Edge of Chaos, by Dambisa Moyo

Libro interessante quello di Dambisa Moyo. Anzi inquietante. Cosa interessa e cosa inquieta è presto detto. Interessa la prima parte, quella dedicata all’analisi della storia del rapporto tra democrazia e crescita economica. Secondo l’autrice il modello sono gli USA, esempio di prosperità, che dopo la guerra si sono posti la priorità dei diritti e della libertà dei propri cittadini. Da questo scaturisce un sistema educativo che permetta a chiunque di migliorare la propria condizione sociale, un sistema sanitario che garantisca a tutti di vivere in salute, e misure che favoriscano l’occupazione. L’autrice sembra dimenticare che agli occhi di noi europei almeno i primi due fattori non sono proprio così sviluppati negli US, almeno non come lo sono in alcuni stati europei. La lotta per l’assistenza sanitaria garantita a tutti è stata una delle battaglie perdute da Obama e sul sistema di istruzione pubblico ci sarebbe tanto da scrivere. Ma, come vedremo, non è questo il punto.

Interessa anche l’analisi dei fattori che mettono in crisi il modello statunitense e che si riconducono ad un grosso problema: una globalizzazione che non funziona ed è minacciata dal protezionismo, il quale rappresenta sempre più la tentazione diabolica delle grandi democrazie.

Il punto centrale è che le grandi democrazie non si sono riformate in maniera adeguata alle grandi sfide economiche che debbono affrontare.

Su questo non ci sono dubbi e per quanto interessante il libro di Moyo non rappresenterebbe una novità.

La novità è nell’inquietudine che trasmette l’autrice quando indica i tre vettori che sarebbero utili ad una riforma produttiva del concetto di democrazia:

a) estendere la durata delle legislature, per farla coincidere con i cicli del mercato. Questa riforma permetterebbe ai governi di attuare politiche a lungo termine, al riparo da questioni contingenti;

b) divieto di finanziamenti privati alla politica, al fine di circoscrivere l’influenza delle lobby;

c) superamento del suffragio universale attraverso dei test di abilitazione che garantirebbero un peso maggiore al voto di chi è ben informato. Questo sistema ridurrebbe l’influenza delle spinte populiste e delle promesse di facili soluzioni.

A fronte delle tre proposte di riforma avanzate da Moyo alcune considerazioni sembrano doverose. Appare chiaro che le democrazie debbano modificarsi, ma la ricetta è stravagante e pericolosa. Sul primo punto, se il termine fosse ragionevole, per esempio garantendo legislature di sette anni (termine psicologico più che reale di un ciclo economico), il pericolo non sarebbe mortale per la democrazia. Le cose, però, cambiano con grande frequenza e il rischio di una riforma in questo senso sarebbe di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato. La ricetta che avesse portato alla vittoria una forza politica sette anni fa sarebbe oggi vecchia e inadeguata. Quindi i casi sono due: o chi Governa cambia ricetta e quindi governa sulla base di un programma per il quale non ha ricevuto i voti, oppure non si adegua, portando il sistema economico alla rovina.

Riguardo ai finanziamenti privati: il ritratto del politico in un sistema del genere sarebbe quello di un magnate in grado di sostenere i costi dell’attività politica o di un politico sostenuto dal consenso politico delle lobby. Un politico che si dichiarasse a favore della libertà per ogni cittadino di possedere un’arma sarebbe sostenuto dai produttori di armi, a prescindere dal fatto di ricevere finanziamenti diretti per sostenere la sua attività. Anche qui l’effetto ottenuto è contrario a quello dichiarato.

Infine il suffragio universale. Questo punto pare essere il punto più intrigante. E’ vero che oggi il voto di un cittadino non interessato alla politica pareggia il voto di un cittadino molto informato. E’ vero che questa situazione favorisce scorciatoie e la ricerca del consenso su soluzioni populista. Ma siamo sicuro che un essere umano possa essere limitato nel contribuire alle decisioni in funzione della sua capacità culturale?

La domanda è: il voto, con il suo postulato del voto uguale, garantisce l’espressione della volontà del cittadino in quanto tale, in quanto essere umano, o garantisce soltanto il cittadino in grado di esprimere scelte qualificate?

Il suffragio universale è ancora un valore indisponibile?

Il porre soltanto questi quesiti la dice lunga sul degrado civico del nostro tempo.

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