Sintesi del Manuale di coaching filosofico, il dialogo interiore. Post numero 2 (trovi qui il n.1)
Antifonte, chi è costui?
Mi chiede Giulio, il mio amico avvocato, che riesce a citare il Carneade di Manzoni su Whatsapp. Si stava occupando di una vertenza curiosa. Una causa per esercizio abusivo della professione di filosofo, intentata contro un famoso terapista da un professore universitario di filosofia antica . Una chiara provocazione, una burla che però era finita in tribunale.
Antifonte, V secolo AC, era un sofista che aveva esposto nella sua città una insegna pubblicitaria nella quale si dichiarava capace di curare i dolori dell’anima con la filosofia.
Insomma, la terapia delle parole di Freud sarebbe arrivata con qualche millennio di ritardo. Il terapista, un tipo saccente, una faccia da schiaffi, che gira spesso in tv dispensando consigli filosofici, avrebbe dovuto pagare i diritti.
Cosa c’entra Antifonte con la seconda regola del dialogo interiore? (per la prima, clicca qui)
La richiesta del mio amico mi costrinse ad una ricerca in biblioteca sui testi di Teofrasto e Plutarco. Pare che una delle due tecniche utilizzate da Antifonte per curare i mali dell’anima sia stata quella della relativizzazione dei guai. Un uomo non si dava pace per aver perduto un occhio. Antifonte lo porta davanti ad un cieco dalla nascita e gli dice: sei fortunato, tu ancora vedi dall’altro occhio.
L’altra tecnica di Antifonte? No, spoiler. Ne parleremo in seguito.
Per noi quello che conta è che:
relativizzare e ridimensionare sono i due imperativi che guidano il secondo principio del nostro dialogo interiore.
Molto spesso, quando ci parliamo, sarà utile raccontarci che quello che stiamo facendo non avrà conseguenze sul destino dell’umanità e (in moltissimi casi) neanche sul nostro.
Tra l’altro la cosa è abbastanza divertente. Se sono un medico e rovescio un bicchiere di vino durante un importante pranzo di lavoro potrei dirmi: meglio che sia successo questo che se avessi combinato un guaio mentre operavo un paziente a cuore aperto. Se mi impegno a studiare per l’esame di meccatronica ma non lo passo, devo collocare questa cosa nel suo giusto contesto. Non ho interrotto il mio corso di studi ed ho ancora un’altra possibilità. Anzi, ho capito cosa interessa al professore ed avrò un vantaggio nel tentativo di essere valutato con un voto migliore.
Del resto è meglio un ventisette domani che un diciotto oggi.
Per raggiungere un buon equilibrio nel dialogo interiore bisogna farsi guidare da due argomenti piuttosto evidenti:
- non tutte le mie azioni determinano un esito positivo, perché ci sono fattori che non controllo e che possono portare ad esiti negativi nonostante il mio massimo impegno;
- la maggior parte delle cose che mi succedono non sono irreparabili.
Stai attento: non ti sto chiedendo di costruirti un alibi per un eventuale fallimento. Al contrario, sto invitandoti a parlarti in modo da ridimensionare quello che ti procura stress.
Per quanto riguarda il “fallimento” che tanto temiamo: un fatto sarà tale soltanto se tu gli assegnerai quel ruolo.
Per prima cosa dobbiamo analizzare il contesto: che cosa sta succedendo? Quale è la situazione in cui mi trovo? Relativizzare. Possiamo elencarci tutti i dati del qui ed ora: ehi, hai ventidueanni, sei iscritto ad ingegneria gestionale, sei a metà percorso, vivi in una bella città e frequenti una università prestigiosa. Questo è uno dei dodici esami che ti mancano alla laurea, la prossima sessione è solo tra un mese e a casa non ti fanno pressioni.
Costruirsi un pacchetto del genere e raccontarselo non può che essere di giovamento.
Successivamente dobbiamo svuotare le nostre considerazioni dai fattori di disturbo. I più frequenti sono i ricordi del passato, le paure per il futuro e soprattutto l’opinione delle persone riguardo alla mia situazione.
Le opinioni degli altri non fanno danni alla sostanza delle cose, a patto che non siamo noi ad aprire la porta.
