2025: anno distopico

Il 2025 non sarà un anno come tutti gli altri. Il 2025 sarà un anno distopico.

Distopico è un aggettivo formato dal prefisso greco δύς, (dys): che significa “male”, “cattivo”, “difficile” o “anormale” e dal sostantivo τόπος, (topos): “luogo”, “posto”. Un esempio di opera distopica è 1984 di Orwell. Il contrario di Distopia è Utopia, un non-luogo nel quale si colloca la società perfetta, come La Città del sole di Campanella e il testo di Thomas More che è comunemente noto proprio con il titolo di Utopia.

Non siamo abituati alla distopia, abbiamo sempre preferito l’utopia. Lo spirito utopico ha pervaso la nostra civiltà fino ad oggi: ci siamo sempre attesi un mondo migliore e abbiamo tentato di costruirlo. Siamo come una squadra abituata a disputare il suo campionato nei primi posti, ora costretti a lottare per la retrocessione. Non abbiamo le categorie culturali per farlo.

L’Utopia nasce con la Repubblica di Platone, prosegue con la cultura millenarista giudaico cristiana, passa per l’Umanesimo, il Rinascimento, lo slancio gotico, il secolo dei lumi, persino il marxismo, pur fondato sul materialismo storico, aveva in sé un afflato utopico, per non parlare del positivismo.

Nel recente passato il treno delle aspettative utopiche e dei progetti utopistici è stato ostacolato soltanto dal nichilismo del dopo Nietzche, e dall’orrore del nazismo, che ha messo l’umanità di fronte al male assoluto, contrapposto alla, fino allora considerata inarrestabile, marcia del progresso e del benessere.

Insomma, l’utopia disegnava i sogni ed in qualche modo li incarnava, mentre la distopia rappresentava gli incubi da esorcizzare, non c’è da meravigliarsi se abbiamo preferito la prima. Le due tensioni avevano però una traiettoria comune: correvano parallele alla realtà, senza mai toccarla.

Non sempre però. Tra tutti, ci sono due grandi libri che hanno segnato la sottile linea tra distopia e realtà:

  • 1984” di George Orwell: Una società totalitaria in cui il governo controlla ogni aspetto della vita e manipola la verità ( la Fattoria degli animali forse è anche più profonda, ma parlando di una fantomatica comunità animalesca è certamente meno calzante di 1984). Non è un mistero che 1984 e la Fattoria degli animali siano parodie ispirate al sistema sovietico.
  • Fahrenheit 451” di Ray Bradbury: ci racconta di un mondo dove i libri sono vietati e bruciati per mantenere l’ordine sociale. Senza andare al medioevo, ricordiamo che sia il nazi-fascismo che il comunismo hanno bruciato libri.

C’è dell’altro. Il genere distopico ha sempre disegnato un mondo collocato cronologicamente nel futuro indeterminato, ma osservato con gli occhi del presente o del passato.

Significativa è l’opera Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale) di Margaret Atwood (1985). Sebbene la Repubblica di Gilead in “Il racconto dell’ancella” sia un’ambientazione futura distopica, Atwood si ispira a eventi storici passati per creare il suo mondo, in particolare fa riferimento alle teocrazie e alle società puritane del passato. La società in Gilead è una teocrazia totalitaria che sfrutta il controllo delle donne e la loro riduzione a strumenti di procreazione, un tema che richiama il passato storico di sottomissione femminile.

Atwood si ispira anche a eventi storici come la caccia alle streghe e la schiavitù per esplorare come le società possano regredire a sistemi oppressivi. L’ambientazione è futuristica, ma riflette una distopia retrospettiva basata su dinamiche storiche passate.

La stessa cosa può dirsi della fortunata serie televisiva Radici (Roots), basata sul romanzo di Alex Haley del 1976, che racconta la storia della schiavitù afroamericana attraverso le generazioni della famiglia Kunta Kinte. Pur essendo storicamente ancorata agli eventi reali della schiavitù e del razzismo, l’ opera può essere vista come una distopia storica.

