Segno, segnale, simbolo e benevolenza nella comunicazione sportiva.
In qualsiasi attività umana si comunica. Anzi, la comunicazione è forse il principale fattore di qualità nelle attività umane. Lo sport non fa eccezione.
Si comunica per uno scopo o anche per piacere. In questa fase della mia vita faccio anche nuoto libero. Uno sport che, per come lo pratico io, sarebbe altamente asociale. Nessuna comunicazione è possibile in acqua. Due chiacchiere nello spogliatoio con chi nuota nella corsia a fianco sono soltanto un piacere, non c’è nessuna necessità apparente di parlare. La mia è una necessità di relazione, non pratica.
Al di là della distinzione del tipo di comunicazione in funzione del fine (relazionale o pratico) distinguiamo diverse modalità di rapportarci agli altri: parole, gesti, comunicazione para verbale, quella che impegna la postura del corpo, le espressioni impercettibili, gli atteggiamenti.
Possiamo immaginare i diversi approcci comunicativi come se fossero delle frequenze di una stazione radiofonica vecchia maniera, onde medie, onde corte ….
Ma una radio oggi può trasmettere anche sul web, in TV e la stessa TV può essere satellitare o digitale e soprattutto può trasmettere notiziari, varietà, pubblicità e solo musica.
Non tutte le comunicazioni di questa radio saranno dello stesso livello e sulla stessa frequenza. C’è però un fatto: la linea editoriale, che è il messaggio che la radio vuole trasmettere, passa attraverso la composizione di tutte queste scelte comunicative.
Nel corso della giornata la nostra comunicazione si comporta come quella di una emittente radiofonica, diversificando la nostra scelta comunicativa.
Oggi è di moda distinguere tra comunicazione verbale, para verbale, cinesica, prossemica… Abbiamo scoperto che si può comunicare digitando su una tastiera, parlando, sorridendo, assumendo posizioni del corpo accoglienti, intimidatorie, concilianti. Si può parlare troppo vicino all’interlocutore al fine di comunicare una minaccia, o da una zona di rispetto, per mettere a suo agio chi ci sta di fronte.
Nella comunicazione più esplicita la qualità del messaggio è diversificata, guardiano queste espressioni:
- passami un bicchiere d’acqua,
- ti amo,
- oggi ho la febbre
- un sorriso
- 🙂
ci rendiamo subito conto che sono forme di comunicazione molto diverse tra loro e che mettiamo in campo con disinvoltura. Sussurrare ti amo, disegnare un cuoricino o inviare un messaggio whatsapp con la faccina che lancia un bacetto non sono la stessa cosa.
Ora noi possiamo guardare i messaggi sotto diverse lenti d’ingrandimento. Per la comunicazione sportiva e per calibrare la sua efficacia credo che sia utile utilizzare gli strumenti che ci mette a disposizione la semiotica. Questo apparecchio radiofonico, chiamato semiotica, si sintonizza su tre canali di comunicazione : segnale, segno e simbolo. Ne aggiungeremo un quarto: la benevolenza.
Per approfondire e per non lasciar dubbi sul fatto che siano solo chiacchiere li andiamo a vedere nel contesto di uno sport di squadra come la pallavolo.
Segnale: il segnale è una forma prescrittiva. I segnali più noti nella nostra attività quotidiana sono quelli stradali: non superare il limite di velocità, divieto di svolta a destra, senso unico.
L’alzatrice indica con le dita lo schema al quale dovranno attenersi le attaccanti, la centrale comunica la zona di campo che proteggerà con il muro e il coach prescrive la zona di campo nella quale battere.
Il segnale non implica nessun coinvolgimento: va eseguito.
Questo perché il semplice appartenere ad una comunità significa accettare l’insieme delle regole che determinano la rete di relazioni. Se c’è un’autorità che decide quali strade sono percorribili a senso unico e ci deve essere qualcuno che lo indichi. Tutti sono tenuti a rispettare il segnale, altrimenti sarà il caos.
L’effetto motivante del segnale è generalmente considerato irrilevante.
Tuttavia le cose non sono sempre così scontate. L’effetto può essere diverso se il segnale è riconosciuto come un mezzo funzionale a garantire una serie di principi condivisi. Se ad esempio il mio allenatore mi dice di raddoppiare il muro sul centrale e questa cosa è stata dibattuta e analizzata in squadra e sono convinto che quella sia la soluzione migliore, il segnale è un buon rinforzo della mia motivazione. In questo caso, pur assolvendo alla funzione di segnale, almeno in parte, il gesto diventa simbolo della vision di una squadra.
Al contrario, se non vi è una relazione inclusiva e/o condivisa, il segno del coach potrà essere demotivante e deviante.
Un giocatore è seduto in panchina quando un componente dello staff lo invita ad andare a scaldarsi. La comunicazione verbale e paraverbale dello staff è chiaramente un segnale. Il giocatore, però, non condivide la scelta, non si sente di entrare per pochi punti, è in polemica. Con il dito e una smorfia fa segno che no, lui non entrerà. Quel momento, nato da un segnale al quale si è risposto con un segno è il simbolo del suo stato d’animo.
