La speranza di diventare più forte ad ogni allenamento

Si è concluso un anno pallavolistico andato un po’ così, tanto che alla fine ho deciso di cambiare aria, per il sollievo di molte persone e mio… un brutto colpo, ma poi sono arrivati tanti messaggi a rendere la pillola meno amara e soprattutto una nuova sfida in una cittadina dove ho già allenato con grande soddisfazione.

Tutto questo trambusto mi obbliga a qualche considerazione.

Partiamo dai messaggi: sono venuti da poche ragazze della prima squadra (più una mamma) e tanti dalle ragazze (e dai genitori) della U14, categoria che non allenavo da sedici anni. Il titolo di questo articolo è il cuore di un messaggio che mi è arrivato ieri sera proprio da una ragazza della 14. La semplice contabilità dei feedback ricevuti dice che sono andate meglio le cose con la U14 che con gli altri gruppi.

Ovviamente in questo anno ho fatto tanti errori, il primo è stato quello di cercare di avere risultati con una serie D che nasceva per l’ennesima volta da zero, con moltissime under e tutte le altre, meno una, che non erano mai state titolari in serie D. Essere stati in corsa per i play off fino a poche giornate dalla fine ha influito molto. Lo stress (reciproco) è stato tanto.

Ma cosa è successo con la under 14? Perché ho imparato tanto da quella esperienza?

I presupposti non erano dei migliori. Ho preso l’incarico di seguire anche questo gruppo perché a settembre l’allenatrice assegnata alle 2011 (non mi abituerò mai a chiamare i gruppi con la data di nascita prevalente delle ragazze) fa altre rispettabili scelte. A ottobre arriva la prima tegola: il Dirigente scolastico della scuola nella quale ci allenavamo ci toglie la disponibilità del venerdì. Restano due allenamenti a settimana per 90 minuti ciascuno. L’iscrizione al campionato FIPAV a quel punto era stata fatta. Inoltre il gruppo è eterogeneo: fino a Pasqua sono arrivate ragazze che non avevano mai giocato a pallavolo.

Che fare?

Da tanti anni il mio sistema di allenamento è misto: una parte prescrittiva (che era la più marcata all’inizio della mia carriera) e una parte in cui lascio esplorare maggiormente le possibilità di adattamento delle atlete. Il mio riferimento è stato da sempre l’Inner game di Galloway, di cui parlo qui.

Con l’under 14 di quest’anno decido di virare decisamente su quella che si chiama pallavolo ecologica.

O meglio, non lo sapevo come si chiamasse, l’ho scoperto da due o tre anni che il mio percorso personale si sviluppava su una via parallela a quella che più valenti allenatori avevano esplorato a partire dalle considerazioni dello psicologo Gibson.

Il punto di distanza con l’allenamento tradizionale è sintetizzato da un concetto che mi ripeteva con forza una persona che avevo chiamato a collaborare con me. Non che fosse sbagliato quello che lui mi diceva, ma se adotti un metodo non puoi mischiarlo senza creare confusione.

Il mio amico mi ripeteva:

sbagli se dici ad una ragazza che quando attacca sta troppo sotto la palla, le devi dire perché e cosa fare per correggere.

Il mio concetto è opposto: l’ambiente e la situazione di gioco offrono un invito all’azione, affordance, che l’atleta deve essere libero di cogliere e trasformare.

Questo non significa che l’allenatore stia in silenzio e lasci fare, ma il suo eventuale feedback deve rafforzare lo stimolo ambientale. Alla domanda: cosa sbaglio? la risposta non è prescrittiva, ma si va dal secondo te? a stimoli di tipo: cosa devi fare per saltare in verticale invece che in avanti? Oppure si procede creando situazioni di gioco che favoriscano la soluzione.

Ecco, con la serie D tutto questo non ha funzionato, o meglio, l’attenzione al risultato e il mio errore di comunicazione con ragazze e collaboratori hanno reso tutto confuso. Comunque non ho avuto il coraggio di portare le mie convinzioni alle estreme conseguenze.

Anche in un contesto più contraddittorio alcune suggestioni hanno funzionato con le atlete più giovani e con le ragazze che non avevano una storia pallavolistica fondata su allenamenti prescrittivi e sul programma motorio (cosa abbiano procurato due anni di Covid è poi tutto un discorso aperto).

