni: la Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, l’istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’uso dei beni legittimamente acquistati, l’inviolabilità del domicilio…
Una bella sintesi tra rifiuto dell’assistenzialismo e reddito di cittadinanza.
Interessante anche la retorica verso i nemici. Succede che ad un certo punto il Governo Nitti si preoccupa, l’Europa lo chiede, sembra dire, è bene porre fine a questa pressione sulla Conferenza di pace.
Come sempre accade si nomina un Commissario straordinario, il giovane Badoglio. Gli esiti della mossa sono nulli, come nulle sono le minacce di Badoglio. Allora Nitti decide di porre Fiume sotto assedio. Ecco come si rivolge a lui D’Annunzio esaltando le pessime caratteristiche fisiche e morali del Presidente del Consiglio: Impotente a domarci. Sua indecenza la Degenerazione adiposa si propone di affamare i bambini e le donne che con le bocche santificate gridano “Viva l’Italia”…e per fortuna che non esistevano i social.
