Dal 1978….


Attese che il grande orologio inchiodato sopra la piccola finestra della sua stanza segnasse le 23.00, diede un’ ultima occhiata alle agenzie. Non c’era nulla di nuovo. Poteva chiudere bottega. Attivò il comando del si stampi, spostò con la solita difficoltà il mouse sulla x di telpress, il programma che raccoglie i lanci di agenzia, si spostò sulla finestra di Windows e selezionò spegni il computer. Non valeva la pena sorvegliare l’agonia del PC, tanto poi tolgono la corrente e buonanotte. Salutò l’unico impiegato rimasto fino a quell’ora e si raccomandò che tutto procedesse per il meglio.

Bonanotte dotto’, gli augurò l’usciere, che ai primi freddi di novembre si era conciato come se dovesse scalare l’Himalaya. Se ne stava con la testa fuori dal vecchio portone liberty e fumava l’ultima Camel della giornata, la trentesima.

Buonanotte, Antonio. Si copra bene e mi raccomando la smetta con questo fumo. D’estate il commiato sarebbe stato diverso: stanotte non dormiamo per il caldo, ma come fa a fumare con questa temperatura?, gli avrebbe detto. Ma ora eravamo in autunno inoltrato e si era passati ai commenti sul freddo e sull’abbigliamento. L’invito a non fumare, no, quello restava: era un dovere morale.

Percepì in risposta un indefinibile borbottio alle sue spalle. Comprese solo un …ci vediamo….. Salì sulla sua Vespa del 1978 e se ne andò a casa. Assunta, la signora abruzzese che curava le sue faccende domestiche dal 1978, gli aveva lasciato la cena, come sempre. Accese la tv per seguire la rassegna stampa di Rainews: era una buona abitudine che gli consentiva di svegliarsi già pronto per la riunione di redazione. I colleghi smanettavano sui tablet in caccia delle ultime notizie fino all’ultimo momento, prima che il direttore li chiamasse urlando dal suo ufficio. Lui aveva il quadro già dalla sera prima. Così, almeno, difendeva la sua posizione altrimenti indifendibile.

Intanto sminuzzò distrattamente il pollo alla romana e le patate arrosto che avrebbero dovuto essere la sua cena. Prese una Peroni dal vano superiore del frigo e ripose pollo e patate in quello inferiore.

Si svegliò con l’idea di dover fare qualcosa di importante. Si preparò il caffè, si fece minuziosamente la barba, tutto come sempre, dal 1978. Eppure quel tarlo cominciava ad essere fastidioso: sapeva che per quella mattina si era segnato a mente un impegno, ma non riusciva a ricordare quale fosse. Si vestì con gli abiti puliti preparati da Assunta, sforzandosi si pensare che quello fosse un giorno come tutti gli altri. Non riusciva a ricordare perché non lo fosse, ma lo sapeva, diamine se lo sapeva che non era un giorno come tutti gli altri. Perché?, continuava a chiedersi.

Finalmente, mentre si allacciava le sue finte Clark, realizzò: la cosa che doveva fare quella mattina era una cosa da non fare. Fu contento di essersi ricordato. Questa fu la sua sensazione. Essersi liberato da un peso. Non era rimbambito. Si era ricordato. Effettivamente quello non era un giorno come gli altri.

Era stato licenziato, non doveva andare a lavoro.

Non aveva problemi economici, i proprietari del giornale gli avevano pagato i contributi dal giorno della sua assunzione, il due gennaio 1978. Presto, Fornero, quota 100 o 41 anni di versamenti all’INPS, sarebbe arrivata la pensione. Nel frattempo avrebbe ricevuto l’indennità di disoccupazione. Finiti i giochi, si disse.

Aprì il frigo, tirò fuori il pollo. Osservò il condimento. Il sugo, una volta raffreddato, era diventato una gelatina molliccia ed aveva inglobato i peperoni e i pezzetti di pollo in un brodo primordiale, ma gelato. Mangiò tutto senza scaldare. Si spogliò, accese lo schermo in camera da letto, si sintonizzò su RaiNews e si infilò sotto le coperte. Dormì fino a sera.

Passò giorni di noia assoluta, ma non si rendeva conto di annoiarsi. Passava giorni, è più esatto dire. Si accordò con l’edicolante per ricevere una mazzetta di quotidiani, li ritirava con regolarità, ma poi leggeva distratto i titoli, riconosceva le firme dei colleghi e indovinava il testo dell’articolo prima di leggerlo. In strada il contenitore della carta era saturo e il vecchio giornalista aveva dato il suo contributo. Così disse un tipo che difendeva l’operato della nuova amministrazione comunale. E’ colpa del vecchio giornalista, disse esattamente, non fa altro che leggere giornali e buttare carta. Qualcuno lo ha visto buttare anche dei libri, aggiunse scandalizzato per lo spazio che i libri occupavano nella campana di vetro. Che comportamenti incivili!, commentò il barista, mentre sorvegliava l’operaio che scaricava la nuova slot machine.

