Missione impossibile/device 8

Tra due punti è possibile tracciare una sola retta. Benetti ci mise poco a collegare il primo postulato di Euclide ai suoi progetti più immediati e a quel vago senso di ansia che lo aveva preso al risveglio, già prima di aprire gli occhi. Prima di scendere dal letto volle controllare su Google: sì, il primo postulato era proprio quello. Il fatto era semplice: doveva prendere un treno da lì ad un’ora e il percorso più lineare, unire il suo letto con la Stazione Termini mediante una retta, era appena sufficiente a non perdere il treno.

Non c’era dubbio: la versione euclidea del mondo prevede un tragitto lineare e veloce da Garbatella alla Stazione Termini, giusto in tempo per saltare sul Freccia Rossa, destinazione Milano. Da qualche parte, invece, fuori, ma non troppo lontano dalla retta, si trovava un punto con la Gelateria Fiocco di neve, ad un attimo dal Pantheon, con il miglior cono allo zabajone della Capitale.

C’era bisogno di una risoluzione immediata.

Ogni città ha la sua geometria, quella di Roma è post euclidea: due rette all’infinito s’incontrano, eccome se s’incontrano, anzi s’intrecciano. Siamo nello spaziotempo for dummies: per ogni evento le coordinate spaziali e temporali sono legate tra di loro in funzione dello spostamento relativo dell’osservatore. Per non perdere il treno, comunque sia, Benetti deve spostarsi velocemente. Qui entrano in gioco una serie di variabili impossibili da calcolare, tra le quali la puntualità della linea B delle metropolitana o del 760. Da Euclide si sbatte ad Heisemberg!

Del resto a Roma gli atomi non si danno un appuntamento: ad una certa si beccano!

Da un rapido controllo alla App Autobus Roma il coach, ancora mezzo addormentato, risolve una variabile: il 760 è dato a diciotto minuti. I trasporti di Roma sono l’elogio della lentezza.

Alla fine Benetti ce la fece e saltò sopra il bus con il suo Borealis North Face, blu, capiente 48 litri di disordine, già pronto dalla sera.

Gli rimasero addosso l’ansia e l’agitazione.

Ansia e agitazione furono, forse, il motivo per cui Benetti si sbrodolò il gelato a causa del quale stava rischiando di perdere il treno. Una signora australiana lo osservò prima macchiarsi come un bambino, poi dirigersi in fretta e furia verso la fermata dell’85, annunciato da Autobus Roma a tre minuti. La donna, lentigginosa ed in sovrappeso, indossava bermuda cachi d’ordinanza, uno strano cappellino fucsia e una maglietta rosa, con stampata sopra l’immagine di Minnie. Tutta la sua dedizione al ridicolo non le impedì di definire #extravagant e #crazy quell’uomo impataccato, che correva disperatamente incontro ad un bus: brandiva con la destra un gelato ormai alla fine, ma che si ostinava a leccare fin dentro il concavo del cono; con la sinistra, invece, sosteneva davanti agli occhi un cellulare sul quale stava controllando chissà cosa, mentre si trascinava un ingombrante Borealis North Face, blu, calato molto in basso, dietro alle spalle e oltre. Il Pantheon, sullo sfondo, contestualizzava la scena e conferiva alla quella inquadratura grottesca un contesto da contrappasso. L’australiana riuscì a girare l’inquadratura del suo Iphone e ne fece una clip di pochi secondi. La trasformò in slow motion e la postò su ogni social conosciuto al mondo. Non paga, la spedì sul gruppo whatsapp delle sue amiche di Sidney, che nel frattempo stavano bevendo il tè del pomeriggio. Queste, a loro volta, la condivisero su Instragram e su Facebook. Una, la più intellettuale della combriccola, la mise su twitter, #SpringinRome. In meno di trenta secondi Benetti era noto a qualche migliaio di persone sparse per il mondo. Nessuno avrebbe pensato che stava catamenandosi per tenere una lezione presso una delle più importanti Università italiane, al Senato accademico per di più.

