MAGA, terza ed ultima stagione. Perché MAGA è vincente e la “sinistra” è lontana (al netto delle ragioni degli uni e degli altri)

Continua il nostro viaggio di pratiche filosofiche nella politica, prendendo a spunto le recenti elezioni statunitense e le implicazioni filosofiche implicite nell’affermazione del Make America Great Again (Qui trovi il primo, qui il secondo) .

Presto ci tufferemo nuovamente nel coaching filosofico praticato, ma prima mi preme ricordare che in questi tre articoli non ho voluto fare propaganda o sponsorizzare qualche idea politica: non è per nobiltà d’animo o imparzialità ma solo perché nonostante il mio ego smisurato non credo di poter competere o essere minimamente influente in fenomeni di così larga scala.

L’intento di queste tre divagazioni è quello di sondare lo spazio che le pratiche filosofiche hanno nei fenomeni politici ragionando su macro fenomeni, più evidenti e conosciuti ai più.

Il più clamoroso caso da laboratorio è il successo di Trump e del suo motto, Make America Great Again, contrapposto alla fatica che fa la sinistra ad affermare le proprie proposte politiche.

La ragione di questa debolezza, prima di tutto culturale, è composta da vari fattori: quello delle scelte economiche, leadership deboli, i grandi temi della sicurezza, della immigrazione, della transizione energetica. In Italia spiega molto il bel libro di Luca Ricollfi, La mutazione, come le idee della sinistra siano migrate a destra.

Ricolfi spiega molto, ma non tutto.

Già, perché in questa storia si può spiegare un pezzetto, non tutto. Neanche vale la solita metafora del puzzle, anche se hai in mano tutti i pezzi non riesci a comporre il quadro.

La sinistra, sia essa erede del socialismo solidaristico, del cattolicesimo sociale, che anche dei grandi partiti comunisti europei nasce con un minimo comune denominatore: l’eguaglianza e la promozione dei diritti dei lavoratori, dei proletari, dei poveri, degli ultimi o delle classi sfruttate dal capitale.

Il linguaggio è declinato in accezioni diverse, ma il brodo primordiale è questo:

una grande chiesa
che passa da CHE GUEVARA e arriva fino a MADRE TERESA
passando da MALCOM X attraverso GANDHI e SAN PATRIGNANO
arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano.

Jovanotti, Penso positivo

Ebbene, la cosa che più dovrebbe irritare un leader della sinistra è che in questo momento storico la sinistra perde perché il suo elettorato di riferimento vota a destra.

La sinistra vince dentro le ZTL. Fa il pieno di voti ai Parioli, perde a Tor Bella Monaca.

Negli USA i democratici vincono a New York, nelle grandi città delle due coste, perdono in tutto quello che c’è in mezzo.

Questi fatti sono innegabili ed hanno tante spiegazioni, che non sempre hanno a che vedere con il giusto, la verità e altre categorie intellettuali che però sono in una ancolino nei talk show televisivi, la nostra agorà.

Qui proviamo a puntare il dito su un aspetto, uno degli aspetti:

La storia di un leader (e di una proposta politica) è tanto più incisiva quanto più riesce a mobilitare negli elettori una connessione con quegli schemi archetipi che più sono presenti ai singoli elettori ed ai gruppi sociali.

Ogni leader vuole apparire come un eroe positivo. Ogni movimento si presenta come bello, buono, giusto. Questa connotazione è comune a tutti, ad ogni argomento dei competitors sarà opposto un argomento alternativo o contrario, agli occhi degli elettori c’è equilibrio nel valore dato alle proposte non sempre poi così alternative. Cadute le ideologie sono cadute le letture che valgono per sempre e che erano in grado di mobilitare blocchi sociali granitici. Questo già è un punto per le destre che, come è ben esplicitato da Ricolfi, si sono appropriate di alcune idee della sinistra e le hanno capitalizzate in un quadro di proposte più o meno coerente ma certamente identitario.

Tutto questo però non basta: il lavoro del MAGA è stato quello di creare un racconto mobilitante, che coinvolgesse le emozioni e le immaginazioni degli elettori.

Qui si gioca una partita su un piano diverso da quello dell’avere ragione o aver torto, del giusto o dello sbagliato, per questo motivo contrapporre ragioni ad una storia non è mai una buona idea.

In concreto? Guardiamo Trump e osserviamo le figure archetipe junghiane che è in grado di evocare. Ovviamente la figura predominante è quella del Guerriero, dell’eroe.

