COSA RESTERA’ DEGLI ANNI ’80

Perchè alleniamo ancora come 50 anni fa

Todo cambia, dice una stupenda canzone nobilitata da un bel film di Moretti su un papa schiacciato dalla sua responsabilità. Non cambia come dovrebbe il nostro modo di allenare.

Per anni le palestre sono state chiese dove si eseguiva la stessa liturgia: esercizi puliti, consegne chiare, sequenze ordinate, un gesto “perfetto” da inseguire. Un modello nato quando il mondo era più lento, più prevedibile, più indulgente. Il papa era il papa e gli atei erano gli atei. La geopolitica ci obbligava a convivere con due blocchi, separati dal muro di Berlino, non c’era internet, si andava a dormire alle 22 o dopo Carosello per i più piccoli.

Il mondo è cambiato. Sono cambiati anche elementi fondamentali della pallavolo e dello sport. Sono cambiati persino corpi, menti, ritmi, percezioni, relazioni. Todo cambia!

Ci sembra irreale, ma osserviamo la foto di una pallavolista degli anni ’80 e di una sua collega oggi: hanno corpi diversi.

Noi no, non cambiamo. Noi continuiamo ad allenare alla stessa maniera.

“Ciò che non si trasforma, si estingue.”

Allenare come negli anni ’80 significa proporre una pedagogia lineare a un mondo che non è più lineare. Un mondo che varia a 100 all’ora, contro un approccio stabile all’allenamento e all’apprendimento psico-motorio.
Dal mio punto di vista, senza troppi discorsi, cambiare approccio è anche un gesto rivoluzionario:
usare la palestra come luogo di dis-omologazione.

Mentre fuori impera un modello in cui si consuma, si replica, si obbedisce a meccanismi sempre più automatici, l’allenamento attento alle trasformazioni offre una via d’uscita:
un’esperienza che restituisce ai ragazzi la capacità di leggere, interpretare, scegliere.

Magari non saranno scelte che mi piacciono, ma saranno scelte, libere e personali.

Allenare i ragazzi al mondo che vivono non è solo una scelta tecnica.
È una presa di posizione culturale.

Il vecchio modello dell’allenamento sportivo in fondo era segnato da alcuni cardini:

dal semplice → al complesso;

dall’analitico → al sintetico;

dal lento→ al veloce;

la ripetizione → porta al gesto.

L’allenamento globale fu la prima rivoluzione, ma era comunque tutto fondato su una pedagogia del controllo.
Dell’omogeneità.
Della rassicurante illusione che il mondo funzionasse a compartimenti stagni.

Oggi tutto questo non basta. Non che quello che si faceva nel secolo scorso non fosse valido, anzi lo era e per certi versi lo è ancora. Non lo è abbastanza semplicemente perché questo modo di allenare rappresenta una pedagogia lineare applicata a un mondo non lineare.

Penso quindi che sia giusto modificare l’approccio soprattutto perché nel mondo del todo cambia sono cambiati i ragazzi. Me ne sono accorto quando sono tornato ad allenare le giovanili dopo il Covid ed ho constatato che i ragazzi hanno continuato a perdere le capacità coordinative, hanno una ridotta propensione a ripetere il lavoro, un esercizio non può durare più di tre o quattro minuti senza perdere di efficacia, sono allergici alle spiegazioni, vogliono il risultato ed il primo risultato che cercano è saper giocare.

Questo non significa che l’educatore debba “piegarsi”, ma che è evidente che a ogni figura di guida sia richiesta una attualizzazione di metodi e relazioni per poter interagire con i ragazzi. Al di là della banalizzazioni PNL su mappa e territorio dobbiamo centrare la nostra azione del profondo e non accontentarci che per qualche motivo gli atleti facciano come diciamo noi. Dobbiamo convicerli dell’efficacia delle loro scelte: questo lo dobbiamo a loro ed è utile a raggiungere il risultato educativo, fosse anche “solo” quello di un buon apprendimento psicomotorio.

Nel panorama delle proposte di aggiornamento dell’approccio al nostro mestiere di allenatori sportivi la cosa più convincente mi pare sia costituita dall’approccio ecologico.

Che cos’è davvero un approccio ecologico all’allenamento?

L’approccio ecologico all’allenamento parte da una constatazione brutale:

il gesto non nasce nella testa dell’allenatore, nasce nell’incontro tra l’atleta e l’ambiente.

La tecnica non è prescritta, emerge quando il sistema – corpo, mente, spazio, oggetti, regole – trova soluzioni efficaci a problemi reali.

Per questo un allenamento ecologico sposta il focus dalla “correzione del movimento” alla progettazione dell’ambiente.


