Perché l’instabilità fa crescere i team. Approccio ecologico al cambiamento del team.
“Squadra che vince non si cambia.”
È una di quelle frasi che funzionano bene nei commenti da salotto, davanti ad una bella birra. Va molto meno nella realtà di chi è responsabile di un team professionale, allena squadre sportive, lavora con gruppi, costruisce persone.
Può funzionare per una partita, forse per un set. Raramente per una stagione. Può funzionare per raggiungere una buona quotazione in borsa, non per mantenerla.
Di sicuro la stabilità non è per un percorso di crescita. Una organizzazione di persone che non cambia perde immediatamente di competitività. Lo sanno tutti coloro che ci raccontano le storie di successo.
Nello sport una squadra, soprattutto giovanile, ha bisogno di instabilità.
Non di caos, ma di variazioni che costringano il sistema a riorganizzarsi in maniera funzionale ed ecologica.
Il problema delle abitudini che funzionano troppo bene
Se la mia alzatrice sa che alzare sempre a Valentina significa punto nel 90% dei casi, perché dovrebbe guardarsi intorno?
Perché dovrebbe leggere il muro, il posizionamento delle compagne, le opportunità che sono suggerite in grandi quantità dall’ambiente?
La routine che porta punti prima o poi presenterà il conto. Non solo perché gli avversari finiranno con il prendere le contromisure (lo scorso anno ho perso la partita decisiva dei play off perché le avversarie ci conoscevano meglio di quanto non ci conoscessimo noi stessi), ma perché saremmo inesorabilmente noi a non crescere e quindi perdere di efficacia e degradare fino all’inefficienza.
Un episodio che non dimentico
Ultima giornata di campionato. Serie D femminile. Allenavo in una società che ora purtroppo non esiste più, Il Città di Frascati. L’anno prima avevamo dominato il campionato di prima divisione, le avevamo vinte tutte. Quell’anno, stessa squadra, le cose non giravano e non solo perché eravamo saliti di categoria, proprio non riuscivamo a farle funzionare e parte del problema fu che eravamo troppo uguali a noi stessi. Ultima di campionato: per salvarci servono tre punti, che nel volley si ottengono solo con il punteggio di 3-0 o 3-1, non 3-2. Partita in equilibrio, un set pari. Al terzo, vediamo il baratro: 21–23: se Marino vince il set si porta via quel punto che ci serve per restare in serie D. Una ragazza con la quale quell’anno proprio non riuscivo a sintonizzarmi fa la cosa giusta al momento giusto e ci salva con una difesa disperata. Poi Valentina, la nostra killer, sbatte due palloni per terra e si va al quarto.
Mancava ancora un set. Non potevo rischiare di mettere la squadra di nuovo nella situazione dalla quale eravamo appena usciti.
E quindi mi giocai tutto.
Tolsi Valentina dal sestetto iniziale.
Le ragazze non la presero bene. In parte giocarono contro la mia scelta e contro di me, in parte fecero quello che di solito faceva lei: mettere la palla a terra. Funzionò. A metà set eravamo avanti di un paio di punti.
Arrivò l’occasione: Valentina rientra, ma in un ruolo diverso. Non M1, come sempre, ma M2. Fu devastante.
Ma non solo lei: con la difesa concentrata sulla nostra attaccante migliore, anche centrale e opposto iniziarono a muovere il tabellino con continuità.
Quel set finì in modo netto, senza rischi per noi.
Non per uno schema geniale, ma perché la squadra aveva smesso di appoggiarsi a una sola certezza.
Team building ecologico: quattro leve
L’approccio ecologico non riguarda solo il gesto tecnico. Riguarda il funzionamento del gruppo in qualsiasi contesto (professionale, sportivo, politico…)
Le stesse quattro leve che utilizziamo per allenare le atlete valgono per la squadra come organismo:
- Variabilità
Cambiare ruoli, riferimenti, responsabilità. Costringe tutti a guardare di più e appoggiarsi di meno alla routine. Tutti si sentono in azione in ogni momento. - Instabilità
Togliere una certezza (la giocatrice di riferimento, la procedura abituale) obbliga il team a trovare nuovi equilibri, esattamente per lo stesso meccanismo per cui il nostro corpo adotta aggiustamenti quado eseguiamo un bagher in posizione di partenza precaria. - Vincoli
Regole temporanee che orientano il comportamento senza imporlo: “questa soluzione oggi non è disponibile”. Tante procedure “di emergenza” che abbiamo adottato in epoca Covid sono sopravvissute nei processi produttivi e del terziario. Senza il Covid, che imponeva il vincolo delle relazioni a distanza, non ci avremmo mai pensato. - Rumore
Avversari che disturbano, schemi irrituali, provocazioni controllate. Come uno sparring che attacca i punti deboli in modo che i titolari si interroghino sulle soluzioni. Molte aziende pagano hacker professionisti perché testino le criticità delle loro reti informatiche. E’ una bella scocciatura, ma impone la percezione della minaccia esterna e la predisposizione delle difese necessarie.
La frase giusta
La frase corretta non è “squadra che vince non si cambia”.
È un’altra:
per vincere, una squadra deve imparare a cambiare.
Cambiare accogliendo l’invito all’azione dell’ambiente e prima che sia l’ambiente a costringerla.
Cambiare quando le cose funzionano, non solo quando vanno male, ma cambiare per funzionare meglio.
È lì, nel cambiamento, che nasce un team e se tutto fila liscio bisogna preoccuparsi.
