Il maratoneta e la gazzella

 

La maratona è come Equitalia, l’ultimo giorno utile ti invia la richiesta di pagamento. Il conto ti arriva quando non hai più nulla da spendere.

La legge di Murphy forse vale per Equitalia, non per la maratona: qui il conto ti arriva perché il tuo corpo è in riserva e lo è già da tempo. Soltanto che tu hai ignorato i suoi avvertimenti. 

Fino a quel momento hai corso con le energie che il tuo organismo era disposto a spendere, con quanto ti eri messo in tasca durante i mesi di allenamento, pranzi e cene nei quali hai osservato un regime alimentare equilibrato. Hai corso tranquillo, hai faticato, ma eri in controllo. Non hai dovuto fare l’eroe per arrivare al trentesimo chilometro, al trentacinquesimo hai pensato che ormai avevi in pugno il tuo personale. Ora no. Ora qualcosa ti dice di mollare. Almeno fermati un po’ all’ultimo rifornimento. Cammina! 

Tutto quello che avevi in magazzino è finito. Ora devi andare a cercare altrove. Non sei il solo a provare queste sensazioni. Molti maratoneti soffrono, però alla fine,  subito dopo il traguardo, li senti dire: non so dove abbia trovato la forza per…

Già, dove hai trovato la forza per andare oltre il tuo limite?

E’ inutile che te ne parli. Conosci la risposta perché ti è già successo. È successo a tutti. Quando hai compiuto un’impresa la forza l’hai trovata raschiando il fondo del barile, rivolgendoti a quelle risorse che neanche sospettavi di avere. Hai giocato con te stesso ed hai portato a casa la tua vittoria.

Ora devi chiederti: c’è un modo per evitare di cercare al buio, per attivare questa energia straordinaria che nascondo in qualche parte dentro di me?

Ovviamente sì…

Ci sono tanti modi per superare quel momento. La via più seguita è quella di stringere i denti. La gente tosta non ha bisogno di altro. Lo fa e basta.

Ci sono altre strade. Più divertenti e forse più istruttive. Sì, perché la vita di nessuno di noi si riduce ad una Maratona. Forse le vite di Baldini, Pizzolato, Bordin e pochi altri hanno trovato una svolta nelle loro vite in termini di successo, consapevolezza, soddisfazione. Sono che anche per loro quelle maratone hanno avuto un significato: gli hanno insegnato a vivere meglio. 

Puoi farlo anche tu. Il bello è che puoi vivere meglio preparandoti e correndo una maratona, senza bisogno di vincerla.

Puoi, ad esempio, imparare a giocare con te stesso preparandoti alla crisi del trentacinquesimo.

Ti sto parlando dell’inner game e del dialogo interiore

Se ci pensi la situazione è strana. Per parlare bisogna essere in due. Quando parliamo con noi stessi, in qualche modo ci sdoppiamo. Semplicemente riconosciamo che in noi ci sono due mondi: quello di superficie ed un altro mondo sommerso e profondo. Questa cosa era già nota gli antichi, Platone ne parla spesso, ma è con Freud e Jung che ne abbiamo conquistato consapevolezza, con una sensibilità moderna e con un approccio scientifico.

Fuori c’è l’Io che tiene il controllo, che mi pone domande, che mi parla per segnali e segni, che offre soluzioni. Dentro, o sotto, c’è il , con il suo mazzo di carte che ancora non ho pescato o che, peggio, un tempo ho scartato e rimosso senza pietà.

La cosa va pensata per bene: quando ci parliamo non facciamo altro che arruolare nella stessa squadra queste due realtà. Non possiamo rischiare incomprensioni, dobbiamo utilizzare una lingua efficace e potente.

