Il triangolo sì

Sintesi del manuale di coaching filosofico, post numero 1

Il mito dell’Auriga di Platone è un chiaro archetipo. C’è un carro alato, c’è un nocchiero e ci sono due coppie di cavalli: una tira in basso, l’altra verso l’alto. L’auriga, come afferma il filosofo nel Fedro, si trova a governare un bel problema:  

“delle due coppie di cavalli una è nobile e buona, e di buona razza, mentre l’altra è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso.”

Un triangolo: al vertice alto l’auriga e agli angoli bassi le coppie di cavalli, ognuna tira verso qualcosa di conforme al proprio carattere. Qualcuno afferma una certa corrispondenza tra questa immagine e quella di Freud che descrive la nostra psiche divisa in tre istanze: Es, Io e Super Io. Onestamente non credo.

Se parlo di archetipo è perché questo schema ricorre nei miti, così come nelle nostre riflessioni e nei nostri giochi. Anche gatto Silvestro si trova a combattere con i suggerimenti dell’angioletto buono sulla spalla destra e di quello cattivo sulla sinistra.

La Trinità cristiana è un modello altissimo dello stesso archetipo, comune a molte mitologie. Qui, però, rischiamo di addentrarci su un terreno scivoloso, quello della religione.

Tornando a volare più in basso, Galloway, il famoso coach, inventore dell’inner game, produce lo stesso schema, ma a due, il Sé1 e il Sé2 se la giocano direttamente tra loro. Galloway non lo dice o non lo sa, ma nella lite tra Sé1 e Sé2 c’è per forza uno spettatore, se non un arbitro vero e proprio, che è chiamato dallo stesso coach a far prevalere il Sé buono. Quindi anche qui si gioca a triangolo.

Sta di fatto che lo schema funziona. Spesso ci troviamo a fronteggiare due voci contrapposte che chiedono spazio dentro noi stessi. In genere reclamano di far prevalere un atteggiamento su un altro.

Non ce la farai mai

vs

ce la posso fare.

Oppure:

Lascia perdere, da quell’amico avrai soltanto guai

vs

si tratta di saperlo prendere e sarà una grande amicizia.

Questa cosa fa la fortuna dei coach, anche di quelli filosofici. Parlarsi, in questi casi, è la cosa migliore da fare. Anzi, a dirla tutta, il dialogo interiore è un ottimo strumento per rafforzare la propria guida su se stessi e non lasciare che le cose ci travolgano. Per questo ci si lavora sopra.

Se vogliamo equilibrio nella nostra vita dobbiamo mettere pace tra le nostre componenti interiori. Per dirla con Platone, la nostra anima razionale deve mettere d’accordo la nostra anima irascibile con quella concupiscibile. Per farlo non le deve soffocare, anzi deve lasciar giocare a ciascuna il proprio ruolo. La stessa cosa fa ogni allenatore sportivo: assegna un ruolo al giocatore più estroso della squadra, uno all’atleta più diligente, un altro al difensore… Una squadra, così come la città di Platone, funziona quando le varie parti trovano un equilibrio e giocano la stessa partita.

Andiamo sul concreto. Ci sono tre regole per avviare un buon dialogo interiore:

parlati in maniera positiva;

ridimensiona i fatti riconducendoli alla loro effettiva portata;

dai un nome alle cose. 

Oggi diamo un rapido sguardo alla prima: parlarsi in maniera positiva.

Entriamo in un circolo del tennis e facciamoci una passeggiata tra i campi in terra rossa. Quel tennista laggiù ha spedito il colpo in tribuna: non sbagliare il rovescio! Si urla contro, sbattendo la racchetta a terra e rischiando di pagare tanti euro per il suo inner game.  

Un atteggiamento veramente squilibrato, ma molto diffuso. Al di là del fatto che non tutti possono permettersi di comprare una racchetta nuova ad ogni partita di tennis, queste auto intimidazioni non sono produttive.  Anzi, sono la strada che si apre verso il fallimento. Una delle cose che amano sottolineare i moderni coach è che i nostri pensieri negativi condizionano il risultato delle nostre azioni: se ci diamo una suggestione negativa, prima o poi ci andremo a sbattere contro. Più semplicemente la legge di Murphy recita: se pensi che una cosa possa andare storta, ci andrà.

Questo vale anche per gli ordini che ci diamo o ci danno. “NON sbagliare il rovescio” non fa altro che concentrare tutte le nostre forze e attenzioni sull’errore. Al contrario: “Anticipa il rovescio” raggiunge lo scopo di “non sbagliare” senza creare una cappa negativa sull’azione da eseguire.

Nel coaching questo fenomeno è (troppo) noto con l’espressione: la profezia che si auto avvera.

 Questo fatto delle cose che vanno male se pensi che possano andar male è davvero strano perché stiamo parlando di due realtà che appartengono ad ordini diversi:

da una parte ci sono i pensieri immateriali, dall’altra i fatti, molto concreti.

Una cosa è quello che penso, altra cosa quello che succede. Così almeno dovrebbe essere.

Se mettiamo fatti e pensieri sullo stesso piano non facciamo altro che sommare le patate con le cipolle. A scuola ci insegnano che non si fa.

Cartesio descrive bene la differenza tra una realtà immateriale dentro la nostra mente (res cogitans) e il mondo materiale (res extensa). La filosofia si è sempre interrogata sul rapporto tra queste due dimensioni e fino a poco tempo fa lo ha fatto secondo lo schema di Cartesio: le due realtà non sono dello stesso ordine.

Da qualche tempo le cose stanno cambiando: le scienze hanno messo in discussione questa separazione. Max Planck e Albert Einstein ci hanno parlato dei “fotoni”, una strana materia, priva di massa.  I fotoni sono materiali e immateriali allo stesso tempo. La meccanica quantistica che scaturisce da queste scoperte va a mettere in discussione proprio la distinzione tra res extensa e res cogitans. Chissà se un giorno avremo le prove che i nostri pensieri possano in qualche modo interagire con una pallina da tennis.

Ne parlavo di recente con un amico, un allenatore importante, lui non crede che la storia dei quanti abbia tutto questo peso nel fatto della profezia negativa che si auto avvera. Anzi spiega il fenomeno in maniera molto più semplice…ed efficace.

Guardandomi con quell’aria sempre assonnata, davanti ad una birra pale ghiacciata, mi ha esposto la sua teoria:

se un ragazzo della tua squadra di pallavolo si dice di non sbagliare la battuta, si sta dando un compito che non gli è di nessun aiuto. Il suo dialogo interiore lo porterà a concentrarsi sull’errore, con il risultato che il rischio di sbagliare sarà maggiore perché i suoi pensieri saranno focalizzati sull’errore, sulle sue conseguenze, su quanto avvenuto in passato.

Inoltre, parliamoci chiaro: quante volte hai pensato che una cosa potesse andare storta ed è filato tutto liscio. Te lo dico io, lo hai fatto tante volte, ma non le ricordi. Invece ricordi bene tutte le volte che te la sei tirata. La memoria ci porta a dare credito alla legge di Murphy più di quanto non ne abbia. Quindi: concentrarsi sull’errore e perdere fiducia ricordando quando te la sei tirata sono le uniche due argomentazioni che tengono in piedi la teoria della profezia che si autoavvera.

La storia della profezia negativa che si avvera è una mezza fesseria, la questione è che se ti parli in maniera positiva è più facile che ti vada bene, concluse soddisfatto!

La penso come lui, andrà tutto bene: vuoi per un motivo, vuoi per l’altro, pensare che ti andrà male non è di nessun aiuto.

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