2019: l’essere sportivo

Nella nostra epoca nuova, i processi surclassano i prodotti
Kevin Kelly, L’inevitabile

I nostri padri mettevano da parte i soldi… e i loro sogni. Quando avevano raccimolato il gruzzolo necessario compravano la macchina per la famiglia. Una Fulvia, una 128, una Opel Ascona: te le dovevi far bastare per dieci/venti anni e allora la manutenzione diventava maniacale. Se ci si spostava da Roma a Milano lo si faceva in macchina, in vacanza sulla Riviera romagnola si andava in macchina, la macchina serviva per portare i figli a scuola e andare a lavoro. Per molti la differenza tra macchina e casa era sottile.

Oggi si potrebbe vivere senza possedere un’automobile, pur abitando un mondo pieno di automobili. Il car sharing comincia ad essere diffuso, così come il noleggio a lungo termine e le macchine acquistate con l’opzione della restituzione a tre anni. L’intermodalita’ è comoda e conveniente: noleggio una Enjoy da casa alla Stazione Termini, parcheggio senza problemi, salgo su un Freccia rossa per Milano, prendo la metro fino alla sede della mia azienda. Ho speso trenta, quaranta euro, meno di quanto avrei speso in benzina, pedaggi, parcheggi. Non ho pensieri e non devo investire capitali.

L’attenzione non è più sull’autobile ma sul movimento. Il movimento è un processo, l’automobile un prodotto.

Bene, male? Non lo sappiamo, ma è così.

E’ interessante osservare come questa rivoluzione incida sulle attività sportive.

Pensiamo all’organizzazione di un team. La figura del coach onnipotente è sostituita da una intermodalita’ che lascia la responsabilità di alcune scelte all’organizzazione del processo sportivo, all’atleta e alla squadra. Da tempo ormai in tutte le realtà sono state introdotte figure che lavorano in questa direzione: tecnico, tattico, preparatore atletico, mental coach. Non sono più oggetto di anatema allenamenti comuni tra pari età di società diverse, stage, tornei con possibilità di scambio temporaneo di atleti. Negli sport individuali sono all’ordine del giorno periodi di allenamento con staff diversi da quelli abituali e persino in sport lontani parenti della disciplina praticata a livello agonistico.

Tutto questo è bellissimo.

Lo step che manca è la la presa di coscienza di questa trasformazione e l’adozione di modelli efficaci che possano incidere sulla qualità dell’offerta sportiva.

Per portare a termine questa trasformazione sarebbe utile la lezione di Erich Fromm: passare dall’avere all’essere. L’atteggiamento onnivoro e possessivo: la mia squadra, i miei atleti, il mio coach, il mio campionato, la mia prestazione debbono essere sostituiti da una visione collettiva ed intermodale fondata sull’essere. L’affermazione chiave di questo nuovo pattern diventa: sono uno sportivo.

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