
Nell’antica Grecia, quando si stabiliva un patto, lo si scriveva su una tavoletta di terracotta, che poi si spezzava in due parti. Stessa cosa succedeva quando due famiglie stringevano amicizia.
Questa tavoletta era chiamata σύμβολον [symbolon], sum = insieme e ballo = gettare.
I simboli sono straordinariamente efficaci, anche nella comunicazione sportiva.
Quando si utilizza un simbolo non stiamo soltando comunicando, ma chiediamo all’altro di esercitare il proprio diritto sulla metà del discorso.
Un simbolo ci riguarda.
La parola torre è un segno linguistico, tutto qui. La parola non ha nulla a che vedere con la torre vera e propria. Torre è una convenzione che abbiamo stabilito per significare quel tipo di manufatto, avremmo potuto chiamarlo pesca, bastava mettersi d’accordo.
Però se usassimo la torre, quella vera, fatta di pietre, come simbolo del coraggio converremo che l’immagine di una bella torre, una costruzione esposta alle intemperie e agli attacchi degli eserciti, rimandi naturalmente all’idea del coraggio.
Bene, il secondo concetto interessante è questo: perché il simbolo sia tale è necessario che chi è chiamato ad interpretare si interroghi sul senso dello stesso simbolo.
Nella comunocazione simbolica conta solo una cosa: la relazione che il simbolo assume con l’altro, colui che possiede l’altro pezzo della tavoletta.
Per questo Jung, che di simboli se ne intendeva, sosteneva che non esistono contenuti simbolici se non in riferimento ad un soggetto che attribuisce un senso al simbolo stesso.
Nel caso della nostra torre: la costruzione potrebbe rimanere per millenni a svolgere il suo ruolo di presidio inattaccabile senza che nessuno senta di associarla all’idea del coraggio.
D’altra parte a nessuno verrebbe in mente di assumere un fosso quale simbolo del coraggio. Nella torre c’è qualcosa che naturalmente la lega al coraggio di chi resiste in battaglia agli attacchi del nemico.
Come utilizziamo il simbolo nella comunicazione sportiva?
Dopo una brutta partita potrei parlare alla mia squadra di una generica mancanza di idee, di un atteggiamento sbagliato, potrei al contrario contestare punto su punto, spiegare dove abbiamo rinunciato a giocare.
Per esempio potrei dire: non ho visto giocare primi tempi, oppure non abbiamo coperto i nostri attaccanti…
Sicuramente sarei efficace e didascalico, perché sono preparato e userei segni chiari e univoci, questo normalmente si insegna in un corso di comunicazione sportiva. Utilizzare frasi asciutte e precise è un’arte di ogni buon allenatore. Niente equivoci. Ciascuno deve sapere quello che in campo ci si aspetta da lui. Segni e segnali.
Ma sappiamo tutti che i segnali di senso unico, di entrata o di uscita, di divieto di svolta non coinvolgono.
Se invece dicessi: ieri in campo eravamo al buio! Userei una immagine forte, sostituendo tanti concetti tecnici e comportamentali con un simbolo: il buio.
Può darsi che anche questo canale sia poco efficace, ma lascerei ai miei ragazzi lo spazio per coinvolgere le loro coscienze nella lettura del simbolo rappresentato dal buio. Naturalmente sarei meno chiaro e il rischio di fraintendimenti sarebbe più alto, ma se faccio centro… si accende la luce.
La fantastica espressione simbolica di Velasco (e del coach di Rocky) che cercava nei suoi atleti gli occhi della tigre, vale molto più di tanti segni, ma la sua efficacia dipende tutta da cosa ne farà chi ascolta, che poi è quello che ha in mano l’altra metà della tavoletta.
