Il senso di Lorenzo per il ping pong

Ci sono degli intellettuali monumento per ogni occasione. Una di queste grandi occasioni è ogni questione che riguardi lo sport. Pasolini va alla grande ed è buono per tutti, in ambito cattolico Don Bosco può essere facilmente piegato a spiegare più di qualcosa e in fondo la tradizione oratoriana è l’archetipo del dilettantismo sportivo con il suo portato di valori e significati. Deleuze offre considerazioni super interessanti, ma persino San Paolo parla di atleti, tutti hanno qualcosa da dire sullo sport.

Don Milani no. Non sembra un buon compagno con il quale parlare di sport.

Don Lorenzo Milani, se solo lo si conoscesse, rimarrebbe scomodo, spigoloso, ostico.

Sì, è vero, tutti, anche quelli che non ne sanno nulla, lo considerano un intellettuale monumento, una Parigi Roubaix, tanto per rimanere in tema. Uno buono per tutto. Figurarsi se non possiamo trovare qualche sua bella citazione per parlare del Napoli che vince lo scudetto! Un educatore come lui avrà avuto certamente in grande considerazione l’attività sportiva.

Da una parte bisognerebbe leggerlo e studiarlo per capire che in fondo aveva in antipatia lo sport, almeno nella sua concezione moderna. Eppure, oggi proprio quella sua scomoda protervia di prete della borghesia fiorentina inviato tra i contadini e boscaioli di Barbiana può tornare utile a discutere di Sinner che non gioca la Coppa Davis, dell’assalto di presunti tifosi di basket ad un pullman di tifosi avversari, di Milan Como che si gioca in Australia perché San Siro non è disponibile o anche del boom di tesserate nella pallavolo…

Vediamo cosa può dirci. C’è un’avvertenza: quello che scopriremo non piacerà a molti ma farà riflettere chi vuole riflettere anche sullo sport.

La prima bestemmia del prete di Barbiana è nei confronti di San Giovanni Bosco.

La racconta un personaggio da film, Ezio Palombo, intervistato alla soglia dei novanta anni, sposato, diventato padre a settanta anni, ma che un tempo fu sacerdote, amico di Don Lorenzo. Lui, Ezio, figlio di contadini comunisti, ha conosciuto Don Milani in seminario, figlio di ricchi borghesi per giunta benpensanti. Poi la storia si è in qualche modo capovolta: Ezio resta parroco a Prato e Lorenzo viene spedito sui monti. Ezio però ammira Lorenzo e gli chiede consigli. Chiede un consiglio anche sulla pastorale rivolta ai giovani. Sarà utile installare un bel tavolo da ping pong? Saranno attratti da questo?

La lettera di risposta è del 1955:

“Non so cosa dirti del ping-pong. Io son sicuro che se lo spezzi nel mezzo e in conseguenza di ciò non avrai più nessun ragazzo intorno, non morirà nessuno. Avrai più tempo per pensare, più silenzio, e in più pian piano andrai costruendo quell’immagine di prete più vera e degna di te che coll’andare del tempo attirerà col suo valore intrinseco molto più i ragazzi che il ping-pong”.

Lo sport come strumento educativo o semplicemente per attirare ragazzi in parrocchia è fatto a pezzi insieme al tavolo da ping pong con buona pace della tradizione oratoriana. Siamo sicuri?

Certo che siamo certi! Del resto le testimonianze dei suoi ragazzi, in qualche modo trascritte nel celebre “Lettera ad una professoressa” parlano chiaro.

Da privatisti i ragazzi di Barbiana dovevano sostenere ogni anno l’esame di stato. Tra le prove c’era quella di Educazione Fisica.

“Agli esami di ginnastica il professore ci buttò un pallone e ci disse: <<Giocate a pallacanestro>>. Noi non si sapeva. Il professore ci guardò con disprezzo: <<Ragazzi infelici>>. Anche lui come voi, l’abilità in un rito convenzionale gli pareva importante. … Ognuno di noi era capace di arrampicarsi su una quercia. Lassù lasciare andare le mani e a colpi d’accetta buttar giù un ramo d’un quintale. Poi trascinarlo sulla neve fino sulla soglia di casa ai piedi della mamma.” (Lettera ad una professoressa).

E ancora più avanti la frase più attuale e forse più interessante:

“Mi hanno raccontato d’un signore a Firenze che sale in casa sua con l’ascensore. Poi s’è comprato un altro aggeggio costoso e fa finta di remare. Voi in educazione fisica gli dareste dieci.”

In questa storia c’è però un particolare che non convince. Una piscina. Sì, perché a Barbiana, nel 1962, Don Lorenzo fece costruire una piscina. La realizzarono gli stessi ragazzi con l’aiuto di qualche genitore.

Perché?

“La volle don Lorenzo per insegnare a nuotare ai ragazzi, ma soprattutto per rompere la paura antica che i montanari hanno della forza dell’acqua.”

Questa la lapidaria informazione che troviamo sul sito della Fondazione Don Lorenzo Milani.

Ecco, ora abbiamo tutti gli elementi per discutere con Milani di Sinner che non va a giocare la Coppa Davis, di chi uccide un povero autista, colpevole di trasportare tifosi avversari, del Milan che va a giocare in Australia perché lo stadio sotto casa non è agibile.

Come l’avrebbe vista Don Lorenzo?

