Orazio 2, Jobs 1

Se, nell’immaginario collettivo, ci sono dei santi laici, il fondatore di Apple, Steve Jobs, è certamente tra questi. Gioca con i fanti e lascia stare i santi, si diceva. Così questi personaggi vengono presi come modelli in maniera piuttosto acritica, senza riflettere sul fatto che qualche partita possono perderla anche loro.

Jobs perde, perde di brutto.

Con lui perde tutta questa squadra di imprenditori da Silicon Valley sui quali c’è un’altra verità, che va oltre la santificazione acritica. Lasciamo perdere le chiacchiere da paese, alimentate dagli interessati, che parlano di sostanze allucinogene, di cure naturali che hanno impedito di combattere efficacemente il cancro, di figli riconosciuti tardivamente. Ogni vita ha la sua miseria. L’ impressione è che questi santoni, nati in Italia non sarebbero valsi un’ unghia di Olivetti. La loro spregiudicatezza in un contesto decisamente favorevole e qualche amico lasciato morente sul percorso hanno spianato la strada.

Il punto è che avere successo economico non significa essere un maestro di vita.

Il fatto è questo: il miracolo richiesto alla santificazione dei laici in questa nostra parte di mondo è uno solo, aver guadagnato tanti soldi con una buona idea.

Jobs e i suoi fratelli hanno indubbiamente fatto il miracolo necessario: hanno avuto una buona idea ed hanno fatto soldi. Tanti soldi. Applausi e incenso.

Il discorso di Jobs, già gravemente malato, che invita gli studenti ad essere folli, essere affamati è stato (giustamente) acclamato come manifesto della nostra cultura.

Non c’è che dire, molto iconico. Tutto va bene, questo è il punto che si conquista Jobs. Uno a zero per lui. Tutto bene… finché si parla della nostra cultura, quella occidentale, della performance, del successo alla quale accennavo nel post precedente. Se non sei folle e non sei affamato, bene che ti va resti dietro alla scrivania tutta la vita.

Mi piace contrapporre Jobs ad un mostro sacro dell’antichità, Orazio, quello del carpe diem. Pochi ricordano lo schema di gioco adottato da Orazio, quello di Epicuro. Godersi la vita. Ci sarebbe da scrivere e da qualche parte l’ho fatto. Essere epicureo non è esattamente quello che intendiamo. In sostanza il tema del distacco è centrale nella visione epicurea, altro che fame e follia! L’epicureo centra le cose importanti e si gode il momento, fregandosene del resto.

Bella partita, dopo il goal di Steve.

Cogli l’attimo è il punto del pareggio.

Orazio, Jobs 1-1.

Quanti giovani, folli affamati, si godono il loro momento presente? La ricerca del successo non è semplicemente pensare al domani?

Certo, si potrebbe obiettare che invece un uomo di successo ha proprio saputo cogliere il suo attimo fuggente.

Però anche no, Orazio non parlava certo della possibilità di successo o del treno che passa una sola volta nella vita. Quella partita si gioca su un altro campo.

Qui stiamo parlando di qualità della nostra vita terrena, non di successo.

L’attimo di Orazio è quello del sapore della vita, che trovi solo nel presente. 

Comunque, troppo inflazionato il motto di Orazio per parlarne qui. Prendiamo nota di una delle letture possibili e chi vuole ci rifletta sopra: a forza di essere folle e affamato passa una vita e non ti resta altro da fare che invitare i giovani ad essere come te.

Orazio pareggia, ma non si ferma. Parte in contropiede e fa centro con un’altra massima ad effetto. La frase contenuta in Satire:

Est modus in rebus, sunt certi denique finesquos ultra citraque nequit consistere rectum

C’è modo nelle cose. In italiano l’espressione: c’è modo e modo è abbastanza comune. La traduzione della massima non è però così lineare: c’è una misura nelle cose, ci sono determinati confini oltre i quali non può esserci il giusto.

Quel modus regola le vite e la traduzione più calzante è misura. Questa frase mi fa pensare ad un collega di Jobs, Elon Musk, un trombone che pagherà presto la sua hybris, proprio perché non conosce misura e oltre quel confine non può esserci il giusto. Passare la linea può darti successo, ma poi devi fare rientrare la tua astronave e cosa ti resta quando metti i piedi a terra?

Torniamo a Jobs. Ora, va bene essere folli ed essere affamati, ma entro quali confini? Quali sono le linee del campo di calcio? Le regole? La tua disposizione interiore che non devi forzare? Di fatto ci sono sospetti che il goal di Jobs sia viziato dall’ uso di doping.

La fame insaziabile è bulimia.

L’appetito misurato, che distingue cosa gustarsi, è il centro della vita, l’attenzione che ti fa cogliere il momento. La regola ti regala il massimo della soddisfazione. Non è una regola imposta, la misura è una predisposizione naturale a cogliere il meglio, tagliando il superfluo. Predisposizione che va allenata.

Bisogna tenerlo a mente quando si vuole raggiungere un obiettivo, ma ancora prima, quando disegniamo il nostro scopo.

Nel prossimo articolo cominceremo a parlare nello specifico di tecniche di coaching filosofico piuttosto utili al raggiungimento dei propri obiettivi…misurati. Raggiungere l’obiettivo non è tutto. C’è modo e modo.

Intanto però ti do un compito. Qual è il tuo goal? Per cosa lavori. Quali sono i limiti oltre i quali non intendi andare nel raggiungere questo obiettivo? Quali i condizionamenti personali o sociali.

Un piccolo esempio: sei uno sportivo professionista. Se ti si offrisse la possibilità di migliorare enormemente la tua condizione andando a praticare la tua disciplina in un altro continente, saresti disposto a lasciare i tuoi affetti, le tue abitudini, la tua zona di comfort? Se sì, perché? Se no, perché? Conosci la storia di Gigi Riva? Che ne pensi?

Sei disposto a saltare il compleanno di tua madre per concludere un lavoro? Perché?

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