Don Milani e il rifiuto dell’esame orale

“Un ragazzo che esprime opinioni su cose più grandi di lui è un imbecille. Non deve avere soddisfazione. A scuola si va per ascoltare cosa dice il maestro.”

Questa frase, tratta da Lettera ad una professoressa, sarà indigesta per chiunque abbia una visione romantica di Don Lorenzo Milani come precursore del ’68 e paladino della scuola antiautoritaria. Ma è proprio così che scrivevano i ragazzi di Barbiana sotto la supervisione del prete ormai alla fine della sua esperienza.

Puf, demolita con poche parole ogni retorica pedagogica.

Ce ne sono altre di citazioni che farebbero sobbalzare chi invoca a vanvera il nome di Lorenzo Milani senza aver mai davvero letto Lettera ad una professoressa:

“Noi per i casi estremi si usa anche la frusta. Non faccia la schizzinosa e lasci stare le teorie dei pedagogisti… La sua penna lascia il segno per un anno, la frusta il giorno dopo non si conosce più.”

Bello schiaffo anche questo.

Siamo nel 1967, io ero già nato e qualche hanno dopo un paio di righelli sulle mani li ho buscati. Eppure è tutto lì, nero su bianco, in quella lettera che molti citano ma pochi hanno letto e molti pochi hanno interiorizzato. A scuola si va per imparare, con le buone o con le cattive, perché se è vero che è meglio stare a scuola che spalare la merda delle stalle, i figli dei contadini una cosa l’hanno capita bene: imparare è la loro unica strada di redenzione. Non possono permettersi di scaldare i banchi.

Il caso dell’orale rifiutato: cosa direbbe Don Milani?

Fortunatamente nessuno, almeno che io abbia letto, ha osato tirare in ballo Don Lorenzo Milani nel caso dei ragazzi che si sono rifiutati di svolgere l’esame orale di maturità, avendo già in tasca la promozione. Perché sarebbe stato imbarazzante, considerando cosa pensava davvero il prete di Barbiana della scuola e dell’impegno. Neanche io, ovviamente, so cosa avrebbe detto ai suoi ragazzi, quando, come ogni mattina, avrebbe dedicato due ore della sua scuola alla lettura del giornale.

La scuola di Barbiana era un’esperienza dichiaratamente non esportabile – per ammissione e orgoglio dello stesso Milani – ma qualche spunto di riflessione ce lo offre, eccome, proprio quella lettera ad una professoressa scritta dai ragazzi con lo zampino del prete ormai morente.

L’esame e le carrozze ferroviarie che parlano

Un passo centrale del testo è proprio quello dell’esame che i ragazzi di Barbiana dovevano sostenere come privatisti presso le scuole ufficiali del Mugello. Il tema della prima prova? “Parlano le carrozze ferroviarie”.

Le regole dello scrivere imparate a Barbiana erano semplici e rivoluzionarie. Personalmente penso che se riuscissi ad applicarle sarei uno scrittore migliore e, non mi permetto di fare nomi, tanti di quelli che oggi pubblicano fior di libri o addirittura sono titolari di scuole di scrittura dovrebbero metabolizzarle a vergate sulla schiena:

  • Avere qualcosa d’importante da dire, utile a tutti o a molti
  • Sapere a chi si scrive
  • Raccogliere tutto quello che serve
  • Trovare una logica per ordinarlo
  • Eliminare ogni parola che non serve
  • Eliminare ogni parola che non usiamo parlando
  • Non porsi limiti di tempo

Sull’ultima ho qualche riserva, ma il senso è che l’elaborazione finisce quando è finita, non quando è finito il tempo.

Ora il punto di nostro interesse per la vicenda d’attualità è: di fronte a quella traccia assurda che mette un ragazzo dei monti a parlare con una carrozza ferroviaria, che fare? Lo scolaro di Barbiana ci riflette sopra con una lucidità disarmante:

“Ma davanti a quel tema che me ne facevo delle regole umili e sane dell’arte di tutti i tempi? Se volevo essere onesto dovevo lasciare la pagina in bianco. Oppure criticare il tema e chi me l’aveva dato. Ma avevo quattordici anni e venivo dai monti. Per andare alle magistrali mi ci voleva la licenza.”

Il rigore come lusso: non tutti possono permetterselo

Ecco quindi che ora abbiamo i due punti che andrebbero citati a proposito del caso dei ragazzi che hanno rifiutato l’orale della maturità se vogliamo almeno avvicinarci a cosa ne avrebbe pensato Don Lorenzo Milani:

Primo punto: La scuola deve essere rigorosa. Imparare è un lusso e si va a scuola per imparare. Con rigore. Le opinioni si esprimono dopo aver ascoltato il professore, dopo aver studiato, dopo essersi fatti rigorosamente un’idea. La scuola di Barbiana durava dodici ore al giorno, sette giorni a settimana, senza ricreazione e senza vacanze.

Alcuni esegeti, oggi, si aggrappano all’idea che alla scuola dell’obbligo tutti debbano essere promossi, al “sei politico”, come se fossero frutti di quella stagione. Non è così. Tutti devono studiare ed essere messi nelle condizioni di farlo, tenendo però conto delle differenze, perché “non c’è maggiore ingiustizia che fare parti uguali tra diversi“.

Quando si arriva all’università, quando la competenza specifica diventa importante, la selezione è doverosa: per le patenti siate severi, non vogliamo essere falciati per le strade. Lo stesso per il farmacista, il medico, l’ingegnere. Ma bisogna essere attenti allo scopo: non bocciate l’autista perché non sa la matematica o il medico perché non sa i poeti.

