E’ da ieri che lo ripeti. Stanno arrivando, stanno arrivando. Qui non si è visto nessuno. Protestò la donna.
Dai, lascia tutto, scendiamo. Andiamo sulla strada statale!
Dove vuoi andare? Chiese la donna.
Lo ha detto la Radio, questa volta è vero. Disse l’uomo. Stanno passando sulla statale. Si avvicinò alla grossa radio a valvole che ascoltava da mesi con l’orecchio attaccato all’altoparlante e il volume al minimo. Ruotò la manopola e la stanza, la casa, tutto il vicolo, fu invaso dalla voce della radio.
L’Italia è stata liberata. L’Italia è libera.
E Rosetta? Rosetta la lasciamo qui, sola? Lei non si muove. Non parla. Non parla da quando è tornata. Tu e la tua maledetta radio. Ti sei dimenticato di Rosetta? Guarda, sta sempre con quegli occhi sgranati. Ha la febbre. Oggi le sono spuntate certe macchie strane. Dovremmo chiamare il medico condotto. Dove vuoi portarla?
Rosetta, la ragazzina, con le sue treccione nere, se ne stava seduta. Muta. Si guardava il grembo. Inespressiva. Rigida e immobile. Una statua. Un statua spenta.
Due bambini scorrazzavano nel grande salone. Dai papà andiamo! Scendiamo alla statale! Metti la musica! Metti la musica.
Lui, l’uomo, girò la manopola, mise la musica. Si alzò sui piedi congelati. Fece qualche passo incerto. Si battè la fronte come a significare che si era dimenticato qualcosa. Si avvicinò alla ragazza.
Gli americani. Rosetta, stanno arrivando gli americani!
Fu allora. Fu allora, che la ragazza si scosse. Non proprio si scosse, ma uscì dal suo immobile silenzio. Prese la mano del papà, si alzò in piedi. Andiamo, disse con un filo di voce. Gli americani, sono arrivati gli americani. Andiamo papà. Disse ancora. Poi lo tirò verso la porta.
L’uomo sorrise, come non sorrideva da anni. Come non aveva mai sorriso. Guardò la donna. Quella si tolse il grembiule, era da anni che non si toglieva il grembiule per uscire di casa. Si asciugò le mani su uno straccio appeso al tubo della stufa a legna, diede uno scappellotto ai due ragazzini che scapparono sulle scale e chiuse la porta. Non lasciò le chiavi attaccate. Le prese, le strinse in pugno, osservò la sua mano chiusa e se ne andò dietro al suo uomo e ai suoi ragazzi.
Piano, piano, disse l’uomo a Rosetta. I piedi congelati. Non sono i piedi congelati come di chi è stato in Russia, ma anche in Albania c’era il ghiaccio cara. Lo vedi, lo vedi che non riesco a correre. Ti ho raccontato. Tu non mi ascoltavi. Ma in Albania, sai in Albania, avevo gli stracci intorno alle scarpe. Faceva freddo, c’era il ghiaccio. E’ una fortuna che tuo papà sia tornato. E’ una fortuna. In guerra con gli stracci intorno ai piedi ci hanno mandati. In Albania. Povera gente come noi. A momenti ci ammazzano a tutti quelli. Maledetti! Era povera gente. Come noi. Noi stavamo a casa loro, certo, ma a momenti ci ammazzano tutti. Maledetti!
Sì, papà. Disse piano Rosetta, mentre la famiglia si incamminava solitaria sul sentiero, verso la statale. Si stringeva forte al papà.
Guarda. Disse la donna. Laggiù. C’è il farmacista. Ehi, ci aspetti. Dove va ? Alla statale? Anche lei? Lo ha sentito per radio vero?
Sì, fece il farmacista. Li invitò a seguirlo con un gesto della mano. Oh, c’è anche la piccola Rosetta. Come sta? Come sta la ragazza?
Bene, bene disse la donna. Non è successo niente. Non è successo niente.
Mi avevano detto che da quando era tornata da giù non parlava. Da dove è tornata esattamente.
Da Frosinone. Stava a Frosinone da una zia. Disse la mamma.
Beh non proprio a Frosinone. Stava ad Esperia. Precisò l ’uomo che camminava sui piedi congelati.
Esperia. Già Esperia. Disse il farmacista.
Papà guarda. Disse un ragazzino. I carri, i carri. Andiamo. Dai papà. Corri.
Al bivio, al bivio, disse il farmacista. C’è tutto il paese! Ecco dove stavano! Al bivio papà, andiamo al bivio!, urlavano i ragazzini mentre si mischiavano agli altri.
Eccoli, eccoli! Disse la donna. I carri armati. Ecco i carri armati!, urlava la gente.
Eccoli, papà, sussurrò Rosetta stringendosi al braccio dell’uomo.
La cioccolata papà, tirano la cioccolata. Urlavano i due ragazzini.
Attenti, disse la mamma. Cos’è quella scatoletta?
