L’autobus sta partendo / device 1

Vrrrrrrr Vrrrrrrrrr Vrrrrrrrr Vrrrrrrrrr

Almeno quattro notifiche whatsapp in rapida successione. Non c’è verso di arrivare al telefono. Addosso a me un uomo, forse straniero. Peserà cento chili, almeno. Si puntella a terra con un ombrello ed ha l’altra mano impegnata a tenere una borsa piena di cibo e birra. Birra scadente. Farebbe meglio a cambiare alimentazione, sicuramente ha problemi di colesterolo e glicemia. Forse è diabetico. Intanto sono il suo unico sostegno. Ad ogni fermata della metro mi spinge contro gli altri passeggeri. Intanto il gomito di questa ragazza che è alle mie spalle mi sta entrando dentro le costole. Con la coda dell’occhio sbircio i suoi capelli rossi.

In tutto il vagone, tra i passeggeri in piedi, è stata l’unica a ricavarsi uno spazio per utilizzare il suo telefonino. Anche chi è seduto ha difficoltà. La ragazza si regge facendo forza con il gomito contro la mia schiena, con l’altra mano scrive in maniera frenetica. Con quattro dita sorregge il telefono e con il pollice salta sullo schermo . Ha un profumo abbastanza comune, lo sento distintamente. Meno male. Alle sette di sera è un odore di paradiso tra le sensazioni di rancido trasmesse da uomini e donne a fine giornata. Mi piace.

Driiiiinnnnn, un avviso Messenger. Siamo a ancora a San Giovanni, il saldo tra chi sale e chi scende è a nostro sfavore. Non riesco a muovermi. Da quando è arrivata l’ultima notifica mi è salita un po’ di ansia che si è localizzata sulla parte sinistra dello stomaco, tra colon, duodeno e fegato, direi. Un dolore fastidioso.

Scusami per il gomito, mi fa la ragazza.

Ha una bella voce. Ci contorciamo e riusciamo a guardarci negli occhi. La fragranza del suo corpo passa attraverso il nostro abbigliamento che intanto ci calza come un domopak. Ha uno sguardo forte, occhi neri circondati da efelidi. Simpatica e profonda. Le sorrido rassicurante. E’ un attimo, perché lei si concentra di nuovo sulla tastiera e io sulla mia ansia, che intanto è salita. Ho una specie di rigurgito. Penso all’esame di chimica, per distrarmi. Non è una buona idea. I crampi si fanno più gravi.

Arriviamo a Ponte Lungo, una coppia di ragazzi chiede spazio al ciccione che mi è addosso. Quello si mette di trequarti e li fa passare. Guadagno, solo per l’attimo di assestamento, centimetri di spazio. Infilo la mano nel mio finto Moncler e afferro l’Iphone 8. La rossa toglie il gomito, ma si appiattisce sulla mia schiena e spinge. Un gruppo di ragazzi è entrato ed urla. Occupano il posto di chi scende dal vagone e anche qualcosa in più. E’ una scolaresca? La rossa ricomincia a puntellarsi sulla mia schiena, l’impatto mi fa cadere il telefono dalle mani. Non riesco a piegarmi per prenderlo. Chiedo spazio. L’uomo mi guarda, guarda in basso verso il telefono e fa una smorfia come per dire: cosa posso farci? La ragazza rossa impreca. E’ caduto anche il suo telefonino. E’ a venti centrimetri dal mio. Il suo Samsung è proprio in mezzo ai miei piedi, il mio Iphone in mezzo ai suoi. Proviamo a piegarci nello stesso momento riducendo i nostri spazi vitali.

Vai prima tu, le dico.