Radici è importante nella nostra ricostruzione perché parla di una società, collocata nel passato, che viene letta con le caratteristiche comuni a molte opere distopiche, ma che, drammaticamente, rappresentano alcuni tratti del nostro presente.

E’ facile individuare le cararistiche peculiari di Radici e la loro attinenza con la nostra stretta attualità:

  • La serie Radici esplora una società in cui i neri vengono ridotti a oggetti di proprietà e privati della loro identità culturale e personale.
    Nonostante la violenza e l’oppressione, i protagonisti della serie lottano per la libertà e la dignità, cercando di preservare la loro cultura e il loro spirito umano.
  • Il traffico dei neri dall’Africa, le morti nel Mediterraneo, la condizione di clandestinità nella quale si trovano i non-cittadini che sbarcano illegalmente in Europa, il capolarato che li relega a schiavi pagati con quanto è necessario alla loro sussistenza minima sono condizioni talvolta ancora peggiori di quelle del primo traffico di neri verso l’Europa e il Nuovo continente.
  • La saga della famiglia Kinte si svolge in diverse generazioni, e mostra come l’oppressione, il razzismo e la discriminazione siano sistemi ciclici che si tramandano nel tempo, creando una sorta di distopia che si perpetua attraverso le ere.
  • Radici sembra più attuale oggi di quando è stata pubblicata. In questo ci fornisce un ulteriore indizio dell’imminenza di un periodo in cui distopia e realtà tendano a coincidere. Nella nostra concretissima epoca, sono rari i casi di immigrati di seconda o terza generazione che ce la fanno. Le condizioni di vita di chi vive nelle banlielue francesi e nelle periferie europee raccontanto storie di marginalità di nascità, difficoltà di accesso ad istruzione e opportunità, delinquenza come strada più facile da percorrere. Il viaggio del capostipite su una nave di mercanti di schiavi non è lontano da quello al quale si sottopongono spontaneamente molti esuli proveniente dall’Africa e dall’Oriente.

Perché la distopia ci affascinava, ma ci appariva comunque come un mondo lontano che non ci sarebbe mai toccato in sorte?

Possiamo rispondere a questa domanda utilizzando vari registri: dalla teoria dei giochi, all’inconscio collettivo di Jung. Sta di fatto che abbiamo sempre avuto una minima fiducia nell’umanità e nei governanti: non saremmo mai arrivati al punto di farci veramente male e l’incubo, recente, delle due guerre mondiali, della bomba atomica e dell’olocausto non si sarebbe mai ripetuto. Tutto questo fino a che è rimasta in vita la generazione di Auschwitz e di Hiroshima.

Tutto questo fino ad oggi.

Il 2025 rischia di essere l’anno nel quale le linee tra utopia e distopia si incrociano concretamente nella storia.

Per comprendere il destino che rischiamo di correre conviene analizzare le caratteristiche specifiche di un’opera di genere distopico, infine rifletteremo sui possibili esiti di questo incontro tra realtà e finzione.

Società totalitaria o oppressiva

  • La distopia letteraria e cinematografica si basa spesso su un governo autoritario o una struttura sociale oppressiva che limita la libertà personale, la libertà di pensiero e la possibilità di cambiamento. Può trattarsi di un regime fascista, comunista, teocratico, o di una corporazione che controlla ogni aspetto della vita dei cittadini. Il controllo può essere esercitato tramite la sorveglianza massiva, la manipolazione mentale, il lavaggio del cervello, o la violenza sistematica.
  • Nel nostro mondo, persistono al potere di personaggi come Putin, Kim Jong-un, Xi Jinping, che al di là della non troppo opinabile qualifica di dittatore, possiamo definire oggettivamente autoritari. Tuttavia nel 2024 si sono svolte consultazioni elettorali in Francia, Germania, Giappone, Austria, Stati Uniti, Belgio, Unione Europea: in tutti questi paesi si è registrata una crescita considerevole dei partiti forti, che hanno fondato la propria propaganda su un sistema ristrettivo di spazi considerati un abuso di libertà e democrazia. Donald Trump, che fino a qualche mese fa, nella vecchia Europa veniva dipinto come un guascone ed un gaffeur adesso appare come modello di Presidente non-di tutti, ma di parte, contro e non per, il resto dei cittadini. La condizione dei giornalisti nel mondo è spesso contrassegnata da censure, repressione e limitazioni della libertà di espressione. Mentre scrivo queste righe è stata comunicata la notizia dell’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala in Iran.