E’ carne. E’ carne in scatola disse il farmacista. Prendete, è buona. Questi sono fagioli. In scatola li mettono i fagioli.
Siamo liberi! Siamo liberi! Grazie! Benvenuti! Tira a me! Grazie! Ciao! Gridava la gente del paese che era scesa al bivio.
Il mio tricolore, il mio tricolore! Urlava il sarto. Prendete il mio tricolore. E’ senza lo stemma! E’ solo il tricolore. Lo consegnò in mano ad un uomo grande, nero, che si era sporto dal camion in marcia. I soldati si passavano il tricolore. Lo sventolavano. Qualcuno lo salutava con il saluto militare. Se ne andarono. Un tricolore si allontanava sul camion degli americani. Scomparve dietro alla collinetta, dove gira la statale.
Sventolavano fazzoletti bianchi! Un uomo piangeva. Chi non piangeva urlava. Dal bosco, in aria, partirono dei colpi di fucile. Dalla macchia uscirono Filippo e Giacomo. Due ragazze, Beatrice e Assunta gli corsero incontro. Si abbracciarono, si baciarono.
Bentornati! Urlò il farmacista dall’altro lato della carreggiata.
Sfilavano i camion, rallentavano per non alzare troppa polvere. Sopra, seduti sulle panche, ragazzoni, stanchi. Composti, con il fucile piantato a terra. Facevano ciao con la mano. Gettavano quello che avevano. Tutti a raccogliere, a correre, a gridare. Le ragazze si davano di gomito. Ridevano e salutavano gli americani.
Un attimo! Fermi! Disse all’improvviso il farmacista. Poi si caracollò in mezzo alla strada. Proprio davanti ad un camion. Fece cenno all’autista di fermarsi. Quello frenò. I soldati dietro sbalzarono. Si alzarono in piedi. Puntarono i fucili.
Ohhhhhh fece la gente. Attento disse l’uomo che aveva al braccio Rosetta, che se ne stava stretta stretta.
Il farmacista alzò le mani. Si mise a camminare, piano. Si affacciò al cassone di un camion. Chiamò un uomo.
E’ un ufficiale medico! Disse qualcuno tra la gente. Lo si vede dalla fascia al braccio. I due parlarono. L’ufficiale medico e il farmacista in qualche modo se la intendevano. Poi l’americano si chinò, frugò nel borsone sul quale era seduto e consegnò due pacchetti al farmacista. Gli diede un colpo sulle spalle e lo salutò con il saluto militare. Un saluto informale, non di quelli impettiti. Un saluto militare tra civili. Liberi. Civili liberi.
Let’s go! O qualcosa del genere, disse l’ufficiale medico. E la carovana si rimise in moto. Passarono gli ultimi camion.
Andiamo, disse la donna. Sono finiti. Andiamo, dissero tutti mentre guardavano a terra se per caso fosse rimasto qualcosa. Andiamo, disse il farmacista all’uomo che teneva Rosetta, mentre si infilava nella tasca della giacca le due scatolette di cartone che gli aveva consegnato l’ufficiale medico.
Aspettate, disse un ragazzino. Lontano, sulla statale si avvicinava una nuvola di polvere.
Ce ne sono ancora, ce ne sono ancora. Diceva la gente. Un solo camion. Uomini neri, con stracci intrecciati intorno alla testa. Sporchi. Qualcuno urlava ordini in francese.
Rosetta si abbracciò forte al papà. Piangeva. Tremava. Filippo e Giacomo allontanarono le ragazze. Corsero via. Si appostarono sulla collinetta, dove più avanti gira la statale. Aspettavano quell’ultimo furgone.
Sono i goumier francesi, disse il farmacista. Venga, venga in Farmacia, disse all’uomo. L’ americano mi ha dato della penicillina. Esperia ha detto? Stava ad Esperia. Servirà la penicillina a Rosetta. Si sbrighi. Andiamo. Anche la libertà ha effetti collaterali. Come l’antibiotico. Mi dispiace che sia toccato a Rosetta. Disse il farmacista, mentre la ragazzina già spingeva l’uomo con i piedi congelati su per la salita.
La gente torna al paese. I bambini litigano. Una tavoletta di cioccolata per due scatolette di carne, dice quello più grande, biondo. Sì, ok. Una tavoletta per due scatolette di carne. Non è meglio il contrario dice una donna? Sta bene, disse il ragazzo biondo. Una tavoletta per una scatoletta. Alla pari.
In fondo, sulla statale, si sentono degli spari. Filippo, Giacomo stanno sulla collinetta. Sono sdraiati e sparano. Non sono soli. Il carro degli uomini neri con gli stracci intorno alla testa è accerchiato. L’ultimo carro della carovana americana è fermo. L’ufficiale ha ancora in mano il tricolore. Osserva da lontano. Non interviene. Poi il silenzio. Gli americani, laggiù ripartono. Il tricolore scompare nella polvere.