L’archetipo del Guerriero è centrato su valori riconoscibilissimi: la forza, il coraggio e la determinazione. Ogni cittadino mette in sintonia la sua parte di guerriero con il leader che è motivato a combattere per difendere i propri valori, proteggere i propri territori, la nazione, la famiglia.
La missione del Guerriero è mettere in campo il suo valore e far trionfare la sua causa. Il Guerriero è forte, rispettato e riconosciuto per i suoi atti di coraggio.

La storia del guerriero prevede un percorso iniziativo, ostacoli e prove (pensiamo ad Eracle). Il guerriero è chiamato a superare ingiustizie, cattiverie e scorrettezze perpetrate ai suoi danni. La cinematografia di cassetta ha compreso benissimo questo stereotipo: pensate alle scazzottate, alle scene di lotta, agli scontri, per quelli della mia età, ai cartoni di Braccio di ferro: il cattivo commette sempre una scorrettezza e il buono sta per soccombere, ma alla fine trionfa.

La qualità del guerriero è la pervicacia con la quale espone il petto ai nemici, la lealtà verso la sua gente.

Il guerriero parla poco e combatte. Il guerriero ha bisogno di un nemico: gli immigrati, i giudici, i comunisti, gli attentatori, Bluto (il rivale gigantesco di Braccio di ferro).

Ora immaginiamo questa immagine trumpiana e di altri leader della destra e opponiamola a quella dei loro avversari politici.

Non c’è partita. Anzi, a sinistra non si gioca questa partita perché si è troppo impegnati sul fronte del pensiero.

Ma si va oltre. Per Jung ad ogni archetipo corrisponde un’ombra, una lato oscuro, potenzialmente depravante, con il quale, nel processo di individuazione, ogni soggetto deve fare i conti, riconoscendola, facendola emergere con la parte buona.

L’ombra del guerriero si manifesta quando si dimostra aggressivo, rigido, intransigente. Rifiuta di riconoscere le ragioni del suo avversario, è ossessionato dal potere, rifiuta di ammettere le proprie debolezze.

Il punto è che quando la sinistra si concentra nell’evidenziare l’ombra del guerriero di destra non fa altro che rafforzarne l’identificazione da parte degli elettori che riconoscono nel leader le proprie ombre e simpatizzano ulteriormente con il politico/guerriero, sminuendone o azzerandone le negatività.

L’ombra sono i nostri desideri, gli istinti , le nostre debolezze e i nostri difetti che cerchiamo di nascondere o reprimere. Se siamo spinti a riconoscerli nel leader non facciamo altro che avvinarci a lui.

A volte si sorride con supponenza quando la destra si appropria di alcuni miti non reputati all’altezza dei classici. Il Signore degli anelli non è un riferimento a caso, incarna perfettamente il mito del guerriero, così come la storia di Giorgia Meloni sembra fatta apposta per essere messa in sintonia con gli archetipi dei suoi elettori. La giovane eroina underdog, interpreta perfettamente l‘archetipo dell’Innocente, con i suoi tratti distintivi: l’autenticità, la sincerità e l’entusiasmo, ma è anche potente il Guerriero del discorso Io sono Giorgia. Il Mentore, entra in scena con Crosetto, gigante buono che la prende in braccio il giorno in cui nasce Fratelli d’Italia. Ci sono poi le prove alle quali è sottoposta, l’Europa ad esempio. Non è un caso l’enfasi con la quale Meloni si fa riprendere sorridente accanto ad Ursula von der Leyen o porge fredda la mano a Macron. Fa parte della narrazione anche Mario Draghi, nomen omen, che incarna il Mago, in grado di essere demiurgo, ma anche di rappresentare il lato oscuro della forza che pervade persino l’alleanza del bene e contro la quale bisogna agire d’astuzia, accettandola e rifiutandola all’occorrenza.

Trump stesso è anche il Mago e si trasfigura in Elon Musk, un Merlino tecnologico. L’alchimista che possiede la pietra filosofale ed è in grado di trasformare il piombo in oro, gli ostacoli in opportunità. Padroneggia le leggi dell’universo per realizzare le sue visioni e servire il bene comune, si spinge oltre il cosmo e compie prodigi nello spazio. La forza del mago è quella di realizzare i propri prodigi per modificare il corso degli eventi ostili.

Non si può contrappore un dibattito sul transumanesimo ad Elon Musk, stiamo giocando due campionati diversi. Anche qui, evidenziare l’ombra del mago non fa altro che rafforzarne l’identificazione da parte del cittadino/elettore/discepolo.