Decadenza o distruzione dell’ambiente, nonostante una forza tecnologica mai avuta nella storia.

Molti romanzi distopici sono ambientati in un mondo che ha subito un collasso ecologico, con inquinamento, guerre nucleari, siccità o altre catastrofi ambientali che hanno reso la vita difficile o insostenibile. L’ambiente è spesso degradato e pericoloso, fioriscono le descrizioni di città fatiscenti, terre desolate e risorse naturali esaurite. Il film Siccità ha portato il problema nel cuore della nostra civiltà millenaria, Roma. Tuttavia, in tutti questi scenari, la forza tecnologica è superiore a quella che sperimentiamo nei nostri giorni.

In altri casi, la distopia può essere il risultato di una tecnologia fuori controllo che ha danneggiato irreparabilmente il pianeta.

Basti pensare al film Blade Runner (1982) nel quale l’inquinamento e la decadenza urbana sono evidenti in ogni scena. La tecnologia fuori controllo (in particolare la creazione dei replicanti) ha avuto effetti negativi sull’ambiente e sull’umanità stessa, creando una società opprimente e alienante.

Il pianeta di Blade Runner offre un paesaggio degradato e inquinato, dove le grandi città sono sovraffollate, coperte da smog e dominate da elitè e trust economico finanziari. La tecnologia ha avuto effetti devastanti sull’ambiente e la Terra è diventata inospitale. La società è segnata da un forte dislivello sociale e un controllo tecnologico che ha portato alla creazione di replicanti, esseri artificiali progettati per servire l’umanità.

La tecnologia, che potrebbe essere un mezzo di controllo o oppressione, è spesso utilizzata in modo pervasivo. In molti romanzi distopici, la sorveglianza digitale è onnipresente, e le persone sono monitorate 24 ore su 24, sia a livello fisico che mentale.

Nel 2024 abbiamo assistito a tre fenomeni che saranno sviluppati ulteriormente nel 2025:

a) il ruolo dei grandi magnati tecnologici americani a sostegno di Donald Trump. Tra tutti Elon Musk il quale gode di un patrimonio pressochè illimitato e del controllo di una rete di satelliti in grado di spegnere la luce a gran parte delle comunicazioni e delle reti militari del pianeta. La commistione tra potere politico, controllo tecnologico e disponibilità di ingenti risorse economiche è soltanto ipostatizzata nella figura di Musk;

b) le guerre combattute non più attraverso la fanteria (XIX secolo) o l’aviazione (XX secolo), ma con l’ausilio determinante di apparati tecnologici come i droni, i quali non contemplano rischi di perdite umane o economiche significative e rendono impari la lotta tra chi sacrifica vite umane e chi può acquistare armi avanzate. Emblematico l’episodio in cui i servizi segreti istraeliani, infiltratisi nella produzione di meccanismi obsoleti ma ritenuti al riparo da interferenze come i cercapersone, hanno fatto saltare in aria contemporaneamente molti esponenti libanesi di Hezbollah. L’immagine di un leader di Hamas, Yahya Sinwar, il quale, in uno scenario di devastazione bellica, viene scovato da un drone e inquadrato mentre cerca di colpirlo con il suo bastone può tranquillamente essere la scena di un film distopico ;

c) la presunta svolta ecologica che ha di fatto spostato la centralità del controllo sugli idrocarburi sul controllo delle terre rare e che ha prodotto devastazione e sfruttamento nei paesi africani in cambio di minori emissioni nei centri urbani dei paesi più sviluppati;

Classe sociale rigida e disuguaglianza

In molte distopie, la società è divisa in classi rigidamente definite, con una élite privilegiata che detiene il potere, le risorse e il controllo, e una massa oppressa che vive in miseria, ignoranza o sfruttamento. La mobilità sociale è praticamente impossibile.