Cosa diranno se non supero l’esame? Diranno chi? Cosa mi interessa cosa diranno gli altri? L’opinione altrui può cambiare la sostanza più profonda delle cose? Quanto danno posso farmi accettando che le chiacchiere altrui facciano breccia dentro di me? Quante energie spendo nell’occuparmi delle opinioni altrui?
Fare una bolla parlandoci del momento significa anche pensare al passato e al futuro collocandoli nel loro spazio, il nulla:
passato e futuro sono momenti che non esistono più o che non esistono ancora.
Questo vale per il dopo, ma soprattutto per il mentre. Se mi parlo nel momento in cui sto sostenendo un colloquio di lavoro o nell’attimo immediatamente precedente e riesco a convincermi che quello che sto passando è soltanto uno dei momenti della mia vita e che quel colloquio è certamente da prendere seriamente, ma non mi cambia molto perché ce ne sono stati e ce ne saranno altri, allora lo affronterò con lo spirito giusto.
Le idee di gloria che riguardano il futuro sono altrettanto dannose che quelle negative. Pensa a superare l’esame è una cosa che puoi dirti per allontanare i pensieri del tipo: se supero l’esame di procedura penale è fatta. Diventerò avvocato, guadagnerò tanti soldi e avrò tutto quello che voglio dalla vita.
Ecco cosa c’entra Antifonte con il secondo principio del dialogo interiore:
parlati per relativizzare e ridimensionare i fatti.
Era questa l’eredità attualizzata con gli interessi che ci resta di Antifonte. Più o meno spiegai tutto questo al mio amico avvocato. Il mio amico prese nota e disse che avrebbe accettato il consiglio del professore: utilizzare il filosofo greco nelle argomentazioni contro il terapista tv.
Giulio mi chiamò qualche mese dopo per raccontarmi che il terapista aveva vinto la causa. Il giudice, nelle motivazioni, si prese il gusto di addentrarsi nel tema con una certa dose di ironia: Antifonte si occupava dei sintomi, al massimo potrebbe essere definito un coach ante litteram e comunque all’epoca non esistevano gli albi professionali. Il professore di filosofia era stato condannato alle spese e Giulio non era stato pagato, inoltre il mio amico aveva fatto una figuraccia e ora i suoi colleghi lo apostrofavano chiamandolo Antifonte. Il professore aveva fatto spallucce commentando: mi sarebbe potuta andar peggio, avrei potuto avere la faccia da schiaffi del terapista. Ora si godeva la sua pensione su un’isola greca con una sua ex studentessa. Questi erano i dettagli poco gradevoli della vicenda.
Giulio m’invitò a bere una birra, a patto che fossi io a pagare, perché a suo dire l’avevo messo sulla cattiva strada. Analizzò in maniera sorprendente la vicenda: essere stato incaricato di difendere una tesi bizzarra, che comunque aveva avuto una risonanza mediatica e tutto sommato gli aveva portato un po’ di visibilità. Inoltre, essersi divertito in tribunale ed essersi bevuto una birra con un amico filosofo che parlava con entusiasmo di stoici e sofisti e che per di più avrebbe pagato il conto… non è per tutti gli avvocati.
Aveva imparato la seconda regola del dialogo interiore: contestualizza e ridimensiona.
Va bene così e poi Antifonte è un nomignolo originale anche a Piazzale Clodio.
Dopo un paio di boccali di ottima birra Giulio era in vena di pensieri ben più nobili, degni del professore di filosofia antica sull’isola greca: chissenefrega di quello che pensano gli altri, o della sconfitta in tribunale. Mettila così: siamo su una barca e troviamo una bella caletta. Ci fanno scendere per un bagno ed una sosta. Raccogliamo conchiglie, ci mettiamo al sole… Prima o poi il marinaio ci richiama a bordo e allora addio conchiglie a addio bellezze al sole!
La metafora della barca è la metafora della vita. Tutto passa e prima o poi siamo richiamati a bordo! Questo è il contesto dei contesti. Godiamoci la passeggiata sulla spiaggia!
Questa cosa in realtà Giulio l’ha rubata para para ad Epitteto, il filosofo stoico. Gli feci la grazia di assentire in silenzio mentre strisciavo la mia carta sul pos.