Segno: Il segno è qualcosa che convenzionalmente sta per qualcos’altro.
Dobbiamo questa definizione alla filosofia medievale (scolastica). Prima ancora Agostino distinse i segni in naturali (le nuvole sono segno della pioggia) e artificiali o intenzionali (escogitati con l’intenzione di comunicare qualcosa).
Mentre il segnale è prescrittivo, il segno è comunicativo.
La gran parte delle comunicazioni in una squadra di pallavolo è fatta di segni. Il problema del segno è che da una parte c’è il comunicante, dall’altra l’oggetto della comunicazione e in mezzo il segno che deve essere letto dal destinatario della comunicazione e che fa riferimento al significato. La comunicazione avviene in base ad una convenzione esplicita o implicita.
Non sempre quello che io voglio dire corrisponde a quello che viene letto dal mio interlocutore.
Se parliamo di posto 4, fast, veloce, sette e nove dobbiamo essere d’accordo sul significato di questi segni. Il riferimento a quello che è significato deve essere ben esplicitato da chi parla e colto da chi ascolta. Questo è un problema non da poco. Per risolverlo De Saussure introdusse il concetto di gioco linguistico: una parola (ma il discorso vale per qualsiasi segno) non ha un senso proprio, ma solo all’interno di un gioco, come un pezzo all’interno di una scacchiera nel gioco degli scacchi. Il pezzo del cavallo al di fuori di una partita non ci dice molto, sappiamo quali mosse gli sono consentite e la posizione iniziale che deve assumere sulla scacchiera. Ma se un cavallo tiene sotto scacco il re, assume un valore e un ruolo ben diverso da quello di un ipotetico cavallo in un’altra scacchiera.
Perché i segni siano efficaci è necessario mettere in chiaro i termini della comunicazione in una squadra, come in qualsiasi altro team. Perché la comunicazione di segni sia efficace è necessario che in una squadra ci sia un quadro di riferimento condiviso. A volte questo quadro esprime valori astratti con segni concreti. Mi spiego. Nelle mie squadre spesso invito le atlete ad essere più ignoranti o più cattive. A volte dico loro che in campo debbono essere belve, ma qui rientriamo nel capitolo dei simboli. Se una persona che non condividesse la scacchiera di riferimento mi ascoltasse sarebbe giustamente indignato, così come sarebbe perplesso un tale, che non avendo mai sentito parlare di scacchi, sentisse dire che la regina ha mangiato il pedone.
In realtà queste espressioni, ignoranza , cattiveria, fanno parte di un quadro che richiama un atteggiamento mentale coraggioso, aggressivo, tenace… : questi segni possono essere letti in maniera corretta soltanto da chi condivide il quadro di riferimento ed è in possesso del giusto codice di interpretazione.
Qualcuno potrebbe osservare: ma se il segno della parola cattiveria significa aggressività e coraggio, perché non utilizzare sinonimi più chiari?
La risposta è nel fatto che il segno è una convenzione che nel campo sportivo può essere utilizzata per evocare una vision condivisa e più efficace nell’ambito motivazionale. Tutte le squadre ambiscono ad essere aggressive e coraggiose, ma se ci richiamiamo all’ignoranza facciamo riferimento ad un vissuto comune che ci coinvolge in maniera diretta, identitaria.
Naturalmente è più che corretto (e comune) rivolgersi alla propria squadra utilizzando segni chiari, univoci e sintetici: come quelli di un matematico che scrivesse un’equazione alla lavagna. In genere le squadre apprezzano questo tipo di comunicazione, la quale ha l’indubbio vantaggio di non richiedere sforzi ermeneutici.
Il segno non solo deve essere letto come un pezzo su una scacchiera, ma richiede la giusta predisposizione di chi parla e di chi ascolta. Pure avendo una natura prevalentemente razionale, il segno implica, se lo si vuole utilizzare correttamente, una relazione valoriale tra i due interlocutori, i quali al loro volta sanno bene quale sia il significato dal segno.
Simbolo
Il simbolo è qualcosa che per sua natura riporta qualcosa del significato.
Nell’antica Grecia, quando si stabiliva un patto, lo si scriveva su una tavoletta di terracotta, che poi si spezzava in due parti. Ognuno dei due contraenti ne conservava la metà. Stessa cosa quando due famiglie stringevano amicizia. Questa tavoletta era chiamata σύμβολον [symbolon], sum = insieme e ballo = gettare. I due pezzi sono legati dalla loro natura originaria.
I più grandi interpreti del simbolo sono stati Agostino e Jung. Ma, senza entrare nel merito delle loro filosofie, possiamo dire che il simbolo è un segno, il quale, ha differenza di quest’ultimo, assume un suo significato proprio.
La parola torre non ha nulla a che vedere con la costruzione con una forma caratteristica posta a presidio di un castello, di un promontorio, di un varco.
Torre è una convenzione linguistica che abbiamo stabilito per significare quel tipo di manufatto.
Però se usassimo la torre come simbolo del coraggio della forza converremo che l’immagine di una bella torre rimanda di per sé all’idea del coraggio. Abbiamo appena visto che chiedere ad una squadra di comportarsi come belve ha un registro diverso che chiedere cattiveria e aggressività.