La disuguaglianza può essere esacerbata da una distribuzione iniqua delle risorse, come cibo, acqua, energia o accesso alla tecnologia.

Oltre alla repressione fisica, i distopici spesso trattano anche il tema della manipolazione psicologica.

Ancora una volta l’opera regina di questo paradigma è 1984.

Nel mondo di Oceania, la società è governata da un regime totalitario che esercita un controllo assoluto su ogni aspetto della vita, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. La figura centrale di questo potere è il Partito e il suo leader, Big Brother, che è onnipresente e fa sentire ogni cittadino sotto costante sorveglianza. La manipolazione psicologica è il fondamento del regime: attraverso strumenti come la neolingua (un linguaggio progettato per limitare il pensiero) e il Ministero della Verità (che riscrive continuamente la storia per adattarla agli interessi del Partito), il governo induce la popolazione a credere nella falsità e a rinunciare alla propria capacità di pensare in modo indipendente.

Oltre al solito Matrix il modello controllo tecnologico/potere assoluto viene affrontato nel film Minority Report (2002) di Steven Spielberg. In un futuro dove la polizia può arrestare le persone prima che commettano un crimine, grazie a un sistema di pre-crimine che usa “precognitivi” in ammollo (persone che vedono il futuro), il protagonista, John Anderton (interpretato da Tom Cruise), è un membro della polizia che scopre di essere stato accusato di un crimine che non ha ancora commesso.

Il protagonista: Anderton è un uomo che crede fermamente nel sistema, ma quando diventa il sospettato di un crimine futuro, comincia a dubitare del sistema stesso. Inizia a lottare contro un regime che manipola psicologicamente la percezione del crimine e cerca di manipolare la sua realtà. Qui troviamo i grandi temi del transumanesimo e del controllo tecnologico delle azioni, anche future.

Le curve Wealth over people (WOP) descrivono in maniera chiara la distribuzione della ricchezza di una nazione e della ricchezza nel mondo. In questo sistema il modello distopico per eccellenza è chiamato “tirannia perfetta”. Inizia a sinistra alla massima ricchezza del Tiranno (100%). Quindi scende immediatamente a zero a p = 2 e continua a zero in orizzontale su tutto il resto della popolazione. Il tiranno e i suoi amici possiedono tutta la ricchezza della nazione.

Non siamo lontani da questo modello in molte nazioni. La stessa ricchezza mondiale è distribuita in una piramide così congegnata:

a) metà della ricchezza netta del mondo appartiene all’1% superiore,

b) il 10% superiore degli adulti detiene l’85%, mentre il 90% inferiore detiene il restante 15% della ricchezza totale del mondo,

c) il top 30% degli adulti detiene il 97% della ricchezza totale.

La promessa di ordine e sicurezza

La distopia è spesso descritta come un’utopia negativa, cioè un mondo che inizialmente sembra ideale o perfetto, ma che nasconde gravi problemi.

Ad esempio, un governo può giustificare il suo controllo con la promessa di sicurezza e ordine, ma alla fine si rivela nelle sue caratteristiche di assolutismo che non tollera opposizioni.

La distopia può anche rappresentare la perdita di libertà a favore di una falsa promessa di felicità collettiva.Nel romanzo The Giver di Lois Lowry (1993) la società sembra perfetta e senza conflitti. I cittadini vivono in una comunità apparentemente utopica, dove ogni aspetto della vita è regolato per garantire armonia e sicurezza. Non ci sono emozioni forti, né dolore, e ogni persona ha un ruolo ben definito. I cittadini sono mantenuti nella ignoranza riguardo al mondo esterno e alle emozioni autentiche, e la controllo sociale è esercitato da un gruppo di Anziani che dirigono la comunità. In questa comunità ideale la libertà individuale è sacrificata per mantenere il controllo. Le persone sono private della capacità di scegliere, delle emozioni vere e della possibilità di sperimentare la vita autentica. Il protagonista, Jonas, scopre questa verità quando inizia a ricevere ricordi dal Giver, l’uomo incaricato di trasmettere la memoria storica e le emozioni.