Il mago manipola, è superbo, abusa del suo potere magico. Il mago è megalomane, è al di sopra delle leggi e della morale comune. Quando si accusa il mago Elon Musk di violare il reato universale sulla maternità surrogata o di fare uso di sostanze psicotrope che stimolano il suo genio, non si fa altro che favorire il riconoscimento del suo archetipo e di mettere in sintonia con lui il cittadino, il quale sente nel suo intimo il punto di magia primordiale che si porta dietro con tutta la sua ombra. Chi, in un angolo della sua personalità, non vorrebbe essere superiore alle leggi, spedire gente nello spazio, usare gli spinaci per battere Bluto?

C’è difesa? Oltre la consapevolezza degli schemi giocati, ancora una volta la destra dimostra di aver compreso meglio come si distrugge una figura archetipa. Non agisce sul piano del pensiero, ma su quello della rappresentazione. Le ONG fino a qualche anno fa erano la personificazione del archetipo dell’Innocente e soprattutto del Benefattore : oggi sono descritti come complici dei trafficanti di esseri umani. Tutti abbiamo l’ombra del mago, nessuno ha l’ombra del trafficante di esseri umani. Partita vinta.

Guai però ad adagiarsi sull’archetipo vincente. La sfida di Trump ora è quella di trasformare la figura del Guerriero in quella del Sovrano, piuttosto che in quella del Tiranno alla quale sembrava ispirarsi il Trump1. I tratti di un Sovrano risolto dovrebbero essere la responsabilità e il comando benevolo e conciliante. Non sappiamo se questo convenga al Presidente e quanto possa trovare utile connettersi alla parte interiore degli americani che governano il loro intimo con rettitudine, integrità, nobiltà d’animo. Vedremo se piuttosto non avrà maggior consenso mostrandosi Distruttore. Il Distruttore evoca la trasformazione, il caos necessario e il lasciarsi andare. Tutti noi abbiamo una parte che ci spinge a porre fine a ciò che non ci serve più, di fare tabula rasa per permettere un nuovo inizio o il ritorno a ciò che era stato distrutto dal malvagio o dall’ordine precedente. Nel ritorno c’è tutta la forza dell’again. Il Distruttore è la fenice che rinasce dalle sue ceneri e in questo è totale l’identificazione di Trump cacciato dalla Casa Bianca e degli Stati Uniti dal loro Eldorado. Il Distruttore fa terra bruciata dei lacci del passato e della burocrazia, delle leggi che ci soffocano. Il Distruttore coglie l’attimo, secondo i suoi istinti e i suoi desideri. La distruzione è un fuoco necessario verso un mondo migliore. Sì, a Trump conviene essere Distruttore piuttosto che Sovrano e la scelta della sua squadra di Governo, che appare incomprensibile al pensiero, sembra segnare inequivocabilmente questa strada.

Ovviamente sono stato grossolano, ma il punto è questo: è vero, almeno parzialmente, che la destra sappia toccare il cuore della gente e la sinistra si sia allontanata dal suo elettorato ma questo avviene anche attraverso la narrazione, pianificata o no, di archetipi in grado di far presa sull’intimo delle persone. Una delle letture possibili è quella della psicologia disegnata da Jung. Il canale del pensiero c’entra (pensiamo a cosa pensino i lavoratori precari del Job’s act voluto dal Partito democratico renziano), ma non basta a spiegare.

La pratica filosofica ha un ruolo fondamentale in tutto questo, dovrebbe avere e fornire gli strumenti per decodificare gli archetipi in gioco e in qualche modo smascherare le dinamiche attraverso le quali si tenta di predominare nel dibattito pubblico.

Il ruolo è ambivalente: la filosofia pratica ha anche la possibilità di aiutare il politico ad individuare quella rete di connessioni che il proprio contenuto politico è in grado di attivare attraverso la recita del personaggio archetipo. Questo non significa necessariamente schierarsi con la propaganda o addirittura l’inganno nei confronti degli elettori. La maschera del politico e conseguentemente la narrazione favorita dalla pratica filosofica può essere valutata su nuove categorie di contrapposizione come quella di autenticità/convenienza, che si contrappongano a quelle ormai marginali di verità/errore, giusto/sbagliato.

Manifestare un archetipo autentico ha un valore morale equivalente a quello di propugnare il giusto. Come il giusto può essere infarcito di una buona retorica, la consapevolezza della narrazione profonda può essere favorita da una buona filosofia.

La sinistra, per risintonizzarsi con la propria gente avrebbe un dannato bisogno di un creatore di rappresentazioni archetipe. Pensiamo ad eventi come il MeToo che avrebbero potuto essere trattati in maniera più efficace risvegliando gli archetipi della Ribellione e della Liberazione, i quali sarebbero stati certamente più efficaci di tante campagne che sembravano costruite per distruggere con qualcosa vicina al Gossip personaggi famosi (che pure meritavano il disprezzo pubblico).