Guardò molta televisione, una sera invitò Assunta al cinema, ma quella diventò rossa e gli chiese se fosse uscito pazzo. Ci andò da solo. Il nuovo documentario di Nanni Moretti sugli anni bui del Cile visti dall’Italia lo colse sul primo sonno. Tornò a casa e continuò a dormire. A chi era rimasto al cinema, pensò, non deve essere andata meglio.

Comprò un Samsung A qualcosa, aprì la scatola, lo accese… osservò i primi messaggi di welcome e lo spense. A Natale lo avrebbe regalato a suo nipote. Sempre che sua sorella lo avesse invitato a pranzo.

Si alzò ancora una volta con l’idea di dover fare qualcosa. Questa volta ricordava benissimo cosa fare: aprì il portafoglio e trovò il biglietto che il tagliatore di teste gli aveva lasciato. Era quello di Intoo 2000, un’azienda di outplacement. Un tale dott. Mastrofini lo avrebbe indirizzato verso un bridge, un job che lo avrebbe accompagnato alla pensione. Così disse il tagliatore di teste che poi era di Molfetta. Si sentiva che era di Molfetta pure quando parlava in inglese.

Cazzo!, ripensò, sono stato licenziato da uno di Molfetta che parla tutto sci, sci….

Chiamò Mastrofini e fissò un appuntamento.

Parlarono di target, purposes, performance, skills… Dopo trenta minuti arrivarono al punto: cosa ne direbbe di una proposta da media social manager per un vecchio parlamentare?

L’espressione vecchio parlamentare lo rassicurò. Accettò di incontrarlo. Si videro da Fortunato al Pantheon, pranzarono parlando della vita e cominciarono ad affrontare l’argomento davanti ad un caffè al banco affollato della Tazza d’oro. E’ cambiato tutto, disse il vecchio parlamentare, io ci vengo dal 1978, ma non è più come prima.

Il caffè è sempre buono, disse il giornalista.

Il caffè sì, ma il banco è affollato. Turisti, gente che viene per il nome, non si sente più l’odore della torrefazione, è finito tutto. Non è più come prima, non le è più da un pezzo. La stessa cosa per il giornalismo, caro mio. Troppo affollato ‘sto mondo. Tutti che sgomitano per un caffè.

Davanti al Pantheon il vecchio parlamentare prese sotto braccio il giornalista. Era un vecchio modo di fare dei parlamentari del sud. Buon segno, pensò il giornalista.

Vede, disse il vecchio parlamentare, a me serve un giovane che vada su Facebook, smanetti su Instagram, mi faccia qualche video per YouTube… adesso è uscita questa cosa nuova che va forte con i giovani … TikTok, esce sempre qualcosa di nuovo. Insomma, quelli del partito mi hanno detto che se non mi metto al passo sarà difficile ricandidarmi. Mi hanno proposto un ruolo dietro le quinte. A me!

Vabbè, dico io. Mettiamoci al passo. Alla mia età non puoi correre, devi trovare qualcuno che corra al posto tuo. Io allora mi rivolgo ad un’agenzia. Quanto costa? Posso pagare. Lo sanno. Insomma, io pago e tu devi mandarmi il top. Cazzo, se non mi mandi il top io mi rivolgo a qualcun altro. No? Non è così che funziona?

E loro chi mi mandano? Uno che fa il giornalista chiuso in una stanza dal 1978…senza offesa, s’intende.

Lo scorso anno ho fatto un aggiornamento sui social media, protestò timidamente il vecchio giornalista.

Sì, sì, vabbè. Disse il vecchio politico gesticolando con la mano che non era impegnata nel tenere il braccio del vecchio giornalista.

Il Pantheon era pieno di turisti che sembravano colpiti da emiparesi del braccio destro: lo tenevano in alto con in mano il telefonino pronto a scattare selfie. Qualcuno lo aveva incastrato su strane asticelle. Attrezzi color pastello si alzavano e abbassavano a velocità compulsiva. Tutti che ridevano.

Il vecchio parlamentare e il vecchio giornalista rimasero in silenzio. Che cazzo si ridono, appesi a un telefono!, sbottò il vecchio politico. Poi tirò fuori dal suo paltò un Samsung A qualcosa, come quello che il vecchio giornalista aveva riposto con cura nella scatola destinata al nipote. Con naturalezza estrasse dall’icona dei contatti il numero del direttore del giornale e attese la risposta.

Caro direttore, disse, sto qui con un carissimo amico che lavora per te… scusa come ti chiami? chiese ammiccante al giornalista coprendo il microfono con la mano, …. sì il vecchio Carlo, Carlo Monetti, lavora per voi dal 1978… è in gamba sto ragazzo…siamo vecchi amici….no, diretto’, no LAVORAVA… L A V O R A…. sì è stato tutto un equivoco… bene, grazie diretto’, a proposito… quel deficiente di Molfetta che parla tutto sci sci non è cosa buona che lavora per voi… ci siamo capiti? Ti abbraccio, diretto’, ti tengo sempre presente. Ah, saluti alla signora!

Il vecchio politico strinse la mano al vecchio giornalista, lo abbracciò.

Eccheccazzo, pure io faccio politica dal 1978!

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