Nel romanzo The Giver di Lois Lowry (1993) la società sembra perfetta e senza conflitti. I cittadini vivono in una comunità apparentemente utopica, dove ogni aspetto della vita è regolato per garantire armonia e sicurezza. Non ci sono emozioni forti, né dolore, e ogni persona ha un ruolo ben definito. I cittadini sono mantenuti nella ignoranza riguardo al mondo esterno e alle emozioni autentiche, e la controllo sociale è esercitato da un gruppo di Anziani che dirigono la comunità. In questa comunità ideale la libertà individuale è sacrificata per mantenere il controllo. Le persone sono private della capacità di scegliere, delle emozioni vere e della possibilità di sperimentare la vita autentica. Il protagonista, Jonas, scopre questa verità quando inizia a ricevere ricordi dal Giver, l’uomo incaricato di trasmettere la memoria storica e le emozioni.

Forse The Giver è la distopia apparentemente più lontana dal 2025. La realtà dimostrerà che è la più vicina.

Nessun Governo distopico si presenta come tale.

La nuova ondata di voti e di scelte dei cittadini ha premiato le forze politiche che fondavano la loro proposta esattamente su un nuovo senso di “armonia e sicurezza”, sostanzialmente fondato sulla rimozione della memoria storica, sulla chiusura dei confini e di fatto sulla cristallizzazione delle classi sociali.

In questo mondo perfetto non c’è spazio per la libertà individuale quando questa travalichi i confini del nuovo ordine: famiglie tradizionali, identificazione etnica con una presunta stirpe autoctona, difesa di una rosa di valori contrabbandati come specifici della società/nazione che si vuole difendere dalla contaminazione. Il diverso, il non allineato, il non patriota è identificato come pecora nera, traditore della collettività, connivente con il nemico. Se tutto deve funzionare per il meglio tutti debbono stare al loro posto.

Prospettive eu-topiche

“Ciò che narro è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà avvenire in modo diverso: l’avvento del nichilismo. Questa storia può essere raccontata già ora; poiché qui è al lavoro la necessità stessa. Questo futuro già parla in cento segni, questo destino si annuncia dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie già sono tese. Tutta la nostra cultura europea già da lungo tempo si muove con la tortura della tensione, che cresce di decennio in decennio, come se andasse verso una catastrofe: inquieta, violenta, precipitosa: come un fiume, che vuole arrivare alla fine, che non si ricorda più, che ha paura di ricordare”.

Nietzsche, La volontà di potenza

Il testo noto come “La volontà di potenza” (“Der Wille zur Macht”) è una raccolta postuma di appunti che Nietzsche scrisse negli anni compresi tra il 1883 e il 1888, raccolti e pubblicati in seguito dalla sua sorella Elisabeth Förster-Nietzsche e da altri editori, dopo la morte del filosofo nel 1900.

Oggi ci separano una cinquantina di anni dalla conclusione della profezia distopica del caro vecchio Nietzsche.

Fortunatamente viviamo in un’epoca accelerata, che insieme al disastro distopico ci prospetta una via di uscita piuttosto concreta.

Il 2025 sarà l’anno in cui i concetti di ordine e sicurezza saranno invocati a forza come giustificazioni per il controllo autoritario e la repressione delle libertà individuali e collettive, o, semplicemente, per mettere in un angolo le opposizioni, dipinte come amiche dei migranti irregolari, del disordine, sovvertitrici dell’ordine sociale tradizionale, antipatriote. Bisognerà vedere se le forze antagoniste sapranno evitare che si superi il punto di non ritorno e se le società occidentali avranno ancora gli anticorpi necessari alla reazione contro un nuvo secolo buio.