Secondo punto: L’esame come “fogliuccio in mano a cinque estranei”. C’è tutto in questa immagine: l’idea di un esame astratto, scritto da persone che non sanno nulla del ragazzo che lo ha compilato e delle regole imparate alla scuola di Barbiana, regole che certo non servono a svolgere quel tema surreale.

La contestazione che non paga: quando il coraggio diventa comodità

Il ragazzo di Barbiana aveva tre alternative: rifiutarsi di scrivere, contestare il tema e chi lo aveva proposto, o sottoporsi all’esame. Scelse la terza perché “avevo quattordici anni e per andare alla magistrale mi ci voleva la licenza“.

Ecco il punto cruciale della contestazione: è moralmente credibile solo se si paga. Se hai già in tasca il 60, se la promozione è garantita, allora la protesta ci fa simpatia, ma diventa qualcos’altro. Diventa, usando le parole di un registro che userebbe oggi Don Milani, “da fichetti borghesi”.

Fichetti simpatici, che hanno le loro sacrosante ragioni, ma fichetti. Perché la vera contestazione richiede coraggio, non comodità. Richiede di rischiare qualcosa di importante, non di fare la scena avendo già in tasca il premio. Richiede rispetto per chi sceglie di sostenere la prova, altrimenti gli tocca tornare a spalare merda.

L’eredità (scomoda per tutti) di un prete rivoluzionario

Don Milani ci lascia un’eredità scomoda, scomoda per tutti. Per progressisti e per conservatori, per autoritari e democratici. La scuola deve essere rigorosa proprio per essere giusta. Non c’è vera giustizia sociale senza competenza, non c’è vera ribellione senza preparazione. E anche non c’è vera contestazione senza il coraggio di pagarne le conseguenze. La reazione del ministro Valditara: dal prossimo anno chi non sostiene l’orale sarà bocciato è la reazione autoritaria e stupida ad un gesto ingenuo e altrettanto stupido che non porta a nulla.

Oggi i ragazzi di Barbiana sono figli di immigrati, gente ai margini della possibilità di ricevere una preparazione adeguata. Ma ci sono anche ragazzi che non hanno problemi economici, un telefonino che costa come lo stipendio mensile di un insegnante e che passano la giornata a scrollare.

Altro che spalare merda. Divano.

Siamo sicuri che per questi ultimi una sana e non tanto metaforica vergata non sia più utile?

Gli altri, quelli ai margini, debbono essere rigorosi, debbono studiare, debbono essere meglio del fichetto con l’Iphone e non possono permettersi di fare scena muta all’orale, forse perché strappare un buon voto in quella interrogazione assurda è l’unica possibilità che hanno per spingere il tasto dell’ascensore.

La scuola deve essere rigorosa anche nella selezione, man mano che si sale di grado. Non vogliamo essere falciati per strada, le patenti vanno date a persone che sanno e sanno fare. Questo rigore, anche selettivo, è a tutela degli “ultimi”, ma anche di quelli in seconda fila. Se tutti prendono la laurea in legge, Geronimo diventa presidente dell’Aci e tu, figlio di un operaio, fai la fila fuori dal tribunale, sperando che ti affidino una causa come avvocato d’Ufficio. Se vali più di Geronimo devi poterlo dimostrare ed essere messo nelle condizioni di partenza uguali a quelle del figlio di un avvocato. Per far questo hai bisogno di studiare dodici ore al giorno, sette giorni a settimana. Altrimenti torni a spalare merda, che oggi è fare un lavoro precario anche se hai il pezzo di carta, con uno stipendio che a stento di permette di mangiare. Se non c’è rigore non c’è ascensore sociale e questo, mi sento di dirlo, a Barbiana l’avevano capito.

Questo significa che i ragazzi abbiano avuto torto nelle loro proteste?

No, dal mio punto di vista hanno ragioni da vendere, hanno una ragione marcia. Marcia perché vero/falso, torto/ragione non sono gli unici criteri.

La scuola di Barbiana è una storia di redenzione, e forse, salvi/dannati sono categorie che oggi riguardano sempre più persone e interessano più dell’alternativa tra vero e falso. Quelli che già sono salvi non possono permettersi di negare a quelli che arrancano inseguendo i percorsi di salvezza che loro hanno già raggiunto per nascita. Tutto qui.

I ragazzi che hanno rifiutato l’orale di maturità hanno fatto una scelta legittima, ma chiamiamola con il suo nome: un gesto simbolico a costo zero, di nessuna utilità e di qualche danno. Don Milani, che mandava i suoi ragazzi a studiare dodici ore al giorno, che li preparava con feroce dedizione agli esami in cui metteva i propri amati studenti nelle mani di sconosciuti, che credeva nell’importanza del sapere come strumento di liberazione, probabilmente avrebbe storto il naso.

Ad essere sincero: non lo so e non posso dirlo, ma certo non mi va che sia arruolato gratis da una parte. Come nel caso di un altro prete, San Giovanni Bosco, il suo pensiero era molto concreto, estraneo ai vezzi intellettualistici.

Le teorie pedagogiche di Don Milani, come lui stesso conviene in vari passi delle sue innumerevoli lettere, non sono buone per tutti. Anzi, personalmente credo che oggi non siano per niente realizzabili, almeno nella forma che si è espressa a Barbiana.

Resta la sua eredità di fondo, l’attenzione e il rispetto per i ragazzi e la sua proposta di redenzione sociale e personale. Restano il rigore e un modello:

“a scuola si va per ascoltare cosa dice il maestro”… per imparare.

Poi, quando si è imparato, quando le cose non sono più grandi di noi, si contesta, si deve contestare. Ma dopo.

Tutto il resto, senza questo fondamento, rischia di essere solo una parentesi tra un post e un like.

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