Perché il simbolo sia tale è necessario un coinvolgimento intimo di chi è chiamato ad interpretare il simbolo. Se immagino una belva la carico di un significato intimo e particolare, diverso da quello descritto dai segni cattiveria e aggressività.
Quello che segno e segnale possono assumere solo per riferimento ad un vissuto comune o per convenzione, il simbolo lo possiede per sua natura e per la relazione che il simbolo assume con l’interlocutore.
Per questo Jung sosteneva che non esistono contenuti simbolici se non in riferimento ad un soggetto che attribuisce un senso al simbolo stesso.
Nel caso della nostra torre: la costruzione porrebbe rimanere per millenni a svolgere il suo ruolo di presidio inattaccabile senza che nessuno senta di associarla all’idea del coraggio. Solo quando un soggetto le attribuirà questo richiamo si crea una relazione tra il simbolo e il concetto di coraggio. Tuttavia la torre non è un segno arbitrario e convenzionale: nelle sue stesse caratteristiche ha un riferimento al coraggio. Una piuma non potrà mai essere simbolo di coraggio.
I simboli sono straordinariamente efficaci perché hanno una funzione pre-concettuale: possono essere utilizzati in luogo del concetto, incidendo maggiormente sull’intimo dell’interlocutore. Utilizzare un simbolo è molto utile con squadre giovanili ed anche per lasciare un margine di riflessione e convinzione al singolo atleta su situazioni complicate.
Dopo una brutta partita potrei parlare alla mia squadra di una generica mancanza di idee, di un atteggiamento sbagliato, potrei contestare punto su punto, spiegare dove abbiamo rinunciato a giocare. Per esempio potrei dire: non ho visto giocare primi tempi, oppure non abbiamo coperto i nostri attaccanti…sicuramente sarei efficace e didascalico perché utilizzereidei segni chiari e univoci, ma il coinvolgimento dei giocatori potrebbe essere pari a quello che hanno davanti alle previsioni del tempo.
Possiamo trasmettere segnali (devi coprire chi attacca) ed esprimerci con segni (la descrizione di quello che è successo).
In questi casi la nostra comunicazione sarebbe neutra, asciutta, analitica.
Se invece dicessimo: ieri ho visto il buio in campo!
Useremo una immagine forte, affidando al buio il concetto delle situazioni negative, e lasceremo ai nostri ragazzi lo spazio di coinvolgere le loro coscienze nella lettura del simbolo utilizzato. Naturalmente saremmo meno chiari e il rischio di fraintendimenti sarebbe più alto. Utilizzare i simboli nella comunicazione sportiva è un rischio: si può ottenere tanto, ma anche perdere tutto.
Sentimenti, la benevolenza : I sentimenti non sono sul piano di simbolo, segni e segnali. I sentimenti non comunicano, ma si comunicano. Un sentimento quindi potrebbe essere significato da un simbolo (un cuore a simboleggiare l’amore) o da un segno (le parole ti amo). Insomma: i sentimenti non c’entrano molto se parliamo di comunicazione.
Perchè allora voglio parlare di sentimenti e comunicazione sportiva?
Perchè senza un sentimento di benevolenza non si può comunicare nulla di positivo!
Più si sale nella gerarchia della comunicazione (segnale – segno – simbolo) più c’è bisogno dei sentimenti di empatia, solidarietà, simpatia, affetto, condivisione… Una gamma di sentimenti positivi che possiamo anche raggruppare sotto il significato di un generico volersi bene.
In termini filosofici, ricordando il concetto del bene in Platone, possiamo dire che la benevolenza è la luce che illumina il significato. Un atteggiamento negativo nei confronti della persona che ci comunica qualcosa, anche che ci sta fornendo solo un segnale tecnico, ci porterà a deformare la nostra lettura dei simboli e dei segni utilizzati. A dire il vero vale anche il contrario: un atteggiamento positivo ci porterà ad ignorare tutte le comunicazioni negative che ci sono affidate e questo, a volte, è il problema delle persone che definiamo ingenue.
Tutte le volte che ho fallito la comunicazione è perché non sono riuscito a stabilire questo sentimento di benevolenza tra me e l’atleta o la squadra che allenavo.
Tuttavia non dobbiamo confondere questo volersi bene con il ricalco della PNL: anche se tutti e due in fin dei conti svolgono la stessa funzione non sono della stessa natura e non hanno la stessa finalità.
Il canale di comunicazione che apre il volersi bene non è quello falso che ci propone la PNL con rapport e ricalco e che il più delle volte infatti è utilizzato per ingannare la gente, vendendo loro il Folletto di cui non hanno bisogno. Non c’è bisogno di distinguere mappe e territorio: la nostra comunicazione funziona ed è autentica se ci prendiamo cura con positività della persona a cui è destinata.
I care!… a prescindere dal fatto che abbia da venderti qualcosa.
La buona disposizione d’animo verso l’altro è come la luce per la vista: illumina gli oggetti in modo che possano essere osservati in tutta la loro completezza. Senza luce tecnicamente vediamo bene, ma continuiamo a brancolare nel buio.