La produzione delle opere fantastiche del genere distopico ci suggerisce il punto in cui ogni sistema anti umanitario si rompe: ciò avviene quando la promessa di un’utopia collettiva, che maschera un totalitarismo fondato sull’ordine e l’armonia, si scontra contro il rispetto della libertà individuale e dei diritti umani dei più. In quel preciso momento nasce l’eroe, nasce la reazione.

L’eroe antidistopico nasce quando un individuo, inizialmente conformista o rassegnato, prende coscienza delle ingiustizie del sistema che lo opprime. Questo risveglio di consapevolezza spesso scaturisce da un evento traumatico, un incontro con una verità scomoda o una violazione dei suoi diritti fondamentali, con il male perpetrato ai danni dei suoi cari.

Da lì, l’eroe inizia la sua lotta per la libertà, opponendosi a un regime che promette ordine e sicurezza ma che, in realtà, limita la libertà e l’autodeterminazione. Esempi emblematici sono Winston Smith in 1984, Tris Prior in Divergent e V in V for Vendetta.

Più pop, ma con la stessa forza, sono le maschere di Zorro o Robin Hood.

Le donne iraniane che stanno uscendo di casa senza velo o con una copertura soltanto parziale del capo sono un classico modello di eroine collettive. L’insorgere di queste figure segna la fine della distopia.

Le utopie negative, come quelle già descritte da Orwell, Huxley e altri, evidenziano il pericolo insito nell’adozione di un modello di giustizia sociale che ignora o sopprime la pluralità e la diversità dei soggetti umani. La razionalizzazione della vita collettiva in funzione di un apparente bene comune può condurre alla standardizzazione e alla omogeneizzazione della società, dove il valore dell’individuo viene sacrificato sull’altare di un’illusoria perfezione sociale. Quando le masse, che pure reclamano ordine, armonia, governi forti e in qualche caso liberticidi, prendono coscienza del semplice fatto che la libertà non è un elemento accessorio, ma la condizione per la realizzazione dell’individuo e della comunità, come ci insegna la filosofia politica da Kant a Rawls, da Aristotele a Habermas, lì in quel momento ogni organizzazione sociale distopica cade.

Purtroppo, nel frattempo, passano anni di oscurità, si commettono crimini, si cancella la memoria e maggiore è il controllo tecnologico da parte delle elité e più è difficile sovvertire l’ordine.

Ma l’ordine è sempre sovvertito perché l’archetipo dell’eroe è incarnato dalla collettività.

Ecco allora che la filosofia, se non può sovvertire l’ordine distopico senza l’incarnazione di una figura eroica, è chiamata ad una riflessione pratica che non immagini una utopia, ma una eu-topia, un buon posto nel quale vivere. Subito.

Xronos e topos in questo caso vanno a braccetto. Nessuna collettività è più disposta a credere nella salvezza futura e lontana.

Bisogna costruire un buon posto subito. Bisogna renderlo appetibile attraverso la categoria immanente della speranza.

Per far questo è necessario infilarsi nelle contraddizioni e risolverle dialetticamente, senza scorciatoie, ma neanche affidandoci a percorsi lunghi e tortuosi. Bisogna evitare un attraversamento del deserto nel mentre le élite restano élite e gli altri continuano a star male.

L’ eutopia riconosce la differenza, non la nasconde e non l’assimila, promuove la partecipazione attiva di ogni individuo nella definizione del bene comune. In questo senso, una vera democrazia deliberativa, come teorizzata da Jürgen Habermas, rappresenta un modello in cui la comunicazione libera e razionale tra i cittadini è la base per la costruzione di una buona società.

La soluzione non risiede nell’opposizione radicale tra libertà individuale e benessere collettivo, ma in una sintesi dialettica che riconosca la relazione interdipendente tra questi due concetti. Comunismo e liberismo sono categorie inadatte a descrivere il mondo distopico.

