Il mio nome è Nessuno

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Dare un nome alle cose è il terzo principio del dialogo interiore (qui il primo, qui il secondo). Nominare è la naturale conseguenza degli altri due principi, ma è anche tra i più profondi meccanismi della nostra mente.

Sapersi parlare dando il nome giusto alle cose è il segreto del dialogo interiore.

Mi sono accorto presto dell’importanza di questa attività per lo sport, durante una mezza maratona. Quando ero giovane e mi allenavo sulle strade dei Castelli romani venne il momento di correre la mia prima Roma Ostia. Mezza maratona che parte dal Palazzo dello sport dell’Eur e si conclude sul Mare di Roma.

Tutti mi avevano messo in guardia: occhio al salitone!

Durante la gara mi tenni guardingo in attesa di questo temuto salitone. Quando vidi il mare e cominciai a sentire le voci dello speaker chiesi ad un concorrente che avevo appaiato: ma il salitone quando arriva? Quello mi guarda incredulo, forse pensando che lo stessi prendendo in giro, e mi risponde con un refolo di voce: è finito al campeggio, da qualche chilometro.

La realtà è che il salitone era un leggero falsopiano e se il popolo dei podisti l’avesse chiamato con il giusto nome io non avrei concluso la mezza maratona con una buona riserva di energie che poi sono rimaste inutilizzate.

La cosa più importante è che, se avessi dato il giusto nome a quel tratto di strada, mi sarei goduto la gara senza attendere con ansia questo terribile momento.

Parlarsi e trovare il nome per le cose che abbiamo davanti è un processo archetipo di grande importanza.

Questa cosa del nome è tanto importante e viene tanto da lontano che è nelle pagine iniziali della Bibbia. Il Dio dei cristiani osserva l’uomo che dà un nome alle cose. Lo fa nella Genesi, il primo libro della Bibbia:

“Dio, il Signore, avendo formato dalla terra tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l’uomo gli avrebbe dato. L’uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi…” (Genesi 2:20-21).

Il passo è importante perché nel Libro sacro per ebrei e cristiani il dare il nome è un atto che lega la cosa al dominio di chi le assegna il nome. Per gli ebrei dare un nome significa prendere possesso delle cose. Dio osserva l’uomo che conosce il creato e ne prende possesso.

Anche nell’antica Grecia si credeva che una persona prendesse potere su un’altra persona apprendendone il nome.

C’è un fatto nell’Odissea, generalmente sottovalutato o frainteso. Ulisse, che dà un nome falso a Polifemo, facendosi chiamare Nessuno. Generalmente si commenta l’avventura di Ulisse apprezzandone la furbizia: quando i ciclopi chiederanno a Polifemo chi gli avesse combinato quello scherzo, il gigante risponderà Nessuno. I compagni non potranno aiutarlo e cadranno in confusione.

Ma c’è un altro aspetto, più profondo, che va considerato: Ulisse, non è soltanto furbo. Il fatto è che tacendo il suo vero nome al Ciclope, l’eroe si sottrae alla forza del gigante: sottrae il suo nome, la sua intimità, al potere di Polifemo. L’esito delle due intepretazioni è lo stesso, ma la ragione della seconda lettura è rivolta alla sostanza del fatto. Non conoscendone il nome, Polifemo non ha nessun potere su Ulisse.

Conoscere il nome significa conoscere intimamente la cosa.

Nel medioevo si usava l’adagio nomen omen: il nome contiene il destino dell’uomo e Giustiniano si spingeva ad affermare una stretta relazione tra nomi e cose: nomina sunt consequentia rerum. I nomi sono una conseguenza delle cose.

Studiare il nome da dare alle cose non è un esercizio linguistico, ma un elemento importante del dialogo interiore che ci collega intimamente a fatti e cose. Dinanzi ad una difficoltà o ad un successo spesso è utile fermarci un attimo per decidere come chiamare le cose e collocarle nella loro giusta dimensione, il loro nome sarà il loro destino.

Così, se sbaglio un concorso non mi dirò che è un fallimento, ma un insuccesso. Se vinco il premio come miglior servizio del circolo di tennis non è un trionfo, ma un riconoscimento.

In fondo una cosa è certa: nella vita troveremo tanti salitoni, diamo un nome che preoccupa soltanto alle realtà che lo fanno realmente e questo ci aiuterà ad affrontarle.

D’altra pare i nostri successi sono effimeri e chiamarli con il giusto nome significa goderceli per quello che sono.

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