Non mi aveva detto di avere una moglie così bella

C’era questo tipo, il capo di tutto. Ci avevo parlato quando mi avevano trasferito nella sua divisione. Aveva voluto sapere un po’ di cose della mia vita, dei miei studi. Poi lo avrò visto tre o quattro volte. Tre o quattro volte in due anni. Sì ci scambiavamo email, mi faceva chiedere dei lavori ai quali davo la precedenza e cercavo di svolgere al meglio. Ma niente più di questo. Un giorno, era venerdì. Lo ricordo bene. Entra nel mio ufficio e mi dice che ha saputo che la mia macchinetta Nespresso fa un ottimo caffè. Oddio, penso. Avrò violato una norma della policy aziendale. Non si fanno caffè. Deve essere stato quel tipo della safety. Divento rosso. Ma il capo, Tonini si chiama, insiste. Per cortesia, ne ho bisogno. Vabbè, faccio io. E gli faccio il caffè. Lo beve e mi dice: ma davvero lei è un esperto d’arte?

Esperto? Faccio io. Non credo che sia professionale che uno che lavora alla contabilità sia un esperto d’arte. Quindi dico di no, che mi piace passare il weekend a vedere mostre, ma esperto, proprio no. Invece mi sa di sì, potrei anche definirmi esperto d’arte. Mi piace. Me lo ripeto dentro. Intanto giro il cucchiaino nel mio caffè. E lui insiste: non faccia il modesto. Guardi, mi dice: domenica l’aspetto con sua moglie da me, ad Arezzo. Ci mangiamo una cosa. Ne vale la pena.

Non posso dirgli di no. Lo dico a Linda quando arrivo a casa, le dico che non credo che io possa dirgli di no. Linda si tocca la sua treccia di capelli neri. Quando fa così è nervosa. Il tuo capo? E che gli dico al tuo capo? Quello sarà pieno di soldi? Cosa gli portiamo? Che mi metto? Insomma, comincia a farsi tutte queste domande.

E allora arriva la domenica. Linda è nervosa. Sono sicuro che mi lascia solo. Invece sale in macchina e passa il viaggio a martoriarsi la sua treccia bionda. Arriviamo in questa cascina seguendo la posizione che il capo mi ha mandato su WhatsApp. Un vialetto, niente di che. Parcheggiamo.

Ma non mi aveva detto di avere una moglie così bella! Eh, sì lei è proprio un esperto di opere d’arte. Poi chiama la moglie. Vieni Marisa, guarda che splendida coppia di giovani.

Linda allora si soffia sul ciuffo di capelli. Quando fa così è veramente arrabbiata. Per un attimo ho temuto che il capo volesse farle il baciamano. Invece si si mette a fare il simpatico, ci chiede di darci del tu e ci invita a tavola. Marisa ci porta una ribollita che non ho mai mangiato così buona. Si beve un Chianti spettacolare e insomma cominciamo a sciogliersi un po’. Linda ha fatto persino una battuta sui miei studi in storia dell’arte. Dice che mi sono appassionato solo perché ero innamorato della mia professoressa del liceo. Ormai sarà una vecchia grassona, dice Linda.

Insomma, finisce il pranzo e ci alziamo da tavola. Suona il campanello ed arriva un tale. Accomodati Mario, fa il mio capo e si procede con tutte le presentazioni. Insomma, questo Mario è un professore universitario. Manco a farlo apposta insegna storia dell’arte rinascimentale. Pittura, precisa lui. Insegno pittura rinascimentale. Mai sentito questo insegnamento, ma lo tengo per me. Insomma che fai? Parli solo dei quadri di Michelangelo, Leonardo e compagnia?

Venite, venite mi dice il capo. E ci fa entrare in una specie di cappella. Quadri dappertutto, ognuno con una luce a led che lo illumina. Io mi fermo a guardare il primo, una scena di caccia. Una luce degna di Caravaggio e il mio capo mi tira via.

Dietro Marisa ridacchia con Linda. E’ Marisa che ridacchia, percepisco bene il silenzio di Linda.

Arriviamo sulla parete corta, in fondo. A momenti mi prende un colpo. Ma…. Faccio io. Eh già, fa il mio capo. E’ un Gherardo delle Notti. Già, dico io. Già, dice il professore. Mi giro, ma Linda sta guardando un quadro dall’altra parte, deve essere stato una copia dei girasoli di Van Gogh.

E’ appena andato all’asta, dico.

Già, dice il mio capo.

Già, dice il professore.

Mi giro e vedo che Linda gioca sul telefonino. Marisa è dietro a noi e dice, già, lo abbiamo preso noi.

Il professore ci spiega tutto, disattivano l’antifurto, mi danno dei guanti e mi fanno staccare il quadro. Lo giro, ammiro l’intelaiatura, i restauri. Ci gioco un po’. Non mi era mai successo di prendere un quadro del Rinascimento in mano. Il professore e il mio capo ridacchiano, si danno di gomito, commentano. Usciamo da quel santuario e mi offrono un sigaro. Un Garibaldi. Come fanno a sapere che fumo solo quello?

Si fa tardi, salutiamo ed entriamo in macchina. Linda non dice una parola, ma gioca con il telefonino.

Che c’è?, faccio io quando a destra vediamo il duomo di Orvieto.

C’è il duomo di Orvieto, mi risponde.

Dai su, dico io. Che hai fatto?

Lo sai quanto è stato pagato quel quadro.

No, non lo so.

Ho guardato su questo sito di una casa d’aste. Pandolfini. E’ valutato una cifra tra i trecento e i cinquecento mila euro.

Già, rispondo ebetito.

Tu lo vorresti?

Ma un quadro non si vuole, dico.

E per te è normale che il tuo capo spenda tutti questi soldi per un copione di Caravaggio? Te lo ha fatto toccare, ha goduto della tua ammirazione. Avete avuto un amplesso su uno stupido quadro! Lo ha comprato per questo. Hai ragione. Un quadro non si vuole, si vuole un amante. Lui lo vuole possedere, vuole che i suoi amici lo posseggano. E’ malato. Fidati, è malato.

Beh, dico io, è un gran bel quadro! Lo dico per sdrammatizzare. Poi le tocco una mano, per tenerezza. Era tutta rossa. Continuava a soffiare sul suo ciuffo. Mi piace quando fa così.

Poi lei ha fatto una cosa. Ha attaccato il suo telefono allo schermo della macchina e ha aperto l’APP di Google Arts & culture. Allora, dove vuoi che ti porti amore? E’ fatta così, si sfoga e poi fa come se niente fosse successo

Insomma, è tornato il sereno e da Orvieto a Roma ci siamo girati un po’ di musei in tutto il mondo.

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