Il punto da ricercare per la politica e la filosofia politica è quello che teorizza una governance forte, ma trasparente, fondata sulla partecipazione inclusiva e sulla deliberazione etica, che abbia la forza di regolamentare il progresso tecnologico e sociale sottraendolo non solo alla tentazione, ma alla possibilità stessa di essere strumento di dominio e manipolazione.

La libertà in questo conosce dei limiti: non si è liberi di mettersi nelle condizioni di monopolio su aspetti importanti e decisivi della vita collettiva. La tecnologia in genere, l’energia, i mezzi di comunicazione debbono essere regolamentati da un Governo mondiale.

Il compito dei filosofi e sociologi contemporanei è quello di elaborare teorie che non solo critichino le dinamiche di potere, ma propongano anche modelli praticabili di convivenza in cui il bene collettivo non sia mai separato dalla libertà e dalla dignità dell’individuo e dall’accesso, senza restrizioni, ad una informazione plurale.

L’aspetto centrale della riflessione deve riguardare proprio il ruolo della tecnologia nella società. Le innovazioni tecnologiche, pur essendo potenti strumenti di progresso, non possono essere pensate separatamente dalla giustizia sociale. La loro applicazione deve essere sempre orientata da principi etici che pongano al centro la autonomia e l’emancipazione dell’individuo, evitando che la tecnologia diventi un mezzo di controllo psicologico e sociale. Secondo alcuni, anche chi scrive è della stessa idea, il potere tecnologico va regolamentato e controllato da una governance planetaria. L’ONU, così come è, oggi è un inutile carrozzone. Va sostituita con una società tra le nazioni che abbia un potere effettivo e condiviso.

Il punto centrale però è quello dei principi etici, non solo in una società pluralista, ma nella composizione di società e culture ad oggi inassimilabili.

Il controllo da parte di alcuni magnati dei social e dei mezzi di comunicazione e la martellante propaganda del mainstream ad altre latitudini hanno prodotto verità diversificate per comunità che ritengono legittimamente di essere nel giusto.

Se non pensiamo che chi vive in un altro Paese, con una comunicazione e una informazione diversa dalla nostra, abbia tutto il diritto di ritenersi nel giusto rispetto a noi, non costruiremo ponti, ma continueremo a fare guerre.

Parlare oggi con un russo o un ucraino, con un istraeliano e un palestinese significa confrontarsi con realtà forti, consolidate, giuste, per le diverse parti in causa, ciascuna detentrice di una propria verità che confligge con la legittima verità dell’altro.

Esiste certamente una verità, ma ognuno pretende a ragione di avere la sua. La logica potrebbe aiutare con una semplice considerazione: da premesse diverse scaturiscono conseguenze diverse.

La comunicazione non può essere censurata, ma anche qui vanno imposte regole di governance internazionale che garantiscano l’accesso alla comunicazione e all’informazione plurale. Nel frattempo ci vuole rispetto.

Nazioni teocratiche come l’Iran e l’Afghanistan o etnico-teocratiche come Israele non costruiscono società eutopiche perché hanno esasperato il principio di appartenenza a valori che dal loro punto di vista sono oggettivamente non negoziabili. Vanno allora messe nelle condizioni di non nuocere. Non possono essere integrate anche in un’ottica pluralista, ma possiamo fare in modo che si disarmino e che i propri cittadini prima o poi si autodetermino nel senso di una apertura alla diversità.

Debbono fiorire Stati Neutrali laddove c’è una contesa internazionale dei territori: Crimea, territori occupati da Israele, molti territori africani, debbono essere presidiati militarmente da paesi terzi e guidati alla neutralità e a modelli di convivenza etnica. Anche qui non si tratta di esportare la democrazia, ma, al contrario, di fare in modo che su una terra contesa non ci sia guerra e che quella terra, in qualche modo, appartenga a tutti e nessuno.

Il minimo comune denominatore in questo momento può essere relativamente a buon mercato: perché per me ci sia pace deve esserci pace per te.

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