Al trentacinquesimo chilometro della maratona la parte trasparente di noi ha consumato tutte le sue possibilità: l’alimentazione è stata quella giusta, la tattica perfetta, l’appoggio e la falcata sono state quelle studiate ed allenate allo sfinimento, la motivazione è stata sollecitata adeguatamente e le risposte sono state buone. Senza tutto questo non starei lì, a pochi metri dal mio avversario, a qualche secondo dal mio obiettivo. Ho fatto tutto quello che potevo. Ma sto dietro. Ecco che una voce da dentro mi dice di lasciar perdere, che non posso andare oltre, che ormai è andata, è meglio rallentare. E’ l’Io razionale, che analizza dati, misura la distanza, guarda il cronometro, sente quanto i muscoli siano ormai stanchi … e alla fine mi boicotta!

A questo punto devo svegliare la parte sommersa, oppure soccombo. Mi devo fare quattro chiacchiere.

Come fare? Meglio utilizzare qualche accorgimento, perché quando ci parliamo solitamente ci diamo ascolto. Meglio farlo per bene allora. 

Ci sono tre modi per giocare la partita con la mia metà interiore. Sono i tre modi di comunicazione dei quali ci siamo occupati di recente: segnale, segno e simbolo. I segni sono stati il modo in cui ho corso e pianificato la corsa. Tabelle, piani di allenamento, cronometro… tutto fondamentale, ma sappiamo bene che non basta. Posso anche stabilire un dialogo interiore per segni. Convincermi, dirmi che ce la farò, pensare positivo. E’ la strada che generalmente si segue nei corsi motivazionali. Darsi istruzioni positive, ad esempio, è un ottimo suggerimento di chi utilizza questo metodo.

Il segnale è lo strumento che mi costringe ad attivare quei canali inconsapevoli che mi daranno la forza per andare oltre quanto possa ottenere con la razionalità del segno , è questo lo strumento che utilizza la PNL. Me ne sono occupato qui, mettendoti in guardia sui tanti rischi che corri a giocare con gli ancoraggi. Un esempio tipico di ancoraggio è Pantani che getta la bandana. In quel momento il nostro campione reclutava tutte le energie e scattava in faccia agli avversari. Nadal, con i suoi mille gesti che sembrano tic, fa lo stesso. Recluta tutte le sue energie prima di giocare un punto. 

Il terzo strumento, il più efficace, è il dialogo interiore che si svolge attraverso il simbolo.

Un modo efficace di comunicazione che utilizzo e che suggerisco alle persone che alleno è parlare per immagini simboliche e lasciarsi guidare da queste.

Sembra complicato, ma non c’è nulla di più concreto e semplice. L’attività simbolica è la nostra attività più intima.

Andiamo sul concreto. 

Nella situazione estrema di una maratona potresti far emergere l’immagine di una gazzella.

La gazzella possiede quelle caratteristiche che stai cercando in quel momento: eleganza, leggerezza, velocità.

Attento: non dovrai far l’errore di pensare a queste categorie. Il tuo sabotatore, come Gallwey chiama la parte peggiore di noi, potrebbe osservare: ma non ti vedi? Ma quale leggerezza? Sembri piuttosto un elefante….

Quando sei sfinito, vorresti mollare tutto, se ti chiedessi di essere agile e leggero, ti diresti una grande fesseria. Quando ti parli non puoi ingannarti.

La soluzione che adotto è diversa: continuare a correre, senza pensare ad altro che ad una gazzella che corre nei prati, che si gode la via e che è un tutt’uno con la sua leggerezza. Ascolto il suo respiro, respiro con lei…e arrivo al traguardo!

Provare per credere.

Anche qui due raccomandazioni, sempre le solite. Esercizio ed allenamento sono elementi essenziali anche nell’inner game. Non ridurti a ricorrere al dialogo interiore e al simbolo soltanto nel momento in cui ne hai bisogno. Prova in allenamento tante e tante volte.

Il secondo consiglio è quello di utilizzare questo gioco anche nella tua vita quotidiana. Sei in una riunione, sai bene che in questo momento non devi farti sopraffare dalla rabbia. Eppure il tuo capo è così indisponente. In quei momenti non serve a nulla ripetersi allo sfinimento: stai calmo. Finirai per ottenere l’effetto contrario. Pensa ad una bella immagine: un bosco a primavera inoltrata, una passeggiata in riva al mare. Ascolta una melodia che ti è familiare.

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