Sull’85, pressato com’era dalla folla, non si ricompose, ma controllò lo stato della circolazione dei treni: purtroppo l’App Trenitalia non dà notizie sui quelli che devono ancora partire. Registra i percorsi dei treni, non ha la palla di vetro. Benetti, a conti fatti, correva nella speranza di un paio di minuti di ritardo sulla partenza. Una corsa per il podio. Salito sul predellino del Freccia Rossa, proprio mentre il capostazione fischiava il segnale di partenza (cosa che aveva desiderato fare da anni, salire quasi in corsa), Benetti realizzò più compiutamente che il giorno intero era scandito al secondo e condizionato dagli orari dei treni. Non avrebbe avuto tempo per rimediare al pasticcio di zabajone. Nel Borealis North Face blu, capiente 48 litri di disordine c’erano un paio di tshirt sgualcite, ancora meno adatte all’occasione di una camicia macchiata.

Ricontrollò per default l’App di Trenitalia, orario di partenza da Roma Termini ore 9, il treno è partito con tre minuti di ritardo, orario di arrivo a Milano Centrale 11.55. Sarebbe poi subito corso alla Bocconi per tenere le due ore di quella specie di lezione. Ovviamente non erano ammessi ritardi.

Subito dopo avrebbe sprintato verso l’ultimo treno utile per raggiungere Ingrid, la quale stava lavorando più o meno dalle parti di Innsbruck. Partenza da Milano ore 15, arrivo a Innsbruck ore 20 e 32! Aveva anche messo in conto qualche controllo di quelli che ormai, alla faccia di Schengen, vengono fatti a Bolzano, e fissato l’appuntamento con la fidanzata austriaca alle 21.

Di solito, quando è sul treno Benetti dorme e si diverte con lo smartphone, prima però avrebbe dovuto sistemare quella strana cosa da fare alla Bocconi e vedere come quadrare gli orari della giornata. L’unica cosa nelle sue disponibilità era ridurre di qualche minuto la lezione.

Via il feedback dell’uditorio, non ci sarebbe stato tempo! Il Rettore aveva chiesto due ore di relazione, più il tempo per le domande e gli interventi. Si sarebbe tenuto nel limite delle due ore, comprensive di tutto: alle 14 e trenta in punto saluti e baci a tutti; non ci sarebbero state domande.

Da giorni rimuginava su quella stupida missione (impossibile): spiegare a imbolsiti professori universitari perché una brillante ventenne milanese preferisse una lezione di coaching e filosofia tenuta da un gran fico, giovanissimo quanto brillante filosofo ad una esercitazione di analisi1 con un decrepito e saccente ‘so tutto io’ che per giunta inizia a valutare un compito dal 25 a scendere. Sarebbe bastato Marzullo: fatti una domanda e datti una risposta. Inutile andare oltre. Invece bisognava andare oltre.

Perchè perdere tanto tempo in questa impresa? Le ragioni delle cose, come ci insegna Guglielmo di Ockham, sono molto semplici: avrebbe dovuto rifiutare, invece accettò soltanto per non fare una scortesia al rettore. Ockham, gia…Ockham… magari un’occhiata a Wikipedia avrebbe dato uno spunto per una citazione. Ma come si scrive Occam? Proviamo con l’assistente vocale. Perfetto.

Proprio così, non serve Freud, basta Ockham. Aveva accettato questo incarico soltanto per sopravvivere.

La prima spiegazione, la più lineare, quella che taglia le altre con un colpo di rasoio è questa: Mario Brandi, il Rettore, amico fraterno del fratello di Marco Benetti, era la sua unica fonte di sostentamento e se il coach avesse voluto continuare a nutrire speranze di un nuovo incarico per il prossimo anno non poteva certo contemplare l’ipotesi di rifiutare la pantomima. Se non faccio questa stupida lezione il prossimo anno non mangio, si disse. Questa era la ragione.