Onestamente credo che nessuno possa dirlo. Certo avrebbe dedicato un momento a tutto questo ambaradam nella quotidiana lettura dei giornali nella sua classe nei boschi. Avrebbe stimolato la discussione dei suoi ragazzi che magari oggi avrebbero indossato la maglia contraffatta di qualche calciatore famoso. Lui, credo, avrebbe considerato che tutti questi fatti non solo non rientrino in cose che possano riguardare la vita di figli di boscaioli e contadini, ma non riguardino neanche lo sport.

Tutta questa costruzione che passa erroneamente come sport è un immenso tavolo da ping pong, svuotato di contenuti, a rappresentare un inganno perpetrato ai danni dell’utenza (giovane o vecchia): attira l’attenzione, senza toccare quella che possiamo chiamare anima, mente, consapevolezza…

Non ci sarebbe nessun danno a spaccarlo nel mezzo!

Don Lorenzo ripeterebbe, su questo ne sono certo, quello che scrisse al suo amico prete nel 1955: se vuoi, esaltati pure per Sinner in tv , ma senza “avrai più tempo per pensare, più silenzio, e in più pian piano andrai costruendo quell’immagine di essere umano più vera e degna di te ….”

C’è poi l’aspetto di sport come surrogato di attività fisica utile e necessaria al benessere.

La lotta per la sopravvivenza ci avrebbe dato questa attività gratis, in natura, nella forma concretizzata dalla raccolta della legna dei ragazzi di Barbiana che si arrampicavano sugli alberi e trascinavano i tronchi fino alla soglia di casa.

L’immagine del tipo che sale in ascensore per vogare nel chiuso della sua camera è efficace: oggi può essere sostituita dai Suv che accompagnano i ragazzi a scuola, da chi prende l’autobus per cinque minuti invece di servirsi di una bella bicicletta, di chi è costretto a misurare con un orologio intelligente i diecimila passi quotidiani raccomandati dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità e che poi assolda un personal trainer.

E’ il mondo che ci costringe a correre nella ruota come criceti, ma solo metaforicamente. In realtà siamo obesi, nel corpo e nella mente. Svuotati dentro di ogni forza, ci concediamo dei surrogati, per i quali, per giunta, ci vuole una capacità convenzionale, misurata dal voto del professore di educazione fisica.

C’è infine la questione dei ragazzi che praticano attività sportiva. Ovviamente è giusto e auspicabile che lo facciano. Su questo aveva tanta ragione Don Bosco, in parte per il suo metodo preventivo (meglio in palestra che in strada), in parte per i valori che sono intrinseci allo sport, utili proprio in una società che non può vivere come un ragazzo di Barbiana.

Perchè il punto della attualità/non attualità di Milani è proprio nella inesistenza attuale della condizione di Barbiana.

Barbiana era già diversa dalla Torino industriale di San Giovanni Bosco. In vita Milani scoraggiava i visitatori che lo andavano a studiare come si studiano gli oranghi nella giungla: non potete replicare questa storia nei quartieri bene delle città dalle quali venite. Ora è vero che i quartieri bene delle città quasi non esistono più ed è tutto una immensa periferia anche in occidente. Costruire una piscina pubblica in una Banlieue ha la stessa forza rivoluzionaria che aveva costruirla sui monti nel 1962.

Il tema è però un altro: il denominatore comune che ci lasciano questi intellettuali monumento è che lo sport va visto come strumento e non come fine.

Per Milani, nella sua realtà, lo sport non serviva a molto, ma l’episodio della piscina ci dimostra che quando lo riteneva necessario lo utilizzava. In primis aveva un valore sociale: un figlio di contadini di montagna ha il diritto di imparare a nuotare. Il secondo è esplicitato bene dal sito della Fondazione Milani: la piscina come strumento per superare la paura atavica che i montanari hanno per l’acqua.

Lo sport in fondo è uno dei tanti modi per misurarci, per metterci di fronte ai nostri limiti, per accettarli e/o superarli. Su questo, senza l’esasperazione del se lo vuoi lo puoi, credo che Don Lorenzo sarebbe d’accordo.

Milani, certo, non vedeva il demone: non vedeva l’agonismo che ciascuno di noi ha dentro. Se lo vedeva lo esorcizzava. Questo demone è parte di noi ed è giusto lasciarlo uscire quando facciamo sport. Forse è anche terapeutico, certamente un buon palliativo.

Milani forse non vedeva neanche la necessità ludica e ricreativa dello sport, ma su questo resta il beneficio del dubbio, dato proprio dalla piscina del 1962 e dalle tante risate, dagli schiamazzi, che vengono raccontati dai suoi ragazzi di allora e che si respirano nella bella foto di copertina. Un momento felice.

Certo a Barbiana non serviva fitness, non c’era bisogno di movimento articificiale. Forse, a dirla tutta sul tema e con un pò di cinismo, Milani avrebbe dovuto riflettere sul fatto che i contadini a quaranta anni camminassero curvi e fossero pieni di acciacchi, ma onestamente è piuttosto ridicolo pensare che avrebbe potuto chiamare un posturologo tra gli esperti che ogni tanto invitava sui monti.

Milani, a ragione, voleva emanciparli socialmente da quello stato di cose, perché stare a scuola è meglio che passare dieci ore al giorno a spalare la merda delle bestie…e poi si recupera tornando a casa, con passo svelto, per un sentiero di montagna.

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