Dall’ostracismo greco ai social: la cancel culture trasforma la giustizia in oblio. Esercitazione di pratica filosofica per le scuole superiori.
Cancel culture è una espressione sulla quale ci si divide, spesso accostata ad una pratica della sinistra occidentale per chiudere con un passato colonialista e fascista è migrata a destra, contaminandola con forme meno sofisticate ma egualmente efficaci. E’ possibile sviluppare un laboratorio filosofico senza entrare nel dibattito politico, anzi attualizzando e sviscerando gli aspetti più alla moda di una cancellazione social.
La storia ANTICA
Nella Atene del V secolo AC bastava un coccio di terracotta. Scrivevi un nome e lo consegnavi. Se quel nome compariva troppe volte, seimila, l’uomo veniva bandito per dieci anni. Ne subì le conseguenze quello che un tempo era un rampollo in grande ascesa, Temisocle.
Lo chiamavano ostracismo.
A Roma si affidava tutto ad uno scalpello. Si raschiava via il volto dagli archi, si cancellavano le iscrizioni. Era la damnatio memoriae: punire qualcuno togliendogli la memoria, come se non fosse mai esistito. Nerone, Commodo tra le vittime. La cattiva stampa di Nerone è giunta fino ad oggi, oscurandone il grande carattere riformatore.
La cosa ad un certo punto è riemersa e ce la siamo presa con i simboli di una storia troppo diversa dal nostro sentire. Quando si rovescia un regime se ne distruggono i simboli: giù le statue di Mussolini in Italia, via i busti di Stalin dalle repubbliche un tempo furono sovietiche, via il ricordo di Cristoforo Colombo, demolite dagli eredi dei nativi sterminati dai conquistadores.
Eppure in principio era cosa buona: nata per dare voce a chi non l’aveva. Denunciare abusi, scoperchiare ingiustizie.
Poi si è passati alle persone in carne ed ossa: uno dei più grandi attori di Hollywood, Kevin Spacey, è accusato di violenza sessuale. Strappati i contratti, addio alla fortunata serie House of cards, carriera distrutta. Poi l’assoluzione processuale, ma l’oblio e la cancellazione restano.
DAMNATIO A PORTATA DI (NON) CLICK
Basta molto meno. Oggi basta un click, o, meglio, basta non essere cliccati, non ricevere like, essere ostracizzati dai social.
Un tweet, una frase fuori posto, un vecchio video riscoperto — e scatta la condanna. Nessun processo, nessun appello. Ti svegli e non ci sei più.
È la nuova morale del web: visibile, rapida, spietata.
Una dopo l’altra, le teste cadono come nomi scritti sui cocci.
La rete applaude, si indigna, si sfoga. “Giustizia”, dice qualcuno. Ma non è giustizia: è potere. Potere del branco. Damnatio memoriae 2.0, senza appello.
Morale o paura?
Paura di pensare diversamente.
Paura di dire qualcosa che non suona giusto.
Paura di essere il prossimo nome sul coccio.
Così impariamo a parlare con cautela, a scrivere frasi neutre, a pensare in modo compatibile. Il conflitto delle idee si spegne, e con lui il dialogo. In cambio otteniamo approvazione, cuori, consenso. Ma a che prezzo?
Platone, Socrate, Nietzsche — li avremmo cancellati anche loro, oggi. A dire il vero furono cancellati anche al loro tempo: Platone scappa da Siracusa, Socrate riceve la cicuta, Nietzsche prima escluso dal giro delle grandi università, poi riabilitato dalla sorella che lo vende al nazismo.
Troppo provocatori, troppo scomodi. Qui non c’entra un processo storico, che comunque diventa discutibile nei suoi esiti culturali, quando invece di sovvertire si spinge a cancellare.
Eppure è dal confronto con un diverso, anche scomodo e discutibile che nasce il progresso.
La cancel culture 2.0 non è un semplice fenomeno dei social. È il termometro di una società che ha smesso di discutere e ha cominciato a giudicare.
Il problema non è chiedere responsabilità — è dimenticare la pietà.
Non la pietà come perdono, ma come ascolto. Come spazio per capire, per cambiare, per tornare a parlare.
Un giorno forse ci guarderemo indietro e rideremo di questa ossessione per la purezza morale.
Ma fino ad allora, continueremo a scrivere nomi sui cocci digitali, a cancellare volti, a far finta che scompaiano davvero.
LABORATORIO DI PRATICA FILOSOFICA
- PROCESSO A SOCRATE
Socrate è un insegnante atipico. Viene accusato di empietà e di corrompere i giovani.
Organizziamo una pagina fb, invitiamo persone ad iscriversi e organizziamo il processo. Testi: Apologia di Socrate come documento storico e Simposio, come prova dell’empietà e della corruzione dei giovani. Teste: Alcibiade, amante di Socrate e traditore di Atene.
Il processo si svolge a colpi di like, insinuazioni, frasi lapidarie e sintetiche.
2. PUBBLICARE NIETZSCHE NEL 1948
L’opera di nazificazione del grande filosofo è recente. Un editore riceve un manoscritto: Le lacrime di Nietzsche di Yalom, un autore di origine ebraiche. Solo che non siamo ai nostri giorni, ma nel 1948 e l’editore è tedesco. L’opera va censurata? Pubblicata? Ne discutiamo nel comitato di redazione dopo aver letto il testo. Se decidessimo di pubblicarlo come andrebbe lanciato il libro? Cosa possiamo dire? Cosa non possiamo dire? Scriviamo la quarta di copertina descrivendo in breve la teoria dell’ oltreuomo.
3. CHE FINE HA FATTO KEVIN SPACEY?
Ufficio stampa e agenti dell’attore di riuniscono all’indomani del processo che ha portato all’assoluzione dell’attore e di nuove accuse. Kevin ha soldi a palate e non vuole lavorare ulteriormente. Un mental coach lavora su mandato del produttore di House of Cards per riportarlo sulla scena. Un team di legali ed investigatori indipendenti, incaricato dagli agenti vogliono far luce sui fatti oltre ogni ragionevole dubbio lasciato da una sentenza di assoluzione. Emerge la figura di un consulente filosofico che districa la matassa o la complica con domande sulla morale comune, su chi decide cosa sia buono o sbagliato, sulla verità.