Fatto sta che la motivazione di Benetti era ai minimi termini, il punto più basso della scala di Maslow. L’obiettivo era un obiettivo di risultato, estrinseco e legato ai bisogni primari. Non c’era nessun appeal intrinseco alla cosa. Come coach di se stesso faceva schifo.

Per questi motivi, piuttosto demotivanti, ancora nel pomeriggio precedente, Benetti non aveva ancora in mente cosa avrebbe detto: era al buio. Quei maledetti numeri sulla frequenza alle lezioni, il gradimento degli studenti, i risultati raggiunti dicevano solo una cosa: le lezioni degli altri docenti erano vissute come una grande perdita di tempo!

Benetti, al contrario, era stato premiato per due semestri consecutivi come il professore più seguito dell’Ateneo.

Per fortuna Roma a Giugno ha un tramonto che farebbe venire una buona idea anche ad un criceto. Indossate le Brooks da running, la maglia tecnica Adidas gialla (non importa se ormai piena di buchi, quelle tre strisce sulle maniche gli fornivano energia sufficiente per qualsiasi impresa) il filosofo & coach si era andato a fare una corsetta tra le vie storiche di Roma. Corsa rigenerante, fu la definizione che selezionò dalla tendina di una casella del suo complicato file Excel nel quale registrava ogni aspetto dei suoi allenamenti. Aveva bisogno di correre, ed effettivamente corse, riuscendo a vuotare la mente fino a Ponte Garibaldi, quando si lasciò l’isola Tiberina a sinistra. Poi percorse a passo crescente quella che dovrebbe essere una ciclabile. Tanto è piena di ostacoli e buche che Benetti la utilizza come percorso di Fartlek. Raggiunse con qualche affanno San Pietro che il sole ha appena colorato di arancione. Respirava con il naso e teneva una posizione eretta, che controllata visualizzandosi come un manichino appeso ad un filo dalla punta della testa… così suggeriva un tipo seguitissimo sul blog Correre naturale.

Quando se ne fu andata una mezz’ora di corsa leggera decise che era giunto il momento. Benetti si sentiva finalmente in zona e il cervello girava tutto sulla chiacchierata del giorno dopo. La storiella del treno può funzionare. Salve sono Marco Benetti, no, non sono parente di Romeo Benetti … Sono un filosofo che insegna coaching nella facoltà di matematica, bella stranezza eh? A proposito, conoscete la differenza tra un treno e un filosofo? No?!? Il treno quando esce fuori dai binari deraglia, il filosofo… va avanti che è una meraviglia… .

Non riderà nessuno, ma penseranno di avere davanti un coglione e si rilasseranno. Un po’ di autoironia aiuta.

Intanto il Garmin segna un’andatura di quattro minuti e venti secondi al chilometro. Il passo è quello accelerato di quando il cervello perde il controllo delle gambe e pensa con efficacia. Mindfullness, boh? Bisogna trovare tre punti per smontare quel modo antico di far lezione e costruirci intorno due ore di chiacchiere. Benetti si concentra e accelera ancora un po’.

Primo punto: tornare al treno. Ecco, signori, proviamo a fare il treno! Quando i nostri ragazzi escono dai binari andiamo avanti giocandoci la carta di uscire fuori dal seminato insieme a loro e vediamo quello che succede. Non giudichiamoli, proviamo a seguirli!

Perfetto, quel cretino che parte a dar voti da 25 deve capire che non giudicare può essere utile anche a lui. Qui, per creare un briciolo di empatia, Benetti decide di provocare e di vendersi la storia del nonno milanese.

