Avevamo messo su una squadra di hockey su prato. Strano sport l’hockey, in Italia è poco seguito, considerato quasi una roba esotica. Figurarsi se lo porti in oratorio, sul finire degli anni ’70 quando lo sport è soltanto calcio. Insomma, ci guardavano tutti con curiosità. Tra i tanti ricordi importanti di quegli anni, il consiglio di un prete con il quale non sempre sono state rose e fiori. Ci allenavamo giocando, come se non ci fosse un domani e spesso dimenticavamo cose che il sacerdote considerava più importanti. Ho sempre pensato che Don Franco fosse un po’ geloso di uno sport che non conosceva, lui che millantava un trascorso nelle giovanili del Napoli calcio. Un giorno ci vide uscire dal campetto stravolti, mi sa che avevamo pure saltato la preghiera delle cinque, obbligatoria nel mese mariano. Mi chiama e mi dice:
tutto bene, ma ricorda che alla fine di un allenamento devi restare con un po’ di voglia di continuare.
E’ il caso di dire: sante parole!
Nella mia esperienza coach ho tentato di trasformare questo consiglio in metodo, cercando di trovare un giusto equilibrio tra tre elementi basilari:
allenamento psico fisico, fatica, desiderio.
Nei periodi più tosti delle stagioni agonistiche, finché ho retto, mi sono allenato con le mie squadre, proprio per provare su me stesso l’alchimia tra fatica e voglia di andare avanti. Non è per niente facile! Facile cadere nel troppo allenamento o scivolare sotto la soglia dello sforzo allenante. Più facile ancora vedere ragazzi frustrati o troppo poco impegnati.
Ora che sono un tapascione (=un podista super dilettante e anche scarso) mi diverto a misurare il carico che un allenamento ha su di me, mettendomi in allarme quando l’allenamento è troppo d’impatto sulla mia voglia di continuare.
Il monito del prete resta valido: ricordati di finire l’allenamento con la voglia di allenarti ancora!
Se corri per piacere e magari ti devi pure alzare alle cinque di mattina per rubacchiare un’ora di corsa alla tua giornata, sarebbe poco intelligente massacrarti al solo scopo di recuperare cinque secondi al chilometro sul geometra che ti ha seguito i lavori a casa.
Mi sono allora inventato un calcolo per misurare la voglia di correre che mi lasciava ogni allenamento.
La scala tiene conto di variabili soggettive ed oggettive e mi serve a programmare gli allenamenti futuri stando attento a non eccedere con il carico. Qui sotto ti faccio vedere un estratto del mio registro allenamenti (eh sì, lo so sono esageratamente metodico anche quando l’atleta è scarso!).

Nella prima colonna registro i chilometri percorsi, nella seconda il tempo complessivo, nella terza la media del passo tenuto durante l’allenamento. Nella quarta il coefficiente di qualità, ossia la media trasformata in numero decimale con la facoltà di apportare qualche minima modifica (in relazione a condizioni meteo, piccoli infortuni, semafori rossi, incontri di amici…).
La colonna E è un elemento del tutto soggettivo, in una scala da 1 a 10 rappresento la mia soddisfazione per l’allenamento o la gara. Si tratta della sensazione che mi lascia la singola seduta: stabilisco il valore appena ho terminato di correre perché voglio registrare a caldo proprio quella voglia che mi lascia l’allenamento concluso. La colonna F è la scala di Borg, non il tennista, ma un allenatore che si è messo in testa di misurare la fatica. Ci sarebbe molto da dire: qui, però, rappresento da uno a 10 la fatica che mi ha lasciato addosso l’allenamento secondo i parametri del professor Borg… un po’ adattati. Stabilisco questo valore qualche ora dopo aver concluso la prova quando le gambe cominciano a far male.
La colonna G, quella evidenziata, è finalmente il calcolo di quanto la voglia di allenarmi è stata intaccata dal singolo allenamento/gara.
La formula è semplice, moltiplico la quantità e divido il prodotto per la qualità.
Più il coefficiente è basso e più la mia voglia resta intatta. Più il coefficiente è alto e più ho bisogno di mettere a punto una nuova strategia.
La scorsa settimana ho corso la Roma Urbs mundi: 15 chilometri (tanti) ad una buona media per le mie attuali condizioni, la mia età e i la mia condropatia. Tra i moltiplicatori entra il 15 della distanza e l’8 della scala di Borg. Ne esce un valore abbastanza alto, perché la gara è stata lunga e faticosa. Il prodotto è nettamente superiore a tutte le righe precedenti! Sembrerebbe una gara con un grosso impatto psico-fisico.
Ora andiamo a costruire il divisore: abbiamo un passo medio migliore dei precedenti allenamenti. L’altro elemento è dato dalla soddisfazione: altissima.
Il risultato è un impatto della seduta relativamente basso.
Nonostante la prova impegnativa, la voglia di correre che avevo dopo la gara era ancora altissima.
Al contrario ieri, su una distanza simile, mi sono imbattuto in una giornataccia. Ho sofferto molto ed alla fine ero abbastanza frustrato: l’impatto dell’allenamento di questo allenamento è stato altissimo e quindi la prossima uscita sarà soprattutto rigenerante. Il divisore ha causato un risultato inquietante: la soddisfazione è stata quasi nulla e il passo medio molto alto.
