Il coach e il consulente sono figure dai contorni opachi e non sempre identificabili. Non è un caso: tra un intervento di coaching ed uno di pratica filosofica ci sono delle aree di sovrapposizione. Del rapporto tra coaching e pratica filosofica mi sono diffusamente occupato nel mio lavoro sulle pratiche filosofiche nello sport, Il gioco di Sophia. Questo articolo invece si occupa sommariamente di chiarire un punto riguardo l’utilizzo di strumenti propri del coaching in un intervento di pratica filosofica.
Schematicamente saliamo sul crinale fondamentale tra i due interventi: il coaching è un aiuto finalizzato all’ottenimento di un risultato, in senso lato o specifico. La pratica filosofica è una luce che si cerca di liberare all’interno dell’esistenza di un individuo, un gruppo, un’azienda. Chiarificazione dell’esistenza è una buona sintesi di quello che è chiamata a fare la pratica filosofica, anche se il senso che a questa espressione attribuisce Jaspers è molto più tecnico e specifico.
Il metodo della pratica filosofica è per definizione aperto e declinato secondo le attitudini del filosofo, le richieste e le esigenze di chi chiede l’intervento, l’ecosistema culturale, il campo specifico (scolastico, professionale, sportivo, personale, familiare, …).
Tuttavia c’è un aspetto che occorre precisare. La pratica filosofica, nell’ambito del suo scopo e del suo armamentario, dato sostanzialmente dalla tradizione filosofica, dai suoi protocolli, dal suo metodo, non può e non deve disdegnare l’uso di strumenti propri del coaching. Lo deve fare senza aver paura di sconfinare in un campo che non le è proprio.
Prendiamo due tools classici della cassetta degli attrezzi di un buon coach: il goal setting e la road map.
Nel primo caso si tratta di individuare un obiettivo specifico, delimitarne i contorni, renderlo praticabile. Solitamente si utilizza l’acronimo SMART(S) per indicarne le caratteristiche: specifico, misurabile, attualizzatile, realistico, temporalmente scandito, self determinated. Il coach può utilizzarlo in maniera efficace, senza farsi troppi problemi. A volte un buon goal setting esaurisce l’intervento di coaching. Una concessionaria di automobili può darsi un obiettivo ben costruito in una semplice riunione del personale:
vendere fiat panda (specifico);
100 (misurabile)
attraverso una strategia di vendita finalizzata (attualizzatile)
nel semestre precedente ne sono state vendute 80 (realistico)
entro il prossimo semestre (temporalmente misurabile)
l’obiettivo non è fissato dalla casa madre e non prevede ricompense specifiche, ma è uno stimolo sentito come necessario dal personale a rivitalizzare l’azienda e il lavoro dei singoli (self determinated).
Lo stesso schema può essere utilizzato all’interno di un processo di pratica filosofica? A prima vista tutto questo non ha molto a che vedere con Platone, Aristotele, lo stesso Jaspers o chi altri. Eppure….
Poniamo che una società sportiva decida di intraprendere una riflessione filosofica sul proprio operato. La società lavora in un quartiere difficile, non sforna campioni ed è in crisi di motivazione. La sua stessa esistenza è messa a rischio. L’abbandono di dirigenti, tecnici, atleti comincia ad essere preoccupante. Nei primi incontri si decide di fare chiarezza sul senso dell’esistenza di una società sportiva in quel contesto. Si spazia dal sistema preventivo di Don Bosco al linguaggio dello sport di Pasolini, al concetto di squadra e organizzazione nella Repubblica di Platone. Tutto bello, ma si ha la sensazione di volare alto. Le altre società sono più attrattive e i risultati delle squadre non incoraggiano. Però si fa chiarezza, la società sportiva è un segno nel quartiere, un faro nella notte: la sua semplice esistenza testimonia che si può fare sport in quel contesto, non si deve scappare, non c’è il nulla. Solo a questo punto si possono raccogliere e modellare gli obiettivi generali. Si può, ad esempio, convenire che il tema dell’inclusione possa essere il filo rosso che regola le attività di quella società sportiva. Ok, ma se la pratica filosofica lasciasse la nostra società a questo punto, probabilmente a breve si manifesteranno nuovamente i sintomi di uno scoraggiamento e conseguentemente del disimpegno. Occorre modellare un obiettivo e monitorarlo. SMARTS, con la S senza parentesi, a questo punto è uno schema naturale.
Specifico: contare nelle proprie attività una partecipazione paritaria di genere e favorire l’avvicinamento di una comunità originaria del Bangladesh che popola il quartiere;
Misurabile: a fine anno il numero di ragazze e ragazzi iscritti deve essere paritario, con una tolleranza fisiologica del 5%. I ragazzi appartenenti alla comunità immigrata debbono essere al minimo il 10% dei tesserati.
Attualizzabile: si può immediatamente lavorare con le scuole, la parrocchia, altre agenzie educative, attraverso campagne di promozione sportiva.
Realistico: abbiamo una sezione di calcio femminile e di pallavolo che raccolgono il 25% dei tesserati, alcuni ragazzi della comunità interessata giocano nella squadra di hockey e possono essere un buon gancio;
Tempo: i conti si fanno al 30 giugno con una verifica intermedia al 30 aprile;
S (Autodeterminato): l’obiettivo è consequente alla riflessione sul senso di questa società sportiva all’interno del quartiere.
Un buon obiettivo richiede una road map che altro non è se non la strada da percorrere per raggiungerlo. Una tecnica efficace è quella di disegnare la road map a partire dalla fine, immaginando le tappe di avvicinamento a partire da quelle più vicine all’obiettivo. Non è il caso di dilungarsi sulla costruzione di un percorso come strumento proprio del coaching. Tuttavia dai due contesti, seppure descritti in maniera grossolana, possono suggerire una road map molto diversa. Nel primo caso, quella della concessionaria legata ad un obiettivo produttivo, bisognerà individuare un percorso tecnico commerciale che vada dalla svendita a prezzo di costo delle ultime automobili rimaste in garage (la tappa più vicina all’obiettivo) ad una buona campagna promozionale che apra la strategia di vendita con le automobili in pronta consegna.
Nel caso invece della società sportiva la road map è più incarnata nell’obiettivo e nelle ragioni stesse dell’esistenza di questa società. Si può andare da un incontro porta a porta con le famiglie dei ragazzi provenienti dal Bangladesh non ancora iscritti (come tappa conclusiva) ad una campagna di prove gratuite per le ragazze nella squadra di pallavolo o di atletica come apertura del progetto.
In conclusione, in maniera sintetica ho tentato di descrivere l’utilizzo di strumenti specifici del coaching nel contesto di interventi condotti nell’ambito di contesti che debbono restare distinti: il primo è legato alla finalizzazione degli obiettivi, il secondo utilizza l’obiettivo come conclusione della riflessione sullo scopo contingente della stessa esistenza di una organizzazione.
Ne deriva una piccola postilla: il coach non è obbligato ad occuparsi di pratica filosofica e può non averne le competenze, il filosofo che intende condurre una efficace pratica filosofica dovrà dotarsi di una cassetta degli attrezzi prendendola in prestito dall’armamentario di un buon coach.

Un pensiero riguardo “Utilizzo di Strumenti del Coaching nella Pratica Filosofica”