Con l’under 14 sono stato molto più fortunato. Non avevo il tempo per riempire le giovani atlete di tutte le informazioni canoniche e avrei tolto loro il piacere del gioco nel poco tempo che avevamo a disposizione. Ho virato verso la soluzione più semplice: favorire l’azione attraverso la percezione degli stimoli che l’ambiente dava loro. Cercando di farle divertire.

Ecco, il divertimento. Fuori dal canone massimo del divertimento nello sport giovanile spiegato da Velasco in un video di facile reperibilità in rete, credo che le ragazze under 14 si siano divertite (ovviamente non tutte e non sempre) attraverso i concetti guida della somministrazione degli esercizi:

non linearità e non prevedibilità.

Che significa? Anche il bagher a muro (necessario quando si ha a che fare con i principianti) può essere reso imprevedibile e non lineare introducendo degli elementi quali l’instabilità e la indeterminabilità immediata della traiettoria. L’esercizio si può fare in due, dopo una battuta a muro, su un piede, prima con una mano e poi a due, con bersaglio disegnato a muro, con tre bersagli asimmetrici, su parete irregolare (avevamo attrezzi ginnici, riseghe del muro, tabelloni pubblicitari…). L’importante è che la difficoltà sia parametrata al rischio di frustrazione che un esercizio troppo complicato porterebbe o, al contrario, che non sia troppo semplice.

Conservo con piacere un video di Giulia, una ragazzina che ha iniziato pallavolo quest’anno, che a fine anno palleggia con naturalezza ed esegue il bagher sulla pedana elastica utilizzata per il salto ginnico. Non sono stato a dirle come dovesse posizionare la falangetta del mignolo durante il gesto tecnico, lo ha scoperto lei ed ha scoperto la soluzione migliore, che, nel caso, corrispondeva discretamente ad una impostazione canonica.

Tuttavia, anche se il gesto fosse stato irrituale non ci sarebbe stato problema.

Spesso gli allenatori soddisfano il proprio ego quando le atlete gli fanno fare bella figura con una esecuzione tecnica riconosciuta perfetta. Non è il mio caso. Borg e Fosbury sono comunemente citati a supportare la tesi dell’adattamento di un gesto fuori dalla scuola dominante (il filosofo Deleuze li chiama intercessori qualitativi, dal momento che il loro adattamento si è fatto a sua volta scuola). Anche i genitori spesso si comportano con gli allenatori come con il medico: è considerato un buon medico quello che prescrive tanti esami e tante medicine. Infatti i genitori di una ragazza della U14 non sono stati contenti del mio metodo. E’ un’ottima media!

Con le ragazze il mio compito era scegliere l’esercitazione e somministrarla nel modo giusto, ma non credo che la pallavolo ecologica abbia bisogno di un eserciziario. Il punto è che ho allenato prevalentemente situazioni di gioco, anche quando il livello non lo permetteva. Davo dei vincoli molto semplici, in genere determinati dall’obiettivo: se sbagli attacco non sia perché tiri a rete ma fuori dalle linee, cerca di tirare lungolinea, utilizza il polso più che puoi per cambiare traiettoria della palla.

Oppure stressavo l’errore: attacca senza utilizzare il polso.

Ad ogni ragazza arrivavano due o tre feedback ad allenamento, non di più.

Come è andata a finire?

Le ragazze hanno vinto metà delle partite nel loro primo campionato FIPAV (cosa di nessuna importanza, ma dà il senso che qualcosa hanno imparato), con me hanno sempre giocato tutte, anche se per pochi punti, e credo che per molte di loro sia stata una bella esperienza, utile oltre la pallavolo.

Se si adotta un metodo non prescrittivo l’allenatore ha un compito molto nascosto, il pallino è in mano all atleta.

Un punto è fondamentale: imparano le ragazze che fanno silenzio dentro di loro e sanno cogliere gli stimoli dell’ambiente loro circostante, trasformandoli in capacità di gioco, non solo in buoni colpi. Per le altre, quelle alle quali piace sudare agli ordini di spietati sergenti marines, i mille bagher a muro funzionano meglio.

L’importante, per me, è che qualcuna abbia riacceso la speranza di migliorare ad ogni allenamento.

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