La ragazza rossa è esile, troppo debole il suo tentativo di farsi spazio. I ragazzi urlano e sembrano non interessarsi ai nostri telefoni. Sento vibrazioni di altre notifiche. Ho dei brividi di freddo. Però sudo. Piego le ginocchia, mi accovaccio un po’. Allungo una mano alla cieca. Tocco il pavimento, la muovo e afferro il telefono tra i miei piedi. Allungo la mano all’indietro, tra le caviglie della ragazza che afferra il suo Samsung. Grazie, mi fa. Non arrivo ad afferrare il mio Iphone e la situazione è abbastanza compromettente, ho un braccio tra le sue gambe. Lei mi guarda perplessa e si spinge un po’ all’indietro per farmi spazio.

Riemergo.

La rossa, in perfetta sincronia si immerge, piega le gambe e se ne va giù.

Eccoti, dice al mio Iphone quando lo afferra.

Riemerge.

Sempre pigiando la schiena contro la mia, allunga la mano. Sento il suo corpo, allungo la mia mano e sfioro la sua. E’ calda, morbida. La tasto fino a trovare la presa. C’è il mio Iphone. Lo afferro. Lo porto all’altezza del volto. Con l’indice tocco la camera, il telefono riconosce l’impronta e si sblocca. Lo sollevo nel tentativo di lavorarci sopra e leggere le notifiche. Così tutto il treno può farsi gli affari miei. Non mi piace. Riabbasso il braccio.

Dove scendi?, mi fa la ragazza.

Ad Anagnina, rispondo io.

Anche io, dice lei, devo prendere l’autobus per Frascati.

Lo stesso, dico io.

Speriamo che sia meglio di questo carro bestiame, si augura la rossa.

Ormai le sue spalle mi sono entrate dentro. Strano parlare con la propria schiena. Il suo odore mi sta restituendo la voglia di respirare e piano piano, ora che ho il telefono in mano, passa anche l’ansia. Il duodeno si rilassa.

La metro arriva ad Anagnina. La gente esce. La rossa si volta, io mi volto. Ha un poncho che non nasconde forme graziose. Sembra agile e tonica. È una sportiva ?

Mi chiamo Silvia, ci siamo visti all’Università? Studio biologia a Tor Vergata.

Ah, ecco, dico, io studio medicina. Resto fermo a guardarla. È bella.

Che fai? Andiamo?

L’autobus sta per partire….fa quasi cenno di prendermi la mano, comunque mi invita a seguirla con quello sguardo da film.

Vrrrrrr, altra vibrazione, una notifica di whatsapp. Prendo il telefono e di nuovo sblocco lo schermo! Quattro notifiche facebook, due messenger, una chiamata whatsapp… tanta roba. Comincio a leggere. Marta mi manda la foto con un pulcino; Marta mi offre un caffè, segue foto di un bel caffè fumante; Antonio mi dice che la partita di calcetto è rinviata; sul gruppo whatsapp della squadra di calcetto Antonio dice a tutti che la partita di calcetto è rinviata, seguono una serie infinita di pollici alzati e faccine deluse; qualcuno, un contatto che non ho memorizzato, mi fa gli auguri; Mamy mi chiede a che ora torno a casa; Papy mi chiede a che ora torno a casa; Antonio mi ha chiamato con whatsapp; Antonio su messenger mi dice che la partita di calcetto è rinviata e che mi ha chiamato, ma io non ho risposto. Passo a facebook, Antonio ha messo mi piace ad una mia foto dell’ultima partita di calcetto e ha commentato: a quando lo prossima ?

Alzo gli occhi. Non so come, ma mentre lavoravo sul device ho raggiunto le scale del marciapiede 18, quello degli autobus per Frascati. Le salgo a passo doppio. L’autobus si sta muovendo. Corro e alzo un braccio per richiamare l’attenzione. L’autista mi vede, mi fa cenno di no. Intanto parla al telefono, indossa un auticolare Bluetooth. L’autobus mi sfila davanti, vedo la rossa che dal finestrino guarda fuori. Si volta dall’altra parte.

Rispondo a mamy e a papy:

ho perso l’autobus.

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