Milano è troppo vicino alla Svizzera. Guardate che anche se solo per un quarto di sangue, sono milanese anche io, so cosa vuol dire, del resto non mi chiamo Benetti a caso. Gli svizzeri in tutta la loro storia di pace e benessere hanno avuto un solo genio, Einstein, e l’hanno impiegato all’Ufficio brevetti. Einstein era uno che deragliava. Il nostro treno va in direzione opposta rispetto alla Svizzera.

Bene, il cervello comincia a starci dentro, certo che quelle due inglesine che corrono là davanti sono una bella distrazione! Debbono essere in gran forma: corrono con una buona frequenza, poggiano il piede con elasticità e sono sempre in spinta. Benetti attraversa Ponte Sublicio e ritorna verso il Fatebenefratelli, deve rientrare in zona e quelle lo portano fuori, meglio lasciarsele alle spalle.

Secondo punto. I nostri ragazzi sanno già tutto, dobbiamo solo sollevare la polvere che copre il mosaico della loro conoscenza. No, non può citare Agostino, sarebbe uno sfoggio imperdonabile. Lascia la citazione sospesa, come il caffè a Napoli, chi arriva se lo piglia. Certo è che ‘sta storia del mosaico è comunque dura da far digerire ad un professore di matematica. Ah, già, il Menone.

Se Socrate fa domande ad uno schiavo analfabeta e lo induce a dimostrare il teorema di Pitagora, noi non pensiamo che le migliori giovani menti di Milano possano arrivare da soli a quello che dobbiamo loro insegnare? Non pensiamo che, se scoprissero con la loro intelligenza i punti del nostro programma, sarebbero molto più motivati che se noi infliggessimo loro noiosissime lezioni, anticipando persino dove vogliamo andare a parare? Già perché noi gli togliamo pure ogni suspense, presentando i piani dei corsi che poi seguiamo alla lettera, anche se ci fosse un’invasione di cavallette.

E così anche il secondo punto è andato. Proprio quello fu l’esatto momento dello zabaione! Benetti esce fuori dalla zona, pensa all’uovo, al marsala e a quella strepitosa sostanza che producono insieme. Anche un coach divaga. Per non cadere nel bisogno dello zabaione deve allontanarne il pensiero. Dialogo interiore, self talking: se riesce a concentrarsi fino a trovare la soluzione, domani, prima di partire, si sarebbe premiato con un maxi cono allo zabaione. Benetti esagera con gli esercizi di visualizzazione: se lo sente già sulla lingua e sotto il palato!

Manca ancora la terza questione che deve anche essere una degna conclusione del discorso. L’obiettivo è chiudere con un punto forte e fuggire veloce tra le braccia di Ingrid!

Intanto le due inglesine hanno fatto dietro front e il coach, appena inverte il senso di corsa, se le trova davanti. Quella più anziana con i capelli rossi avrà quasi la sua età, s’incrociano. Benetti resta ammirato dalle sue efelidi su una carnagione lattigginosa. Esegue una scansione del suo corpo, teso e tonico, bianchissimo, in contrasto matematico con i grandi occhi neri. Lei sorride. Un errore. Benetti avverte il pericolo e si ricollega subito ai suoi pensieri. L’inglesina ha risolto il terzo punto. Benetti si sente come il tipo che ha scoperto la gravità quando ha visto cadere una mela….come si chiamava il tipo. Vabbè, a casa controllerà sullo smartphone.

La cosa per noi più pericolosa è procedere senza sapere cosa pensano i nostri studenti di noi e della materia che vorremmo insegnare. Il feedback, anche se negativo è il fulcro del nostro lavoro. Basta un sorriso per sapere che stiamo sulla strada giusta.

Primo: deragliamo insieme ai ragazzi, soprattutto lasciamoli deragliare.

Due: lasciamoli scoprire quello che pretendiamo di insegnare e fidiamoci delle loro intuizioni.

Terzo: rimoduliamo la nostra corsa sul loro feedback.

Punto, partita e incontro. Conferenza finita.