I Quattro elementi chiave dell’ambiente ecologico

Perché un ambiente di allenamento sia davvero trasformativo, deve contenere quattro ingredienti strutturali:

variabilità, instabilità, vincoli, sovraccarico.

Variabilità

“Nessuna palla è uguale a quella che la precede. Nessun colpo è identico a un altro.”

Rafael Nadal

Todo cambia:

  • la traiettoria,
  • il tempo,
  • l’intensità,
  • l’avversario,
  • il grado di pressione.

La variabilità impedisce la cristallizzazione di un’unica soluzione motoria.
L’atleta non impara “il movimento corretto”, ma una famiglia di risposte possibili. L’allenamento al contesto aiuta questa propensione. Variare non significa
fare ogni volta una cosa diversa, ma offrire stimoli diversi alla stessa situazione. Una semplice ricezione, ma da battuta su plinto, top spin, float, da un atleta evoluto e da un principiante non è la “solita” ricezione, ma una ricezione in contesti variabili che obbligano scelte variabili. Sulla top spin di un atleta evoluto dovremmo smorzare l’impatto, sulla battuta dal basso di un under 12 dovremmo spingere la palla verso l’alzatore.

Ripetizioni, senza ripetere.


Instabilità

L’instabilità introduce un disequilibrio controllato. Si possono introdurre elementi che allenano attraverso l’instabilità con semplici accorgimenti:

  • posizione di partenza su meduse o su una gamba;
  • stimoli che arrivano in anticipo o in ritardo;
  • compagne che cambiano posizione;
  • regolazione soffusa delle luci in palestra;
  • palloni “sporchi” o parzialmente imprecisi.

L’atleta percepisce che la soluzione non è più sufficiente e sceglie una strada. È costretto a riorganizzare il gesto, il ritmo, la decisione. In questo contesto è utile anche la correzione attraverso l’iper errore. Se una atleta tende a poggiare troppo sui talloni nella posizione di attesa della ricezione facciamola ricevere seduta o in ginocchio…


Vincoli

I vincoli sono acceleratori di creatività motoria. Il solito Gray, nel suo testo Ottimizzare il movimento nello sport, specifica bene nel Glossario cosa intende per approccion guidato dai vincoli: in pratica l’approccio guidato dai vincoli può implicare la manipolazione dei vincoli per facilitare l’apprendimento e migliorare le prestazioni motorie. … l’obiettivo è creare un ambiente che fornisca feedback e stimoli pertinenti, consentendo all’individuo di sviluppare strategie motorie che si adattono a tali vincoli.

Ridurre lo spazio utile, limitare il numero di tocchi, modificare le condizioni di punteggio o il tipo di palla, chedere semplicemente di colpire un cono con un attacco:

  • impedisce di rifugiarsi nella routine,
  • obbliga a cercare traiettorie e tempi diversi,
  • rende ogni scelta più densa di significato motorio.

Sovraccarico

Qui non si parla solo di carico fisico.
Il sovraccarico ecologico è la condizione in cui:

la richiesta di forza e/o tempi di movimento sono aumentate in modo tale che è necessario muoversi in modo diverso.

Un esempio classico di sovraccarico che utilizzo per promuovere la risposta psico motoria dell’alzatore è farlo palleggiare con un pallone da basket o con una semplice palla zavorrata.

Il sovraccarico può essere prodotto attraverso:

  • un ritmo più alto,
  • una maggiore intensità emotiva,
  • una riduzione drastica del tempo di decisione,
  • un aumento del numero di compiti da gestire contemporaneamente.

Quest’anno il mio gruppo di under 14 si diverte con un esercizio di sovraccarico tecnico/emotivo: ogni atleta va in battuta. Ha a disposizione un bonus sulla seconda se la prima è a segno. Se sbaglia la prima (o la seconda senza bonus) viene colpita dai palloni attaccati su di lei dalle compagne.


Altre strade DA PERCORRERE?

Ovviamente l’approccio ecologico è uno dei tanti possibili. L’importante, credo, sia rispondere, anche come allenatori e formatori, agli stimoli che ci propone l’ambiente.

Se non credo che l’approccio ecologico possa convivere con un modello prescrittivo a blocchi non è per intransigenza, ma semplicemente perchè se atleti e squadre sono stimolati secondo i quattro pilastri che ho descritto sommariamente reagirebbero e reagiscono, lo so per esperienza, in maniera poco efficace a stimoli tradizionali e prescrittivi.

A volte lo chiedono, è vero. Dimmi cosa debbo fare!

Questa richiesta è una forte tentazione: fai questo o quell’altro è la strada più facile, sicura, semplice ed anche meno faticosa, ma non per questo la più efficace.

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