LA VOGLIA, DOPO

Avevo sedici anni quando mi è stata affidata la prima squadra da allenare. Era un gruppo di ragazzini che ai margini della Garbatella, dentro l’oratorio di Santa Galla, erano stati convinti a giocare ad Hockey su prato. Le cose funzionavano in quel modo perché ero un giovane catechista d’oratorio e uno dei quattro pilastri educativi del Centro Oratori Romani era il gioco.


Sì, il gioco, non lo sport.

Questo ha la sua importanza per la nostra storia.

La storia è questa: stavamo preparando una finale, non ricordo se dei Giochi della gioventù o del Trofeo Topolino, manifestazioni oggi dimenticate, e giocammo ad hockey fino allo sfinimento, per tutte e due le ore di apertura dell’oratorio.

Alle 18, il prete, Don Franco, fischiò la chiusura e mi fermò mentre tutti correvano verso il cancello, si correva perché l’ultimo ad uscire pagava pegno, oggi qualche genitore ci avrebbe accusato di bullismo.

Brutta faccenda quando il prete ti fermava. Più o meno mi disse: “senti un po’, secondo te questi ragazzini in questo momento hanno ancora voglia di giocare ad hockey? “


Non c’era bisogno di attendere la risposta.

Perché il messaggio del pilastro educativo/gioco potesse arrivare a segno c’era una regola messa a fuoco da Don Franco:

devi smettere di giocare un attimo prima che ti stanchi, soprattutto devi fermarti quando ti resta ancora voglia di giocare.

Paradossalmente Don Franco ce lo aveva ripetuto fino a che non avessimo avuto più voglia di ascoltarlo. Era un periodo in cui cominciavo a non ascoltare volentieri Don Franco.

Fatto sta che, preso dalla voglia di vincere la finale, me ne ero dimenticato.

È evidente che la stessa cosa valga per la corsa, la pallavolo, il tennis di uno che lo fa per gioco.

Certo correre o giocare a pallavolo per me può essere uno sport e da allenatore faccio tesoro di quanto ho appreso quel giorno. Eppoi trovo stupido non giocare anche se fai sport per professione, che è sempre meglio di lavorare e tanto vale che ti diverti.

Torniamo al prete che mi ferma sulle scale dell’oratorio e che mi è venuto in mente mentre preparavo la mia ultima maratona seguendo un programma di allenamento insieme ai miei compagni di squadra. Ormai siamo anzianotti, però facciamo le cose per bene. Al termine degli allenamenti ci scambiamo le tracce Garmin, un po’ come prova che si è lavorato, un po’ per conforto reciproco, un po’ per fare gli sboroni. In questo programma di allenamento la cosa più temuta era il lungo in piena estate. Il menù prevedeva 36 km. Mi fermo a 35,6 e tutti a chiedermi conto di quei quattrocento metri mancanti. Sei stato male? Hai avuto i crampi? Ti sei disidratato?

Chi non conosce il mondo dei tapascioni non sa quanto possa essere maniacale un ragioniere con la pancetta.

Non saresti certo morto per cento o duecento metri e bisogna correre fino a non poterne più…

Penso semplicemente che non mi serva a nulla correre cento metri in più arrivando alla fine come Dorando Pietri, ma mi serve molto partire domani con la voglia di correre anche quel pezzetto che ho lasciato in sospeso.

Non è cosa da poco e questo elemento è parte integrante dei miei programmi.

Chiamo questa sensazione la voglia, dopo ed è uno dei parametri che utilizzo per valutare un allenamento.

Per ottenere questo risultato nella valutazione dell’allenamento ho inventato un parametro. Confronto il tempo che il mio Garmin registra sull’ultimo chilometro con la media tenuta nei chilometri precedenti. In genere riesco a correrlo con una velocità fino al 5% superiore a quella della media. Comunque anche un secondo in meno significa che quando ho concluso l’allenamento ne avevo ancora, sia di gambe che di testa. Negli allenamenti di pallavolo chiudo quasi sempre con un po’ di ritmo serrato che ottengo lanciando alternativamente palloni nei due campi e costringendo le squadre ad un gioco veloce e divertente, anche dopo sedute atletiche di un certo impatto.

Alla base c’è una convinzione: nello sport non c’è bisogno di essere eroi, anzi penso che fare l’eroe sia controproducente.

Credo proprio che su questo punto si sia sviluppata una retorica inopportuna da parte di mental coach e motivatori social: arrivare comunque fino alla fine, andare a raschiare sempre tutto, spremersi fino all’ultima goccia.

Tra l’altro ci si dimentica che con questa filosofia il primo che ha corso la maratona… non ha avuto modo di raccontarlo!


Ma chi lo ha detto che questo esaurire in un allenamento la voglia, dopo, questo raggiungere il fino a non poterne più sia quello che serve all’ allenamento da podisti professionisti o dilettanti ?

Certo, poi la gara è un’altra cosa, lì dobbiamo dare tutto quello che abbiamo dentro, ma sempre con giudizio, specie nel fondo.

Stai certo che la gara va bene se dopo ogni allenamento ti resta la voglia di sognarla e soprattutto di correrla!

Per farla breve, a quindici giorni dalla Maratona di Roma tutto quello che abbiamo fatto è sufficiente a correrla bene e non possiamo far nulla a livello di allenamento da qui al 19 settembre per cambiare le cose. Specie gli esordienti sulla distanza non devono preoccuparsi: non serve a nulla la studiata della notte prima degli esami, anzi è estremamente dannosa, proprio come era dannoso il ripassone estenuante prima della maturità o degli esami universitari. Personalmente ho sempre preferito un bel sonno per presentarmi fresco e riposato all’esame.


Quello che possiamo fare è recuperare, scaricare, far girare le gambe, gustare l’attesa della gara, sapendo che sarà un bellissimo gioco.


La voglia, dopo è la più grande nostra alleata… non sbattiamole la porta in faccia. Utilizziamo i giorni che mancano ad una gara per far compost di questa voglia, fino a sentirla matura quella domenica mattina, quando le nostre gambe ci chiederanno di correre e di correre ancora!

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