Tornato a casa non restava che scegliere l’abbigliamento adatto alla lezioncina, preparare le slides e integrare i carboidrati. Le inglesine avrebbero potuto continuare a fare avanti e indietro lungo il Tevere: per loro non c’era spazio neanche nei pensieri! Meglio così.

Per la scelta dell’abbigliamento Benetti rispolvera le lezioni PNL di Mariolinovecchiasòla, conosciuto quando il filosofo&coach era ridotto a vendere aspirapolveri e materassi porta a porta e lui era il consulente che l’azienda aveva ingaggiato per aiutare i venditori a bidonare il prossimo.

Devi ricalcare il comportamento e il modo di essere di chi ti apre la porta: devi aprire un canale di comunicazione sembrando il più possibile simile e familiare alla persona a cui vuoi vendere l’aspirapolvere. Devi stabilire il rapport.

E allora sia: giacca blu per ricalcare la solennità accademica dei colleghi e camicia bianca sportiva, rigorosamente senza cravatta, per ricalcare lo stile degli studenti. Un po’ gazzella, come le loro prede, e un po’ leone, come uno del loro branco.

Bene, ripassata la conferenza e la sua genesi Benetti poteva così dedicarsi ai suoi passatempi preferiti, zompettare sui social tra una pennichella e l’altra.

Rispetto alle altre volte il viaggio non fu poi così sereno. Quasi a Bologna Benetti gioca con una nuova ricerca Google: parole del coaching. Un sito, Prometeocoaching, ha redatto un glossario. Il filosofo&coach, un po’ annoiato, lo scrolla rapidamente. Un concentrato di idiozie PNL. Salta fino a Rapport, pensando al suo abbigliamento, magari trova qualcosa sulla macchia di zabaione… bla, bla, bla …si traduce nel comunicare con lo stesso linguaggio, allineandosi ai canali verbale, non verbale e paraverbale dell’interlocutore…

Ma poi questa storia del ricalco e del rapport, bella invenzione! La captatio benevolentiae era il primo punto nello schema dell’orazione latina. Nessuno ti sta ad ascoltare se non è ben disposto nei tuoi confronti e la tecnica è sempre quella: mettersi in sintonia!

Benetti è un maniaco compulsivo e si rende conto che tra rapport e ricalco manca una parola. Quando ha queste sensazioni si sente rapito da una sorta di horror vacui, comincia a somatizzare, sente contorcersi le budella, finchè non trova la soluzione del puzzle.

Apre il dizionario on line Hoepli e cerca le parole intermedie tra rapport e ricalco.

Resilienza, manca resilienza! Urla, svegliando una giovane suora seduta davanti a lui.

Bella parola resilienza. Decide di utilizzarla per coprire la macchia di zabaione.

Poche ore dopo, una platea impegnata a giocare con ogni tipo di device lo sentirà concludere:

…avete notato questa macchia di zabaione sulla mia camicia bianca? Non dobbiamo cercare il feedback degli studenti su pezzi di carta o per email. Prima di questa riunione mi sono andato a prendere un bel gelato con due di loro. Uno dei due tipi, sapendo cosa mi accingevo a fare, cioè parlare solennemente con voi, mi ha intenzionalmente macchiato con il suo gelato allo zabaione. Dovrò riflettere su cosa avesse da dirmi con questo gesto, oltre che dimostrarmi la sua amicizia con uno scherzo … di ottimo gusto!

Quindi, l’incontro termina senza domande e senza feedback, quando ci incontreremo al bar nel prossimo semestre, se il Rettore mi confermerà l’incarico, mi mostrete il vostro feedback!

Sorriso da pronti, via!

Applausi di liberazione dalla platea.

Sono le 14 e 30 quando parte, amplificata in tutta la sala, Voi che sapete, la sonata dell’austriaco Mozart, scaricata semi abusivamente dall’app Strauss e programmata sull’Iphone come avviso del limite ultimo alla conferenza.

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