Un altro esempio di storie ben costruite è lo spot elettorale dei democratici, al quale ha prestato la voce Julia Roberts e che sostanzialmente raccontava di donne che in segreto votavano a dispetto del marito dominante. Tradite i vostri mariti nella cabina elettorale, suggeriva l’attrice, ma lo slogan “ciò che accade nella cabina, rimane nella cabina” era incredibilmente copiato da quello che sponsorizzava il gioco d’azzardo e chissà cos’altro: «Quello che succede a Las Vegas, resta a Las Vegas». Un clamoroso autogol con il tema del tradimento, e del gioco d’azzardo… in una società così formalmente puritana nella quale i conservatori si contrappongono al disordine morale e dei costumi identitari, assegnato in quota democratica. Inoltre lo slogan può aver colpito molte donne, ma ha fallito il bersaglio grosso: la questione centrale era quella di genere che comunque è trasversale e persino qualche voto ai conservatori può essere stato assegnato da mogli che hanno così tradito il marito democratico. In ogni caso la reazione di Trump, ancora una volta, è stata brutalmente efficace restando sul piano del sentimento senza invadere quello del pensiero: «Ma vi immaginate una moglie che non dice al marito per chi ha votato?».

Così come in Italia nel bel film C’è sempre domani, applaudito a sinistra, la questione di genere era prioritaria rispetto alla questione dell’appartenenza politica: peccato, infatti, per le sinistre che la prima Premier donna in Italia sia di destra e che la costruzione nel film della donna che scappa per votare non sia quella dello stereotipo di una femminista militante, che resta minoritario nella società italiana. Un gran bel racconto edificante quello di Paola Cortellessi, che però non aveva, a ragione, l’intento di sintonizzare il consenso su una parte politica. Per una donna di destra sarebbe stato addirittura più facile identificarsi nella protagonista rispetto ad una militante di sinistra.

Questi due esempi rafforzano comunque il fatto che queste costruzioni per immagini e sul canale del sentimento piuttosto che su quello del pensiero siano più efficaci di tante parole, statistiche, enunciazioni di principio.

Emblematico il caso del Covid dove gli archetipi dell’Apocalisse, del Sacrificio e del Rinnovamento sono stati, passato il pericolo, affiancati da figure potenti e contrapposte che hanno richiamato il ricordo della Tirannia, del Controllo, dell’Abuso, dell’Ingerenza.

In questo gioco i media, in maniera non sempre consapevole e qualificata, recitano un ruolo nella stessa squadra della filosofia pratica.
Il circuito è quello tra politica-media-elettori. Tutti siamo consapevoli che la comunicazione ha superato la fase di cronaca asettica, ma contribuisce a modellare e amplificare le figure archetipiche dei leader, mettendo in scena le loro azioni e gesti, riportando i loro discorsi e analizzando il loro stile.

Pensiamo alla potenza dell’immagine di Trump che incita le folle a combattere, appena colpito da un folle. Un colpo fortunato nella costruzione dell’immagine di guerriero, che può essere amplificata o sminuita dai media, dando enfasi o derubricando il fatto, esaltando l’eroe, la vittima, oppure il dissenso diffuso, la debolezza del sistema di sicurezza, la vulnerabilità dello stesso guerriero.

Le grandi stelle del giornalismo spesso giocano un ruolo di Saggio o di Mentore, ispirando, decodificando, mettendo su strada la maschera del politico amico e scendendo nell’arena opponendosi al politico avversario con domande capziose o semplicemente molto critiche. Al contrario assumono il ruolo di Complice sostenendo con argomentazioni palesemente propagandistiche e infondate lo schieramento politico di riferimento.

Conclusioni

Paradossalmente la pratica filosofica, in sintonia con competenze psicologiche e prettamente politiche, ha un campo d’azione fecondo anche nella partita che si gioca sul consenso ricercato dai politici e la consapevolezza degli elettori. Qui si è analizzato uno solo degli aspetti possibili: la costruzione di figure archetipe in grado di sintonizzare politico e cittadini su un piano non strettamente intellettuale, ma sim-patico. La costruzione junghiana degli archetipi spiega una delle ragioni per cui il Make America Great Again, che agli occhi degli europei appare spesso grottesco e infondato, ha avuto un così grande successo negli Stati Uniti.

Rendere un pubblico consapevole e aiutare la politica a costruire schemi di rappresentazione è uno dei temi sui quali si fonda lo spazio di consulenza e pratica filosofica.

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